Breve
descrizione
della liturgia
pontificale
di
Francesco G. Tolloi
Ci proponiamo, in
questa sede, di richiamare, come in un sommario, le
caratteristiche peculiari nella celebrazione della messa
da parte dei cardinali, dei vescovi e dei prelati fruenti
dell'uso dei pontificali nell'antico rito romano, ed
esattamente attenendosi alle rubriche dei libri liturgici
in vigore nel 1962.
Anzitutto una premessa circa le fonti normative:
esse sono contenute in prevalenza nel Cerimoniale dei
vescovi (Caeremoniale Episcoporum), promulgato con
la Bolla Cum novissime di papa Clemente VIII il 14
luglio 1600, che conobbe sino al 1962 altre quattro
edizioni tipiche, l'ultima delle quali nel 1886, essendo
regnante papa Leone XIII. Il Caeremoniale episcoporum,
ciò va chiarito, non è un manuale di sacre cerimonie,
bensì un libro liturgico ufficiale della Chiesa Romana.
Certo, a differenza degli altri libri liturgici, esso non
contiene formule - cioè testi di preghiere, letture, ecc.
da recitarsi nelle sacre funzioni - se non a titolo
esemplificativo. Questo non toglie che le cerimonie, cioè
i gesti, le azioni ivi descritti fanno parte della
liturgia allo stesso modo delle formule riportate negli
altri libri (Breviario, Messale, Martirologio,
Pontificale, Rituale Romano). In quanto tali le
cerimonie sono atto ufficiale della Chiesa corpo mistico
di Cristo.
La lettura d'insieme del Caeremoniale
Episcoporum evidenzia in modo manifesto l'imperniarsi
della vita ecclesiale della diocesi attorno la messa,
proprio quella messa che il Vescovo officia
pontificalmente nella sua cattedrale, o cui assiste
pontificalmente. Al giorno d'oggi, quando di fatto la
concelebrazione, specie nelle chiese cattedrali, ha
sostituito ed infine soppiantato la liturgia pontificale,
lo stesso aggettivo 'pontificale' risulta svuotato della
profondità del suo significato. È perciò opportuno
chiarire di cosa si stia ragionando.
Pontificale al trono
La messa pontificale è
quella celebrata da un prelato (cardinale, vescovo oppure
prelato inferiore) con le caratteristiche che le sono
proprie, e che derivano dall'utilizzo di particolari
tratti cerimoniali e specifiche insegne. La messa
pontificale per eccellenza è quella che il vescovo
celebra al trono (cathedra) della sua chiesa
cattedrale, con l'assistenza ed il servizio dei canonici
della stessa. In tale forma liturgica, come si evince
chiaramente, assume enorme importanza il trono, l'antica cathedra,
in origine eretta al centro dell'abside, in seguito
collocata al lato del Vangelo (il lato sinistro del
presbiterio per chi guarda l'altare), la quale viene ad
essere il luogo eletto per l'esercizio del munus
docendi vescovile.
Al trono si svolge la prima parte della messa
sino al principio dell'Offertorio, eccezion fatta per
quei riti che necessitano uno spostamento all'altare
come, per esempio, l'incensazione dello stesso. È dal
trono che il vescovo, durante la messa, legge l'Antifona
d'introito, alterna il Kyrie, prima intona e poi
recita a voce sommessa il Gloria in excelsis. È
ancora dal trono ch'egli benedice il suddiacono, dopo che
questi avrà cantato l'Epistola, benedice il diacono che
si appresta a cantare il Vangelo, concede, quando
previsto, le indulgenze dopo l'omelia, intona e recita il
Credo con le stesse modalità ricordate per il Gloria
[1].
Nella celebrazione, il vescovo sopra il rocchetto indossa
l'amitto
ed il camice,
quindi la croce pettorale, la stola,
la tunicella e la dalmatica ed infine la pianeta (se è metropolita sarà
aggiunto il pallio
benedetto dal Romano Pontefice; in alcune diocesi non
metropolitane vi è una insegna caratteristica detta razionale [2], poco dopo il Confiteor
assumerà il manipolo. Ai piedi porta i calzari
e i sandali,
del colore liturgico del giorno; fino all'Offertorio le
sue mani sono avvolte dai guanti
o chiroteche [3]. In momenti ben
precisi stringe tra le stesse il pastorale, richiamo
evidentissimo al suo alto ufficio ed alla sua
giurisdizione, il suo capo sarà coperto dal pileolo (o
zucchetto) e dalla mitra. All'altare, dietro la croce arde il settimo
cero, oltre alle sei candele richieste per la messa
solenne.
Al trono il vescovo è assistito da due canonici
dell'ordine diaconale [4],
che indossano il rocchetto sul quale sovrappongono
l'amitto e la dalmatica. Ad essi spetterà assistere il
vescovo per tutte le cerimonie della messa che si
svolgono al trono. Oltre ad essi, un sacerdote compie
l'ufficio di presbyter assistens, parato di piviale, cui
spetta l'assistenza al vescovo durante tutta la
celebrazione Quando il vescovo celebra, il prete
assistente deve essere il più degno dei sacerdoti
presenti (dignior omnino ex omnibus) [5].
Infine vi sono il diacono e suddiacono ministranti, il
diacono prende il nome di diacono del
Vangelo, anch'essi mutuati dal clero del
capitolo, i quali attendono, con alcune varianti,
agli uffici loro spettanti nelle messe solenni celebrate
da un presbitero (proclamazione di Epistola e Vangelo,
assistenza durante le incensazioni, ecc.). Vi è, poi, un
certo numero di chierici che attende ai diversi uffici:
quattro chierici, rivestiti di piviale, portano le
insegne, vale a dire provvedono alla custodia delle
mitre, del pastorale, del libro (il Messale) e della bugia [6], vi sono poi gli
accoliti che, come in tutte le messe solenni, attendono
ai candelieri, alle ampolle, al turibolo (turiferario) e
alle torce da portarsi alla consacrazione (ceroferari). I
canonici rivestono, sopra l'abito corale, i paramenti a
seconda dell'ordine cui afferiscono e vanno a disporsi in
circolo attorno il trono in alcuni specifici momenti
della celebrazione: si tratta di un privilegio proprio
dell'Ordinario del luogo anche fuori dalla cattedrale, e
detti circoli possono esser fatti solo da coloro che
rivestono la dignità canonicale.
Il "pontificaletto"
Il modo di celebrare fin
qui sommariamente descritto è certamente il più
completo ed esemplare della liturgia pontificale (pontificale
al trono). Talvolta il vescovo, trovandosi a celebrare
fuori dalla cattedrale, pontifica al trono in forma
ridotta, ovvero senza diaconi assistenti (i cui offici
vengono assorbiti dal diacono del Vangelo e dal
suddiacono) e senza canonici che si dispongono in circolo.
In siffatte circostanze, il presule rivestiva comunque
tutte le insegne sopra descritte, sedeva in un trono
eretto ad hoc [7] in
presbiterio, ed era in ogni caso, assistito dal prete
assistente. Comunemente detta forma di celebrazione era
detta nel gergo clericale "pontificaletto",
quasi a intendere, con simile diminutivo, una riduzione
del pontificale celebrato nella cattedrale, del quale,
tuttavia, serba i tratti cerimoniali e le insegne. La
differenza è da ravvisare essenzialmente nella riduzione
dell'assistenza, cioè delle persone che assistono il
vescovo celebrante. Tale "pontificaletto" era
assai usato nelle chiese parrocchiali, soprattutto in
occasione delle visite del vescovo diocesano.
Centralità del trono
È da sottolineare,
ancora una volta, la centralità del trono nella liturgia
romana pontificale: in tal senso il Caeremoniale
episcoporum è rigorosissimo nel riservare al solo
ordinario diocesano l'uso del trono che dovrà cedere
solamente ad un cardinale, in ideale ossequio alla dignità
principe dello stesso [8].
Solo col decreto 4023 della Congregazione dei Riti del 9
maggio 1889, successivo quindi all'ultima editio
typica del Caeremoniale, ancora in vigore nel
1962, si rimette alla facoltà degli ordinari di cedere
il trono ad altro vescovo, purché non sia il suo
coadiutore, ausiliare, né il vicario generale della sua
diocesi, né un canonico del suo capitolo. Si veniva così
a mitigare, parzialmente, la rigorosa disciplina fino ad
allora vigente.
L'assistenza pontificale
La celebrazione pontificale
da parte del vescovo è caratteristica delle solennità,
in altre occasioni egli interviene assistendo alla messa
solenne celebrata da un altro, assiso al trono, rivestito
del piviale e della mitra ed impugnando il pastorale. Il
pontefice è attorniato dai diaconi e dal sacerdote
assistente rivestiti dei loro abiti ed insegne corali, ai
piedi del trono si collocano, come alla messa
pontificale, i chierici portainsegne. In siffatte
circostanze il vescovo fa comunque la confessione ai
piedi dell'altare, benedice ed impone l'incenso, benedice
il suddiacono ed il diacono per il canto dell'Epistola e
del Vangelo, benedice l'acqua prima che alcune gocce
siano infuse nel calice, alla fine impartisce
la benedizione. In altre occasioni assisterà alla
messa solenne al trono rivestito della cappa magna.
La messa letta del vescovo (messa
prelatizia)
Se il vescovo celebra la
messa in canto, questa assume sempre la forma del
pontificale. Quando non la canta, la messa letta del
vescovo, detta prelatizia, si distingue per la presenza
di un certo numero di chierici, uno o due dei quali
assistono permanentemente il celebrante alla predella more
cappellanorum. In tal caso in mezzo all'altare, ove
il prelato celebra e prima ancora riveste i paramenti, in
luogo delle cartegloria o tabelle,
è disposto il Canon missae ed accanto al messale
viene collocata la bugia con la candela accesa. Alla
messa prelatiza, che può essere accompagnata dal suono
dell'organo o da cantici, non però dal canto
dell'Ordinario della messa, il prelato celebrante non
indosserà la tunicella e la dalmatica sotto la pianeta,
il suo capo sarà coperto dallo zucchetto (eccetto dalla
Secreta alle abluzioni dopo la Comunione), non
usa mitra né pastorale, neppure per predicare o
benedire il popolo [9] [10].
Pontificale al faldistorio
Non sempre, come si è
visto, i prelati possono pontificare al trono: in
questo caso la messa in canto avviene sempre in forma
pontificale ma con minore solennità. Il vescovo
residenziale fuori del proprio territorio, così il
vescovo titolare, coadiutore, ausiliare (e oggi pensiamo
anche emerito) celebra pontificalmente al faldistorio, l'antica sella curulis. In questo caso
non può recare il pastorale [11],
è ministrato dal diacono e dal suddiacono della messa, e
dal sacerdote assistente in piviale. Il faldistorio trova
la sua collocazione in plano al lato dell'Epistola
(parte destra del presbiterio per chi guarda l'altare),
il vescovo vi siede rivolto al popolo, mentre quando sta
in piedi (per esempio quando deve cantare le orazioni),
si rivolge all'altare. Anche nel pontificale al
faldistorio il vescovo indossa tutti i paramenti e le
insegne elencati per il pontificale al trono. L'unica
insegna che in questo caso, di regola, non si adopera è
il pastorale che può portare solo il vescovo nel proprio
territorio, altrimenti per concessione dell'ordinario del
luogo. Poiché, come si è detto, ormai al vescovo
estraneo può essere concesso anche il trono, nella
prassi si tende a mettere insieme l'uso (o il non uso)
del pastorale con quello del trono stesso.
Pontificali dei Cardinali nell'Urbe
In virtù della sua dignità
principesca, il cardinale può celebrare ovunque al trono.
Tale privilegio trova, però, il suo limite
nell'Urbe, la città di Roma sede del Papato: ivi la
serie di casi che possono verificarsi è assai
accuratamente regolamentata e rigorosamente ordinata,
talché riteniamo utile soffermarci su talune peculiarità.
Anzitutto, il Sacro collegio conosce al suo interno una
distinzione gerarchica in tre ordini: cardinali vescovi,
preti, diaconi. Gli eminentissimi padri del primo ordine
hanno i titoli delle storiche sette diocesi suburbicarie
(Ostia, Albano, Frascati, Palestrina, Porto-Santa Rufina,
Sabina-Poggio Mirteto, Velletri-Segni); i secondi hanno i
titoli presbiterali delle chiese dell'Urbe, gli ultimi le
diaconie delle medesime [12].
Ciascun cardinale prete nel suo titolo o diacono nella
propria diaconia possono erigere il trono [13], nelle altre
chiese di Roma non possono usare il trono, se non per
espressa licenza dal Sommo Pontefice, oppure qualora sia
loro ceduto da un altro cardinale il trono della di lui
diocesi, titolo o diaconia. I cardinali preti nel proprio
titolo pontificano al modo dei vescovi nelle loro
cattedrali con l'esclusione del settimo candeliere e
della benedizione con l'indulgenza dopo l'omelia; quando
occorresse l'assistenza pontificale, questa viene
usualmente compiuta in cappa magna. Nella loro diaconia,
i cardinali diaconi, invece, non possono compiere alcun
officio d'attribuzione presbiterale, quindi si limitano
all'assistenza in cappa giusta le prescrizioni del Caeremoniale
episcoporum. Quando non hanno diritto a erigere il
trono, i cardinali nell'Urbe pontificano al faldistorio.
Cappella papale e Cappella cardinalizia
Per concludere, intendiamo
accennare che cosa si intenda per Cappella papale e
Cappella cardinalizia, nelle quali occasioni il Sacro
collegio espleta la sua funzione liturgica precipua. La
locuzione Cappella papale sta ad indicare una solenne
funzione, generalmente messa o Vespri, che prevede la
celebrazione, o l'assistenza del Sommo Pontefice [14]) nella cappella
dei palazzi apostolici, oppure nelle basiliche o chiese,
con l'intervento del Collegio cardinalizio, dei vescovi,
dei prelati e quanti a diverso titolo abbiano a
partecipare alla cappella stessa [15].
Per Cappelle cardinalizie, invece, si intendono le
funzioni pontificali celebrate fuori dalle cappelle
palatine cui assista tutto il Sacro collegio o un gruppo
di cardinali (p.e. i membri di una Congregazione), senza
che sia necessario l'intervento di vescovi ed altri
prelati. Con la medesima denominazione si suole indicare
anche la partecipazione dei membri del Sacro collegio ai
Vespri di alcune solennità nelle basiliche patriarcali
nelle quali vi è il trono e l'altare papale [16], dietro invito
dei cardinali arcipreti delle medesime.
Pontificali nelle basiliche patriarcali
Per sottolineare lo stretto legame
esistente tra le basiliche patriarcali e la persona del
Sommo Pontefice gioverà ricordare che nelle stesse un
cardinale, sia pure lo stesso arciprete della basilica,
in nessun caso adopera il pastorale (a meno che non sia
espressamente richiesto in particolari funzioni indicate
dal Pontificale Romanum), non può incedere
benedicendo, né concedere indulgenze.
(continua)
francesco.tolloi@gmail.com
[1] Il Caeremoniale
episcoporum II, viii, 48 tratta dell'omelia che deve
tenere il vescovo celebrante: prevede che questi predichi
dalla cattedra se essa è collocata secondo la vetusta
modalità al centro dell'abside, quindi quando il trono
è rivolto al popolo ("quando est versa ad populum").
Nel caso, assai più frequente, trovi la sua collocazione
recenziore, invece, sarà disposto sulla predella
dell'altare un faldistorio affinché il presule parli
sedendo sul medesimo, volto verso il popolo. In siffatta
circostanza il faldistorio, per necessità di centralità
e visibilità, viene a far le veci della cattedra.
[2] Si tratta delle diocesi di
Paderborn e di Eichstätt in Germania, di
Toul e Nancy in Francia, di Cracovia in Polonia, sedi
vescovili appartenenti all'impero germanico.
[3] Delle modalità di
vestizione ci occuperemo in un prossimo intervento.
[4] I capitoli dei canonici, a
somiglianza del Collegio cardinalizio, presentano spesso
una distinzione in ordini interni: dignità (p.e.
preposito, decano), presbiteri, diaconi, suddiaconi.
[5] Caeremoniale
episcoporum, I, vii.
[6] A questi andrebbe aggiunto
un chierico in cotta che custodisce il grembiale serico
steso sulle ginocchia del vescovo quando siede. Se il
prelato officiante gode del privilegio v'è pure il
crocifero.
[7] Solo la chiesa cattedrale
gode del diritto al trono fisso.
[8] I legati pontifici, pur
potendo celebrare ovunque pontificalmente nei loro
territori, non potevano pretendere di pontificare al
trono nella cattedrale.
[9] Cfr. Caeremoniale
Episcoporum I, xxix, 11.
[10] Omettiamo, in
questa sede, altri particolari e questioni di
precedenza, specie nella complessa casistica
dell'assistenza pontificale; per le precedenze Caeremoniale
Episcoporum I, iv.
[11] Si fa eccezione per le
cerimonie che lo richiedono espressamente, ad esempio il
conferimento degli ordini.
[12] Per la normativa sui
cardinali si vedano Congregazione Ceremoniale, Norme
ceremoniali per gli eminentissimi signori cardinali,
Roma, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1943; si può
consultare con qualche profitto Nabuco, Ius
pontificalium, Tornaci, Desclée, 1956; per una
descrizione dettagliata Barbier de Montault, Le
costume et les usages ecclésiastiques, Paris, s.d. [1900],
2 voll.
[13] Detto trono differisce,
anche nell'ornamentazione, da quello delle cattedrali ed
è descritto al n. 60 di Congr. Ceremoniale, Norme
ceremoniali, cit., p. 16.
[14] Può anche accadere che
il Papa non intervenga, in tal caso l'officiante è
usualmente un patriarca o un arcivescovo o vescovo
assistente al soglio, o, eccezionalmente, un cardinale
dei primi due ordini.
[15] Vari sono stati gli
autori che si sono occupati a diverso titolo dei
pontificali papali: il già ricordato canonico Xavier
Barbier de Montault, in varie opere, ebbe ampiamente a
trattare di queste solennissime liturgie: tra esse
Barbier De Montault, L'octave des SS. Apotres Pierre
et Paul, Rome, Spithoever, 1866, che propone
una descrizione a tutto tondo, di gradevolissima lettura,
delle celebrazioni papali proprio alle soglie della
violenza che strappò i domini temporali. Di circa
vent'anni dopo il Caeremoniale Missae quae a summo
pontifice ecclesiae universalis ritu solemni celebratur,
Ratisbonae, Pustet, 1889, del cerimoniere Pietro Rinaldi-Bucci.
Approfonditi e riccamente documentati gli studi di Marc
Dykmans, specie sul cerimoniale di Agostino Patrizi
Piccolomini: Rituum ecclesiasticorum sive sacrarum
cerimoniarum Ss. Romanae ecclesiae, stampato a
Venezia nel 1516 e riscoperto da Jean Mabillon che ne curò
la ripubblicazione nel II volume del suo Museum
Italicum (Lutetiae Parisiorum, 1689); l'opera del
Piccolomini ha conosciuto una relativamente recente
ristampa anastatica nel 1965 (Ridgewood, New Jersey, Usa,
Gregg Press).
[16] Si tratta della basilica
Lateranense del Ss. Salvatore (S. Giovanni in
Laterano), di S. Pietro in Vaticano, Liberiana di S.
Maria Maggiore e di S. Paolo fuori le mura, la festa
della cui rispettiva dedicazione si celebra nel
Calendario universale del rito romano. Il principio
secondo cui nelle basiliche patriarcali l'altar maggiore
è riservato per diritto esclusivo al Sommo Pontefice
trovasi enunciato da Pio XI, Litt. Ap. Omnium Urbis
et orbis, 22 oct. 1924, in AAS 16, 1924, p. 451:
"continens enim est traditio, quod supra Basilicarum
Urbis, quae Patriarchales ac Papales nuncupantur, Altare
maius solus Pontifex Romanus sollemnia egerit, ...".