Pubblicato il libro postumo di don Ivo Cisar
La grande apostasia
IVO
CISAR SPADON, La grande apostasia. Un quadro di sintesi della
diagnosi del nostro tempo, (a cura di V. ZANETTE e G. BRUNETTIN),
Rodeano Alto, Litoimmagine, 2012, pp. 128, s. i. p. ISBN 978-88-97377-12-2
Nella ricorrenza del settimo anniversario della
morte di don Ivo Cisar Spadon, avvenuta l'11 settembre 2005, è stato
possibile pubblicare l'opera cui egli stava dedicandosi negli ultimi
mesi di vita, una sintesi di un lavoro molto più vasto, di oltre
trecentocinquanta pagine. L'Autore teneva assai a realizzare la
pubblicazione de La grande apostasia, sorta di suo testamento
spirituale e intellettuale, ma soprattutto espressione della sua
vocazione sacerdotale. Tuttavia l'ampiezza e la complessità del
testo originario consigliarono un più accessibile "quadro di
sintesi", che fosse cioè facilmente realizzabile sul piano
editoriale, ma fosse anche più divulgabile sul piano pastorale.
Perché don Cisar, nel realizzare questo libro, è stato mosso
principalmente da zelo pastorale, ossia ha voluto ammonire credenti
e non credenti a non proseguire lungo la china sulla quale sono
avviati, che conduce a maturare la fine della Storia (cfr. Mt 24),
una china rappresentata dall'autosufficienza dell'uomo rispetto al
suo Creatore.
Già dal titolo si profila con chiarezza la linea
del libro, che è essenzialmente teologica morale: esso si richiama
esplicitamente agli ammonimenti della Madonna formulati dapprima a
La Salette e da ultimo a Fatima. E quegli ammonimento sono di una
chiarezza inequivocabile: gli ultimi tempi della storia dell'umanità
saranno segnati dalla grande apostasia dalla fede cattolica. Anzi
l'abbandono della fede, che sarà pariteticamente lotta contro la
fede cattolica e la Chiesa istituzionale, sarà anche causa della
fine della storia dell'umanità. In altri termini Gesù Cristo Dio,
che ha accettato la morte di croce per la redenzione delle anime,
porrà fine alla Storia nel momento della piena manifestazione della
scelta degli uomini, che "preferirono le tenebre alla luce" (Gv 3,
19). Il Divin Maestro stesso ha dato indicazioni piuttosto precise
in tal senso (Mt 24), come pure ha insegnato agli uomini di buona
volontà a riconoscere quel momento, coll'osservare bene i "segni dei
tempi", dai quali risulterà evidente l'approssimarsi dell'ora del
giudizio.
In ciò non c'è alcun cedimento al millenarismo, a
meno che per "millenarismo" non s'intenda l'annuncio che un giorno
verrà il giudizio di Dio. In tal senso allora è millenarista è il
testo rivelato dell'Apocalisse. E pure millenarista è la B.V. Maria
nelle sue apparizioni - ufficialmente riconosciute dalla Chiesa -
laddove Ella ha costantemente richiamato l'umanità al pentimento e
alla conversione allo scopo di evitare la punizione divina. Don
Cisar non si discosta da ciò e il messaggio che ci trasmette si
richiama alla centralità della dignità umana nel piano universale di
Dio, per cui l'uomo soltanto ha il potere di evitare la fine dei
tempi e ciò mediante una vera e profonda adesione all'evangelo e
alla trasformazione dell'intero universo nel regno sociale di Gesù
Cristo. Ecco perciò che diventa veramente vitale porre l'uomo nella
condizione di scegliere il Bene, rinunciando alla facile soluzione
dell'autosufficienza.
Così don Cisar, da buon sacerdote e teologo
morale, si è posto due scopi: uno di denuncia, l'altro di
evangelizzazione. Da teologo morale egli passa in rassegna i mali
dei nostri tempi per svegliare la ragione e le coscienze dei
cristiani, che paiono essere anestetizzate, cioè non in grado più di
avvertire errori e devianze rispetto all'Evangelo e alla retta
coscienza. Da sacerdote cattolico don Cisar ha come fine pastorale
la conversione delle anime e la loro salvezza. Constatare e mostrare
a tutti che esistono, ora, molti segni premonitori della fine della
storia è dunque un medicinale potente per permettere alle anime di
destarsi alla vera vita di devozione e è strumento di salvezza.
L'Autore passa in rassegna quelli che considera i
segni dell'apostasia dalla fede cristiana così da fornire una sorta
di vademecum contro le tentazioni culturali dei nostri giorni, che
mirano a addormentare le coscienze e a trascinarle nell'errore
dottrinale e morale. Egli concentra il suo sguardo sul tracollo
della fede nell'Europa attuale, un tempo cristiana, non solo per
individuare le cause che hanno determinato l'abbandono di Dio da
parte degli uomini, ma soprattutto per offrire un'indicazione che
permetta di uscire dalla crisi. In questo esame la causa
fondamentale individuata è l'antropocentrismo ateo, assunto dalla
cultura e mentalità moderne quale fondamento legittimante ogni
espressione della vita umana, anzi quale fine ultimo dell'esistenza
individuale e collettiva.
Il testo è suddiviso in tre parti: la prima
effettua una radiografia dell'apostasia della fede, che si esprime
in tre errori o tentazioni attuali, ossia l'antropocentrismo,
l'idolatria e l'anticristianismo, errori che purtroppo hanno finito
per penetrare anche nella pastorale della Chiesa e nella cultura
cattolica. La loro affermazione parte da lontano, come dimostra don
Cisar scorrendo rapidamente lo sviluppo del pensiero occidentale a
partire dal Rinascimento. Dopo aver precisato l'esistenza dei germi
antropocentristi nel Protestantesimo, la sua critica trascorre
dall'incredulità illuministica al naturalismo, al razionalismo
positivistico, infine all'ateismo militante. Lo sbocco inevitabile
di queste premesse è dapprima il titanismo, ossia la dichiarazione
nietzschiana della libertà assoluta della volontà umana di
determinare la propria vita, vita che, proprio in quanto tale,
legittima e fonda l'essere, è fine ultimo dell'esistenza, giustifica
se stessa e ogni azione compiuta per conseguire tale fine. I
fallimenti della Storia recente hanno però condotto al superamento
di questa visione titanica e hanno spalancato la via del nichilismo,
del "pensiero debole", ossia della negazione di ogni valore e di
ogni significato ontologico e esistenziale sostituiti con la mera
fattualità.
Nel vuoto prodotto da questa deriva filosofica
morale e storica, però, l'umanità non è tornata a volgere la mente a
Dio, pur posta di fronte ai disastri collettivi e individuali, bensì
si è disposta all'idolatria, che ha assunto nuove forme:
statolatria, individuolatria, libertolatria, con un corteo di nuovi
idoli imposti dalla pretesa cultura moderna al culto degli uomini
(evoluzionismo, collettivismo, democrazia, demiurgismo tecnologico).
In più l'umanità non accetta alcun richiamo della retta ragione e
della rivelazione, ma consolida la sua scelta esistenziale mediante
giustificazioni pseudorazionali, che sono anche al tempo stesso
luoghi comuni e bandiere di crociata: relativismo, laicismo,
secolarizzazione, anticristianesimo. E tutto ciò è oggetto della
seconda parte del libro. L'analisi qui si concentra su quegli
elementi della cultura negativa contemporanea che hanno la funzione
di sfondare le resistenze intellettuali dei cristiani per farli
cedere poi su tutti gli altri fronti. Purtroppo - osserva con
amarezza l'Autore - la Cristianità sembra essere incapace di
contrastare questa marea e sembra paralizzata: quale la spiegazione
di tanta deriva? Egli trova spiegazione nella resa dei cattolici al
mondo, anzi nell'ammirazione del mondo. Anche all'interno della
Chiesa si sono prodotti alcuni mali che ne paralizzano l'azione,
primo fra tutti l'ecclesiocentrismo, l'autoreferenzialità clericale.
Di fronte a ciò l'Autore cerca quindi di mettere in guardia chierici
e laici dai veleni teorici e prassici che la cultura secolare
anticristiana è riuscita a veicolare nella cultura cattolica e nella
stessa pastorale ecclesiastica, spacciandoli per salutifere
"conquiste del progresso". Con una puntuale rassegna egli individua
ed etichetta ciascun cedimento e ne "smonta" tutte le
giustificazioni teoriche.
Infine la terza parte è propositiva, ossia offre
una medicina per contrastare la cultura anticristiana e ripristinare
nelle coscienze e quindi nel mondo la fede cristiana, unica
possibilità di vita individuale e collettiva. Se il "ritorno a Dio"
è il nome della cura, l'Autore però specifica quali ne sono gli
ingredienti essenziali, che comprendono in un tutt'uno la vita
sacramentale di Grazia e la purificazione della cultura cattolica e
della pastorale ecclesiastica dai germi del secolo. È un recupero
dell'integrale mandato del Maestro, affinché l'Evangelo sia vissuto
radicalmente dall'umanità.
Certo, don Cisar usa termini forti, a tratti duri,
cui non siamo più avvezzi, perché da troppo tempo carezzati dalle
melliflue parole di troppi predicatori - anche mitriati - che hanno
stabilito che sia "sconveniente" predicare apertamente Gesù Cristo
per non rattristare il mondo. La sua esposizione ha il sapore aspro
di altri tempi, senza che ciò implichi nostalgia o passatismo: si
tratta di stili ecclesiastici... Ma al di sotto di questo linguaggio
personale, con le sue caratteristiche e le sue idiosincrasie, è
possibile trovare piena consonanza con il magistero immutabile della
Chiesa, cioè con quello che Essa ha insegnato per duemila anni
attraverso Padri, Dottori, Santi, concilii e pontefici dopo averlo
ricevuto dal Divin Maestro. Non vi si troverà invece il
"clericalismo", ossia ciò che purtroppo fanno e predicano molte
personalità ecclesiastiche piene di rispetto umano e preoccupate di
andare sempre d'accordo con la cultura secolare e scristianizzata,
con il potere politico e economico del principe di questo mondo.
Questo rifiuto di compromessi col secolo è stato
anche il motivo del ritardo della pubblicazione del libro, benché
essa fosse possibile già nel quinto anniversario della morte di don
Cisar. All'epoca, infatti, i curatori si rivolsero per correttezza
all'autorità diocesana affinché sostenesse la pubblicazione in
ricordo di uno dei sacerdoti della Diocesi. Il risultato fu di
ottenere che il Vescovo di allora, mons. Ovidio Poletto dichiarasse
- a titolo personale - l'inopportunità di procedere alla
pubblicazione. Il Vescovo però non fornì spiegazioni di tipo
dottrinale e morale a sostegno della sua disapprovazione,
limitandosi invece - dopo sollecitazione - a esporre fin troppo
ampie argomentazioni di tipo opportunistico. In altre parole, non
scandalizzare il mondo è più importante di tutto, nonostante san
Paolo insegni esattamente e chiaramente il contrario: "fatti araldo
della parola divina, insisti a tempo opportuno e anche non
opportuno, confuta, sgrida, esorta, con grande pazienza e voglia
d'insegnare" (II a Timoteo 4, 2).
Se ciò fosse accaduto a don Cisar, ne sarebbe
rimasto amareggiato, perché egli amava la Chiesa come madre.
Tuttavia anche in questo rifiuto di un Vescovo egli avrebbe trovato
ulteriore prova dei segni dei tempi, cioè di un'apostasia non più
silenziosa dalla fede cristiana, "poiché vi sarà un tempo che non
sopporteranno la sana dottrina, ma secondo le proprie passioni, per
prurito d'udire, faran sì che si affollino i maestri, ma dalla
verità ritrarranno l'orecchio per voltarsi alle favole" (II a
Timoteo 4, 3).
Il volume è distribuito anche alla
chiesa della
Santissima in Pordenone prima e dopo le funzioni in rito
tridentino.
SCHEDA DELL'AUTORE
Don Ivo Cisar Spadon nacque il 29 dicembre 1928 a Dobruška in
Boemia, allora Cecoslovacchia, da famiglia benestante di
commercianti e avvertì prestissimo la vocazione sacerdotale.
Il 23 febbraio 1941, subito dopo aver ricevuto la S. Eucaristia,
fece voto a Gesù di perpetua castità.
Durante gli studi superiori fu assiduo componente e quindi
animatore dell'Azione Cattolica studentesca.
Superate le ristrettezze e i drammi della II guerra mondiale, con
l'occupazione tedesca della Cecoslovacchia e il suo strascico di
lutti e disastri, don Cisar superò a pieni voti l'esame di maturità
il 14 giugno 1948 e entrò nel Seminario Arcivescovile di Praga,
attratto anche dalla figura del cardinale Giuseppe Beran. Dopo soli
quindici giorni di permanenza al Seminario ebbe la proposta di
studiare a Roma, l'unico seminarista per quell'anno. Fortunosamente
giunto a Roma, per sei anni seguì gli studi teologici e filosofici,
sostentato finanziariamente soltanto da uno zio residente a
Casablanca, dove era fuggito al colpo di stato comunista del 1948.
Suo padre, rimasto vedovo nel 1944, aveva perduto infatti il negozio
per la collettivizzazione comunista.
Fu ordinato in Roma dal cardinale Luigi Traglia nella chiesa dei
SS. Dodici Apostoli il 5 luglio 1953. Le autorità comuniste
cecoslovacche per ritorsione procedettero immediatamente all'arresto
del padre, alla confisca della casa e all'espulsione dal ginnasio
della sorella, che fu costretta a fare l'operaia. Contro don Cisar
venne spiccato mandato di cattura, nel caso avesse rimesso piede in
Patria.
Nel 1954 la Sacra Congregazione dei Seminari destinò don Cisar a
Spilimbergo per poter provvedere al suo sostentamento.
Dopo l'ordinazione ebbe la proposta dai suoi superiori di
intraprendere una di tre vie: la teologia, la musica sacra,
l'attività diplomatica. Impedita per ragioni di salute la carriera
nella diplomazia vaticana - e don Cisar in seguito vide in ciò un
intervento provvidenziale - la specializzazione in teologia parve a
don Cisar quale via più aderente alla sua vocazione e ai doni
naturali ricevuti.
Conseguì il dottorato in Teologia dommatica e in Diritto Canonico
e la laurea in Filosofia.
Fu docente al Seminario delle Calabrie e al Seminario di
Chieti-Vasto.
Fu incardinato nella Diocesi di Concordia-Pordenone il 13 marzo
1974.
Insegnò teologia dommatica al Seminario Diocesano di
Concordia-Pordenone dal 1979 al 1986 e all'Istituto di Scienze
religiose dal 1986 al 1987. Fu quindi amministratore parrocchiale a
Istrago dal 1985 al 1991. Nel frattempo svolse l'attività di
avvocato presso il Tribunale ecclesiastico del Triveneto
(1979-1991).
Diventò giudice del medesimo Tribunale Triveneto con il 5 marzo
1991.
Intensa e ampia la sua attività pubblicistica nei settori di sua
vocazione: teologia, morale, pastorale. Ha collaborato con numerose
riviste, tra le quali ricordiamo "Palestra del clero" e, di recente,
"Instaurare".
Dal 2000 fu delegato vescovile per la celebrazione delle SS.
Messe in rito "tridentino".
Morì a Pordenone la domenica 11 settembre 2005.
SCHEDA DEI CURATORI
Don Vittorino Zanette, sacerdote della Diocesi
di Concordia-Pordenone, è nato a Prata di Pordenone il 24 giugno
1932. È stato ordinato il 1° luglio 1956 e, dopo aver tenuto la
vicaria parrocchiale di San Giorgio in Pordenone, è stato parroco di
Pinzano dal 1962 al 1968; quindi parroco di San Francesco in
Pordenone dal 1968 al 1986. Ha retto le parrocchie di Fagnigola e di
Marsure rispettivamente dal 1986 al 1999 e dal 1999 al 2002. Ricopre
la funzione di notaio del Tribunale ecclesiastico diocesano dal
1994. La vocazione sacerdotale non ha ristretto la sua attività
esclusivamente alla cura d'anime, ma lo ha spinto anche alla ricerca
e alla difesa della verità nella storia e quindi alla trasmissione
della memoria. All'uopo ha saputo far fruttare la sua carica di vice
archivista della Curia diocesana (1986-1997). Ha scritto La
frazione di Colle di Pinzano al Tagliamento. Note di storia,
s.i.l., 1968; ha curato l'editing delle Memorie di don
Rodolfo Toncetti (2008); ha redatto diversi saggi di storia
diocesana e ecclesiastica, non sempre diffusi con il suo nome.
Giordano Brunettin, insegnante, è nato in
Pordenone il 2 dicembre 1965. Dottore di ricerca di Storia della
Chiesa Medievale e socio corrispondente della Deputazione di Storia
patria per il Friuli, ha pubblicato diversi saggi storici e edizioni
di documenti, tra i quali si ricordano I protocolli della
cancelleria patriarcale del 1341 e del 1343 di Gubertino da Novate
(2001), Bertrando di Saint-Geniès patriarca di Aquileia
(1334-1350) (2004), Luigi Calabresi. Un profilo per la storia
(2008).
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