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San Marco
La "translatio"
a Venezia
di Silvio Tramontin
Il corpo del santo evangelista fu
conservato e venerato a lungo ad Alessandria. Oltre la testimonianza
citata di Palladio abbiamo quella degli Atti di san Pietro, vescovo di
quella città nel quarto secolo, (la stesura però di questa "passio" è
molto posteriore) che ci dicono come nella località del martirio di san
Marco, a Bucoli, c'era una chiesa costruita nel 310, appena i cristiani
poterono costruirne una all'aperto, e un cimitero che prendeva il nome
del santo. Il corpo di san Marco era molto probabilmente ancora lì,
custodito in una bella tomba di marmo, in una chiesa situata presso il
porto all'entrata della città quando nel secolo ottavo essa cadde in
mano degli Arabi.
Il monaco franco Bernardo però che
verso la fine del secolo nono compie il suo pellegrinaggio in terra
santa ci assicura (il manoscritto che abbiamo è abbastanza tardo ma
sembra doversi ricondurre ad una fonte più antica) che il corpo
dell'evangelista non si trovava più in Egitto ma era stato trasportato a
Venezia. Queste le voci che il monaco raccoglie sul posto e che
confermerebbero la tradizione.
Secondo questa infatti nel 828 dieci
navi veneziane spinte dal vento contro la volontà dei loro marinai, "navigantes
velut inviti" avrebbero approdato ad Alessandria d'Egitto contravvenendo
ai decreti dell'imperatore bizantino Leone V l'Armeno (813 - 820),
confermati dal duca veneziano Giustiniano Partecipazio, che proibivano
il commercio con gli arabi; contravvenzione però avvenuta "Deo
valente,... divino nutu", tiene a ripetere l'estensore del racconto. Tra
gli occupanti di quelle navi, che tra l'altro da buoni mercanti avevano
approfittato di quella sosta forzata per far affari, si trovavano i
tribuni Buono da Malamocco e Rustico da Torcello. Costoro oltre che
buoni mercanti erano anche uomini pii e ogni
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giorno si recavano nella
chiesa dove era sepolto il corpo di San Marco, vicino al porto, per
venerarlo. Entrarono così in amicizia con i custodi del tempio e
soprattutto col monaco Staurazio e il prete Teodoro, quest'ultimo
secondo il costume orientale, sposato. Data l'usanza instaurata dal
califfo abasside Mamum di spogliare le chiese cristiane per costruire
delle moschee e la paura che regnava tra i cristiani di veder
distruggere í luoghi di culto e profanare le preziose reliquie, i due
veneziani propongono ai due alessandrini di trafugare il corpo
dell'evangelista. È vero, essi rispondono alle obiezioni di
quest'ultimi, che il santo ha evangelizzato Alessandria e sarebbe giusto
che vi restasse il suo corpo, ma prima ancora ha evangelizzato Aquileia
e la regione veneta "unde nos sumus primogeniti filii eius" (e noi siamo
i suoi figli primogeniti), per cui non si tratterebbe che di un ritorno
"nos Dominus hic velut invitos adduxit ut nobis eundem nostrum
sanctissimum patrem restituat" e poi ci sarà anche una buona ricompensa
per voi da parte del duca veneziano.
Staurazio e Teodoro da principio non
cedono ma poi, anche perché il pericolo di profanazione diventa sempre
più prossimo ed uno degli altri custodi del tempio è già stato
arrestato, acconsentono ai desideri di Buono e di Rustico. Il corpo
dell'evangelista viene imbarcato sotto gli occhi degli arabi con uno
stratagemma: la cesta che lo contiene viene riempita di foglie di cavoli
e di altri ortaggi e di carne porcina alla cui vista essi si mettono a
gridare "Kinzir - Kinzir" (maiale, maiale) e si allontanano sputando.
Forse tale sistema viene adoperato per ingannare non solo i mussulmani
ma anche i cristiani alessandrini, attaccati al loro santo patrono e una
frase del racconto potrebbe farcelo sospettare. Incomincia così il
viaggio di ritorno e la leggenda fiorisce a questo punto di miracoli. Al
passaggio delle sacre spoglie si sparge attorno un insistente profumo;
la nave di Buono e di Rustico va a piantarsi velocemente sul fianco di
un'altra i cui occupanti li deridevano dicendo che era stata data loro
una mummia e non il corpo del santo e non si stacca finché questi ultimi
non riconoscono la verità; il salvataggio nella tempesta; gli isolani
che vanno incontro alla nave, prodigiosamente avvertiti del trasporto;
il demonio che si impossessa del negatore più ostinato. Arrivano
finalmente in Istria, ad Umago e lì si fermano incerti sul da farsi.
Mandano allora a Giustiniano Partecipazio un'ambasceria per dargli il
lieto annuncio e farsi perdonare la trasgressione dei suoi ordini. Il
duca accoglie con gioia la notizia e si prepara con il vescovo Orso e il
popolo a ricevere "talem thesaurum". E la preziosa reliquia arriva a
Rivo Alto. Le autorità religiose e civili gli si fanno processionalmente
incontro e altri miracoli segnano il sacro trasporto. Mentre ci si
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avvia
per la scala che porta al palazzo ducale non c'è neppure il più tenue
soffiar di vento, ma il manto che copre il corpo santo si agita come se
fosse mosso da una impetuosa e misteriosa forza e i portatori, cui prima
il corpo pesava moltissimo, non fanno più nessuna fatica. Lo si depone
in una stanza vicina al palazzo in attesa di costruirvi la chiesa. Morto
nel 829 Giustiniano, secondo quanto egli stesso dispone nel suo
testamento viene eretto dal fratello Giovanni "infra territorio sancti
Zachariae", una basilica "elegantissimae formae, ad eam similitudinem,
quam supra domini tumulum Hierosolimis viderat" cioè a pianta centrale e
vi si depone "honore dignissimo venerabillimum corpus".
Questo il racconto della "translatio".
Ci si potrebbe domandare quali motivi la abbiano determinata e si
potrebbe cercare anche di indagare sull'antichità dei testi che la
raccontano e della tradizione stessa. Circa il primo quesito c'è stato
chi forse ha insistito troppo sui motivi politici e di politica
religiosa, per quanto essi non si debbano escludere. Il Gfrörer
pensa sia stata fatta (o inventata, secondo lui) per oscurare la gloria
della metropoli gradense, per costringere il patriarca a trasferire la
sede nelle isole realtine accanto al corpo del santo evangelizzasore
(ciò che avverrà nel 1156 ma in corrispondenza al declinare di Grado e
non alla presenza del corpo marciano) e per spingerlo ad abbandonare
l'alleanza con i Franchi.
Certo che, come ha osservato il
Peyer, particolarmente in quelli che egli chiama "i piccoli stati
bizantini residui d'Italia" (e cita l'esempio di Benevento per il corpo
di san Gennaro) il dominio sulle città era frequentemente collegato al
possesso delle ossa del santo protettore e nel caso specifico si
potrebbe vedere un sintomo rinnovato di indipendenza indigena nelle
isole realtine (come nota più volte il Cessi), ma occorre anche pensare
alla tendenza comune in quell'epoca a riconnettersi agli Apostoli (la
leggenda marciana aquileiese era nata così) e a procurarsi corpi e
reliquie di essi per aumentare il proprio prestigio (si pensi a san
Dionigi Areopagita per Parigi e san Giacomo Apostolo per Compostella) e
al desiderio più che legittimo dei veneziani di possedere il corpo di
quello tra i discepoli del Signore che, sia pure secondo la tradizione e
non per prove storiche (ma quelle del resto allora non si pretendevano
molto), aveva evangelizzato la loro regione.
Per quanto riguarda l'antichità dei
testi che narrano l'episodio della "translatio" occorre osservare che
oltre i codici citati dal MacCleary, tra i quali i più antichi non si
possono far risalire oltre la prima metà del secolo XI, ne esiste uno
alla biblioteca di Orleans che potrebbe risalire addirittura al IX
secolo. Ci pare del resto che le osservazioni del Mac Cleary
sull'esistenza di un testo più antico, fonte comune al narratore della "translatio"
e a Giovanni Diacono (inizi del sec. XI) siano valide nonostante le
riserve del Peyer. Ad esse vorremmo aggiungere il fatto che la
dedicazione della basilica marciana è ricordata il 2 gennaio e che tale
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data non può riferirsi alla fabbrica partecipaziana, segno che il
racconto doveva essere stato steso prima dell'incendio dei Candiano, e
quello della forma a pianta centrale della chiesa stessa. Il che ci
riporta molto vicino agli avvenimenti. La meticolosità poi degli accenni
storici, geografici, topografici, religiosi ci pare anche un buon
indizio per la realtà del trasporto del corpo dell'evangelista e ci
porta quindi sempre più vicini alla identità della salma.
da
S. TRAMONTIN, San Marco, in Culto dei
Santi a Venezia, «Biblioteca Agiografica
Veneziana 2», Venezia, Studium Cattolico Veneziano,
1965, pp. 54-57.
LINK UTILI
Venezia - San
Marco, di Silvio Tramontin