Messe latine antiche nelle Venezie
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L'anno liturgico
di dom Prosper Guéranger
Missale Romanum
28 MARZO
SAN GIOVANNI DA CAPISTRANO, CONFESSORE
L'onore dovuto ai Santi.
Quanto più la Chiesa s'avvicina al termine della sua meta, tanto più ama arricchirsi di nuove feste, memore del detto famoso: Ricordati dei giorni antichi e considera le generazioni ad una ad una come Dio ammoniva sin dall'alleanza del Sinai (Dt 32,7); ed era legge in Giacobbe, che i padri facessero apprendere ai loro discendenti i fatti antichi (Sal 77,5). Anche gli annali della Chiesa sono pieni di manifestazioni della potenza dello Sposo; più che i discendenti di Giuda, i figli della novella Sion possono dire, meditando la serie dei secoli trascorsi: Tu stesso sei il mio Re, il mio Dio, tu che sempre fosti la salvezza di Giacobbe! (Sal 43,5).
Il pericolo musulmano.
S'era appunto completata, in Oriente, la disfatta degl'Iconoclasti, allorché si scatenava una guerra ben più tremenda nella quale lo stesso Occidente dovette impegnarsi nella lotta per la civiltà cristiana.
Come un torrente impuro, l'Islam aveva dilagato dalle sponde dell'Asia sino nel cuore della Gallia; e a palmo a palmo, per un millennio, stava per contendere a Cristo e alla sua Chiesa il suolo occupato dalle generazioni latine. Per un certo tempo, solo poterono fermarlo le spedizioni del XII e del XIII secolo, attaccandolo nel centro della sua potenza. All'infuori della terra di Spagna, dove il combattimento doveva concludersi col trionfo assoluto della Croce, abbiamo lo spettacolo dei principi che, dimentichi delle tradizioni di Carlomagno e di san Luigi, trascurano per i conflitti delle loro private ambizioni la guerra santa, così che la Mezzaluna, tornando presto a sfidare la cristianità, riprese i suoi piani di conquista universale.
Nel 1453, la capitale dell'impero d'Oriente, Bisanzio, capitolava sotto gli assalti dei giannizzeri turchi; tre anni appresso, Maometto II, suo vincitore, investiva Belgrado, bastione dell'impero d'Occidente. Sembrò che tutta quanta l'Europa dovesse mobilitarsi in soccorso di quell'assedio; infatti, superata quest'ultima diga, era la devastazione immediata dell'Ungheria, dell'Austria e dell'Italia; per tutti i popoli dell'Ovest sarebbe stato a breve scadenza la servitù di morte, l'irreparabile sterilità del suolo e delle intelligenze.
L'appello del Papato.
Ora, l'imminenza del pericolo non aveva sortito altro effetto che di accentuare le lamentevoli derisioni di parte che abbandonavano il mondo cristiano alla mercé d'alcune migliaia d'infedeli. Si sarebbe detto che l'altrui perdita costituiva per molti il compenso della propria rovina: anzi da tale rovina più d'uno sperava di ottenere una tregua o un indennizzo, fosse pure disertando il suo posto di combattimento. Fra tanti egoismi e perfidie che si tramavano nell'ombra, o si pubblicavano sfacciatamente, solo il papato non cessò di vegliare. Veramente cattolico nel pensiero, nelle fatiche e nelle angosce, come nelle gioie e nei trionfi, s'addossò interamente sulle sue spalle la causa comune tradita dai re. Lasciati da una parte i suoi appelli ai potenti, si rivolse agli umili, e più confidando nella preghiera al Dio degli eserciti che nella strategia delle battaglie, reclutò fra loro i soldati della liberazione.
Un Crociato.
Fu allora che l'eroe del giorno, Giovanni da Capistrano, già da tempo temibile all'inferno, raggiunse l'apice della gloria e della santità. Alla testa di tanti altri poveri di buona volontà, contadini, gente ignorante, arruolata da lui e dai suoi Fratelli dell'Osservanza, il povero di Cristo non disperò di trionfare dell'esercito più agguerrito e meglio comandato che si vedesse sotto il cielo da che mondo era mondo. In un primo momento, il 14 luglio 1456, rompendo la linea ottomana insieme a Giovanni Hunyade, unico dei nobili ungheresi che volle prendere parte alla sua impresa, s'era lanciato in Belgrado rifornendolo di viveri. Otto giorni dopo, il 22 luglio, non potendo più trattenersi nella difensiva, sotto gli occhi di Hunyade meravigliato dalla sua nuova strategia, lanciava sulle trincee nemiche il suo battaglione armato di fruste e di forche con l'unica consegna di gridare il nome di Gesù a tutti i venti. Era la parola d'ordine della vittoria che Giovanni da Capistrano aveva ereditato dal suo maestro, san Bernardino da Siena. Chi spera nei cocchi, chi nei cavalli, diceva il Salmista; ma noi invochiamo il nome del Signore Dio nostro (Sal 19,8). E realmente, il nome sempre santo e terribile (Sal 110,9) salvava ancora una volta il suo popolo. La sera di questo memorabile giorno ventiquattromila Turchi coprivano il suolo dei loro cadaveri: trecento cannoni, tutte le armi, e le ricchezze degl'infedeli caddero nelle mani dei cristiani; Maometto II, ferito, fuggendo precipitosamente se ne andava lontano a nascondere la propria vergogna e il disprezzo dei suoi soldati.
Il 6 agosto giunse a Roma la nuova della vittoria che ricordava quella di Gedeone su Madian (Gdt 7). Il Sommo Pontefice Callisto III stabilì d'allora che tutta la Chiesa festeggiasse quel giorno la trasfigurazione del Signore, perché non con la loro spada conquistarono il paese, né li salvò il loro braccio; ma la tua destra, la tua potenza, lo splendore del tuo volto, perché li amavi (Sal 43,4), come avvenne sul Tabor nel tuo diletto Figlio (Mt 17,5).
VITA. - Giovanni nacque a Capistrano negli Abruzzi, nel 1386. Dopo aver tenuto il governo di molte città, abbracciò la Regola di san Francesco d'Assisi, proponendosi di continuare l'opera di san Bernardino nel propagare il culto dei SS. Nomi di Gesù e di Maria. Inquisitore, poi nunzio in Germania, convertì molti Saraceni ed eretici. Divenuto poi promotore della Crociata, a lui è dovuta la vittoria di Belgrado nel 1456. Morì poco dopo a Illok e, nel 1690, Alessandro VIII lo annoverò tra i Santi.
Preghiera.
"Il Signore è teco, o fortissimo fra gli uomini! Se tu vai con la tua forza a salvare Israele e trionfi su Madian, sappi che sono io che ti ho mandato" (Gdt 6). Così l'Angelo del Signore salutava Gedeone, quando lo scelse all'alta sua funzione in mezzo ai più umili del suo popolo (ivi 15). E anche noi, a vittoria raggiunta, possiamo così salutarti, o figlio di Francesco d'Assisi, pregandoti sempre del tuo aiuto. Il nemico che vincesti sui campi di battaglia ormai non è più da temere in Occidente; mentre il pericolo purtroppo sussiste là ove lo segnalò Mosè al suo popolo dopo la liberazione, quando disse loro: Guardati dunque bene dal dimenticarti del Signore Dio tuo, affinché non ti avvenga che, dopo aver mangiato a sazietà, dopo aver edificato e abitato belle case, dopo aver avuto mandrie di buoi e greggi di pecore e abbondanza d'oro, d'argento e d'ogni cosa, il tuo cuore s'insuperbisca e dimentichi il Signore Dio tuo che ti trasse dalla terra d'Egitto e dalla schiavitù (Dt 8,11-14). Sì, in effetti, se il Turco avesse prevalso nella lotta in cui ti distinguesti eroe, dove sarebbe ora la civiltà che tanto c'inorgoglisce?
Più d'una volta, dopo di te, la Chiesa dovette di nuovo intraprendere l'opera di difesa sociale che i capi delle nazioni non capivano più. Possa almeno la riconoscenza che le è dovuta preservare i figli della Madre comune dal male dell'oblio, che è il flagello della presente generazione! E siamo anche riconoscenti al cielo del grande ricordo che per merito tuo oggi rifulge nel Calendario liturgico, memoriale della bontà del Signore e delle gesta sublimi dei Santi. Fa' che nella guerra, per la quale ciascuno di noi diventa un campo di battaglia, il nome di Gesù non cessi mai di mettere in rotta il demonio, il mondo e la carne, e che la Croce sia il nostro stendardo e per essa, morendo a noi stessi, possiamo arrivare al trionfo della sua risurrezione.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 891-894