Venticinque anni
Dal 2002 il nostro sito riproduce questo articolo di Paolo
Zolli, uscito sul bollettino nazionale di Una Voce Italia nel 1987, come
testimonianza su don Siro Cisilino e la sua fedeltà alla messa, e
anche sulla messa tridentina a S. Simon Piccolo a Venezia, che fu lo stesso don Siro
a iniziare a celebrare. Anche quest'anno, come
ogni anno dalla sua morte, un requiem in rito tridentino viene fatto
celebrare da Una Voce in suo suffragio. Pensiamo che il tempo che
passa induce a capire sempre meglio le idee di don Siro sulla messa
e sulla liturgia, che lo indussero a non staccarsi mai dalla forma
tradizionale come in uso fino alle riforme della seconda metà del
secolo XX, prima e dopo il Vaticano II. Zolli le aveva già ben
chiare e le esprime apertamente.
* * *
1987-2002: quindici anni dalla morte di don Siro
Cisilino, sacerdote fedele alla messa antica.
La testimonianza di Paolo Zolli
Il 4 marzo 1987, a Pantianicco (Udine), dove era nato il 4 dicembre
1903, rendeva l'anima a Dio il sacerdote cattolico don Siro Cisilino,
musicologo. Dopo aver servito come cappellano, come vicario e come
parroco in diverse località del Friuli, si trasferiva a Venezia per
lavorare per la Fondazione Cini allo studio e alla trascrizione di
manoscritti musicali, soprattutto dei secoli XVII e XVIII. Fedele alla
sua prima messa, non volle mai celebrare la messa in italiano. Per un
insieme di circostanze, don Cisilino prese contatto con i membri di Una
Voce-Venezia, e a partire dal 1977 fino al 1984 celebrò la messa latina
antica nella chiesa di S. Simon Piccolo, riaprendola al culto
tradizionale. La storia è narrata in maniera avvincente
dall'indimenticabile Paolo Zolli nel magistrale articolo che qui
ripubblichiamo, apparso in "Una Voce Notiziario", che probabilmente
riproduce nella sostanza il contenuto della conferenza tenuta dallo
stesso Zolli all'Ateneo Veneto il 1° ottobre 1987, dal titolo
sostanzialmente analogo. Nel 1984 don Cisilino, già ammalato, si
ritirava nella natia Pantianicco, dove moriva tre anni dopo. Egli rese
alla messa cattolica una testimonianza di una tale coerenza e assoluta
mancanza di compromessi, da diventare una bandiera e un simbolo, il
modello del vero sacerdote, per i suoi amici ed estimatori rimasti a
combattere la santa battaglia.
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Don Siro Cisilino (1903-1987)
e la messa "tridentina" a Venezia
di Paolo Zolli
Il dramma dei cattolici "tradizionalisti" è scandito
da due date, il 7 marzo 1965, quando in Italia fu brutalmente imposta la
celebrazione della messa in italiano, e la prima domenica d'Avvento del
1969, quando entrò in vigore il messale riformato di Paolo VI. Il
secondo avvenimento fu intrinsecamente più grave, in quanto al testo
perfettamente ortodosso del messale tridentino ne veniva affiancato -
con un affiancamento che intendeva essere, e di fatto fu, una
sostituzione - uno che rappresentava "sia nel suo insieme come nei
particolari un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica
della santa messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio
Tridentino" (card. A. Ottaviani e A. Bacci).
Nella realtà dei fatti la sostituzione non fu però
percepita immediatamente e nella sua drammaticità dalla maggior parte
dei fedeli, che da quattro anni assistevano a continui cambiamenti e
stravolgimenti di un rito che doveva essere per sua natura immutabile.
Il piano era stato architettato bene: il primo scossone, quello della
traduzione del messale nel 1965, intrinsecamente meno grave, doveva fare
in modo che i fedeli non si accorgessero del secondo, cioè della
sostituzione del rito.
In quegli anni io non conoscevo se non di vista,
avendolo notato alla Fondazione Cini o nelle sale riservate della
Biblioteca Marciana di Venezia, don Siro Cisilino, e quindi non saprei
dire in che modo egli abbia reagito ai due distinti momenti della
sovversione liturgica. So solo, per averlo appreso più tardi che, con
spirito che oggi si direbbe "profetico", la sovversione egli l'aveva
intuita da molto tempo. La quasi totalità dei tradizionalisti ha infatti
preso coscienza della crisi della liturgia quando essa è scoppiata, cioè
in Italia il 7 marzo 1965 e altrove pressappoco nello stesso periodo -
ed è allora che incominciano a costituirsi i primi nuclei di resistenza
e i movimenti in difesa della liturgia tradizionale -, ma don Siro il
vento infido lo aveva fiutato da tempo, cioè dagli anni delle riforme di
Pio XII, riforme limitate a pochi aspetti e a pochi, ma significativi,
momenti, quali ad esempio il rito della Settimana Santa; riforme che
potevano far presagire - e don Siro lo comprese subito - che si sarebbe
aperto un varco all'ondata che nel giro di una quindicina d'anni avrebbe
sommerso secoli di pietà, di devozione, di fede. Recentemente tutto ciò
è stato messo in rilievo dalla pubblicistica tradizionalista e la cosa
può avere stupito molti, ma non avrebbe certamente stupito don Cisilino.
Don Siro infatti comprese immediatamente a cosa avrebbero portato le
progressive novità: dalla sostituzione dell'antichissima festività dei
santi Filippo e Giacomo con la sconcertante celebrazione di san Giuseppe
artigiano il 1° maggio, alla riforma della settimana santa. Queste cose
vanno ricordate non a titolo di aneddoto e curiosità, ma per far
comprendere quanto profonda fosse la coerenza di questa splendida figura
di sacerdote cattolico, scomparso il 4 marzo 1987.
La battaglia doveva però diventare drammatica quando
le disposizioni della Santa Sede e della Conferenza episcopale italiana,
in violazione patente di quanto previsto dalla bolla Quo primum
di san Pio V e in contrasto persino con la costituzione Sacrosanctum
Concilium del Vaticano II, prima imponevano la traduzione in volgare
di tutta la messa (il Concilio su questo punto proponeva concessioni ben
più limitate), poi tentavano di rendere obbligatoria la nuova messa. Non
posso in questa sede diffondermi sull'argomento, ma credo che sia
necessario iniziare sin d'ora a raccogliere i materiali per un futuro
martirologio di quel clero cattolico che intendeva rimanere fedele
all'antica liturgia ed è per questo divenuto oggetto di indebite
pressioni e di persecuzioni che rimarranno a perpetua vergogna di chi le
ha perpetrate. Don Siro resistette a ogni lusinga e a ogni minaccia. Non
una sola volta, dico non una sola volta, egli celebrò la messa riformata
(né prima la messa in italiano).
A partire dal 1965 la vita di don Siro non fu
tranquilla: dovette lasciare la chiesa dove aveva celebrato sino allora
e celebrare "fuori orario". L'"affare" Lefebvre, scoppiato nel 1976, e
col quale don Siro non aveva nulla a che vedere, spinse a maggior
cautela (quante cautele nei confronti dei tradizionalisti in un mondo
cattolico che assiste imperturbabile a messe scismatiche, buffonesche,
vergognose e ingiuriose verso Dio!) i frati che fino ad allora gli
avevano dato ospitalità (ospitalità per celebrare, intendo) e don Siro
trovò accoglienza presso i benedettini dell'Isola di San Giorgio, dove
poteva officiare nella cappella dei Morti, un'accoglienza discreta e
cortese, di cui è doveroso dare atto agli ospitanti. L'"affare" Lefebvre
aveva però servito a muovere le acque, i tradizionalisti, anche quelli
che intendevano mantenere la loro autonomia nei confronti del vescovo
francese, incominciarono a contarsi, incominciarono a rendersi conto che
non erano isolati. Amici con i quali due anni prima avevo combattuto la
santa battaglia contro la legge sul divorzio mi fecero sapere che ogni
domenica (e naturalmente anche gli altri giorni) a San Giorgio si
celebrava una messa "buona". Il 10 ottobre 1976, io che già solevo
andare ad assistere lì alla messa dei benedettini, che aveva il torto di
essere celebrata col rito paolino, ma aveva almeno il pregio di essere
cantata in latino e gregoriano, andai alla messa di don Siro; nel mio
sempre stringatissimo "diario" a quella data trovo: "Stamani sono andato
alle 9½ a S. Giorgio alla messa di don Siro Cisilino, celebrata secondo
il rito di san Pio Quinto".
Si andò avanti così per circa un anno. Il 24 luglio
1977 festeggiammo il cinquantenario di sacerdozio di don Siro, festa
molto modesta, da frequentatori di catacombe, ma il maestro Carlo
Durighello - col quale mi aveva messo in contatto l'associazione Una
Voce -, da me informato dell'avvenimento, per l'occasione volle venire a
suonare l'armonium. Per una di quelle circostanze nelle quali sarebbe
difficile non vedere la mano della Provvidenza, Carlo Durighello aveva
avuto in concessione dalla Curia per esecuzioni musicali proprio quella
chiesa di S. Simon piccolo, ormai chiusa al culto, nella quale don Siro
aveva celebrato per anni, prima della riforma. Nei mesi successivi Carlo
Durighello convinse don Siro a riprendere a celebrare a S. Simon
piccolo. So che negli ambienti della Curia veneziana è viva la
convinzione - in sé non assurda - che Durighello avesse chiesto la
chiesa di S. Simon col pretesto di concerti per poi riaprirla al culto
tradizionale, ma in realtà posso assicurare che ciò che avvenne in
seguito fu casuale, o meglio fu provvidenziale, ma non era stato
premeditato, e che tutto avvenne perché pochi giorni prima del
cinquantenario di sacerdozio di don Siro io incontrai casualmente per
strada il Durighello e lo informai del fatto. Poi da cosa nacque cosa:
le vie della Provvidenza sono infinite. Non saprei dire se già
nell'agosto del 1977 avvenne una celebrazione in S. Simon, posso dire
solo che si era discusso a lungo se lasciare il nido scomodo ma sicuro
di San Giorgio per la nuova e incerta sede, ma posso aggiungere che nel
mio diario in data 13 novembre 1977 trovo ancora la messa a S. Giorgio,
mentre in data 20 novembre trovo la messa a S. Simon, in concomitanza
con la riunione annuale del Consiglio nazionale dell'associazione Una
Voce (cfr. "Una Voce Notiziario" n° 40-41, 1977, pp. 22-23). Poco dopo
si riprendeva l'uso dei vespri.
Qualche mese più tardi scoppiava la bufera. Una
lettera del card. Albino Luciani del 20 febbraio 1978 proibiva "a
qualsiasi titolo la celebrazione della messa more antiquo nella
chiesa di S. Simeone Piccolo, come in tutto il territorio della diocesi"
e (grande concessione!) si lasciava a don Siro "la facoltà di celebrare
la santa messa more antiquo solo in casa propria". Che la
celebrazione di messe in genere potesse essere esclusa a S. Simon era
anche comprensibile, trattandosi di chiesa chiusa al culto e adibita ad
altri scopi, assurda era la pretesa di escludere la messa more
antiquo e soprattutto di escluderla "in tutto il territorio della
diocesi", in quanto ciò contrastava con i diritti protetti dalla bolla
Quo primum. Lo stesso card. Luciani si accorse di aver passato il
segno, tant'è vero che nella "Rivista diocesana del Patriarcato di
Venezia", aprile-maggio 1978, p. 167, una nota della Curia, ritornando
sull'argomento, ricordava: "Il Patriarca ha di recente proibito che si
celebri a S. Simon piccolo - divenuta, con proteste del parroco, del
vicario, di altri fedeli rendez-vous reclamizzato del Movimento Una Voce
- la cosiddetta messa di san Pio X". A parte la finezza del
rendez-vous, va notato che il riferimento a "tutto il territorio
della diocesi" era qui caduto. Chi volesse ricostruire tutti i
particolari della penosa vicenda può andare a rileggere la cronaca
L'inutile persecuzione, pubblicata in "Una Voce Notiziario" n°
42-43, 1978, pp. 14-19, e ripubblicata da Carlo Belli, Altare deserto,
Roma, G. Volpe, 1983, pp. 75-88). Qui basterà ricordare che don Siro,
tra alterne vicende, riprese a celebrare a S. Giorgio.
La scomparsa di Paolo VI, nel luglio successivo, il
breve pontificato di Albino Luciani, la sede doppiamente vacante a Roma
e a Venezia, permisero di fatto che si riprendesse la celebrazione a S.
Simon. Il fatto di maggior rilievo negli anni successivi fu la
celebrazione in quella chiesa di mons. Lefebvre, il 7 aprile 1980, e la
cronaca ne è affidata alla stampa di quei giorni.
Gli anni successivi videro la scomparsa di Carlo
Durighello, con conseguenti problemi per la conservazione della chiesa,
ma le celebrazioni continuarono regolarmente. Il 2 settembre 1984, al
ritorno dalle vacanze, trovai don Siro rapidamente invecchiato: l'età
ormai avanzante, le dure battaglie combattute per venti difficilissimi
anni, avevano minato la sua forte fibra. Poco dopo egli ritornava nel
suo Friuli, dove si spegneva, come abbiamo detto il 4 marzo 1987. E qui
si dovette assistere all'ultimo oltraggio, all'ultima vergogna. Il
vescovo di Udine, famoso per lasciar celebrare messe in friulano, che
stanno a significare una precisa volontà di rottura con Roma, non volle
rispettare la volontà e il desiderio del vecchio sacerdote che con la
sua fede e la sua cultura aveva costituito uno dei vanti del Friuli
cattolico. Avvertito da me telefonicamente e dall'amico Paolo Naccari
con telegramma sulla volontà di don Siro di veder celebrati i propri
funerali col rito tradizionale o altrimenti con la semplice benedizione
e senza messa, mons. Alfredo Battisti non ha esitato a procedere a una
celebrazione "paolina", confusa, un po' in italiano e un po' in latino,
col solito altare rovesciato, in cui la concelebrazione, da don Siro
detestatissima, contribuiva a creare ulteriore sconcerto.
E così per ultima messa don Siro Cisilino ha avuto quella di Paolo
VI, apprezzata dai fratelli ecumenici di Taizé ma a lui non gradita
[1].
Ciò ha costituito una gratuita violazione delle ultime volontà di
don Siro, un'umiliazione e un dolore per noi, suoi amici, suoi
estimatori, suoi compagni nella santa battaglia; quanto al nostro
amico, don Siro, tutto ciò non poteva più toccarlo, ormai assunto,
lo confidiamo, nella gloria dei cieli, a contemplare la gloria di
Dio tra le melodie degli angeli e degli arcangeli, dei cherubini e
dei serafini, qui non cessant clamare
quotidie una voce dicentes: Sanctus, sanctus, sanctus Dominus Deus
sabaoth. Pleni sunt caeli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis.
Benedictus qui venit in nomine Domini. Hosanna in excelsis.
[1]
A cura delle sezioni di Una Voce di Udine e Venezia, sante messe
"tridentine" sono poi state solennemente celebrate in suffragio
dell'anima di don Siro Cisilino nel giorno del trigesimo, l'una a
Pantianicco ove risiedeva, l'altra a Venezia in quella stessa chiesa di
S. Simon nella quale per tanti anni aveva celebrato la santa messa.
da: «Una Voce
Notiziario», 79-80 (1987), pp. 8-11.
unavoceitalia.org
LINK UTILI
Blessano (Udine), parrocchia di S. Stefano
Protomartire, messa di requiem il 6 marzo 2012
ore 18:30
Messa solenne di requiem per don Siro Cisilino
alla parrocchia di Blessano di Basiliano
20° anniversario di don Siro Cisilino, requiem a
Venezia e in Friuli
XIX anniversario di don Siro Cisilino: la fedeltà
alla vera messa. Solenne requiem organizzato da Una Voce Udine,
Pordenone e Venezia
Don Siro Cisilino restauratore del culto
tradizionale, di don Ivo Cisar
L'inutile persecuzione, di Carlo Belli
Vita dell'Associazione. Fondazione di Una Voce Venezia (Una Voce
Notiziario, 40-41, 1977)
La chiesa di S. Simon Piccolo a Venezia
Siro Cisilino, Stampe e manoscritti preziosi e
rari della Biblioteca del Palazzo Giustinian Lolin a San Vidal,
1966
Rassegna Veneta di Studi Musicali VII-VIII (1991-1992) Indice