Messe latine antiche nelle
Venezie
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PROPOSTA DI TORNARE AL RITO ANTICO
MESSA latina anche a Mantova?
Raccolta di firme per presentare la petizione al vescovo Caporello. Le motivazioni della richiesta
Tornare alla messa recitata in latino anche a Mantova? Una provocazione, ma con un intento ben preciso: quello di arrivare all'obbiettivo. Così il 24 e il 25 maggio in piazza Mantegna (dalle ore 10.30 alle 18.30) e l'1 e 2 giugno in piazza Broletto (negli stessi orari) verrà effettuata una raccolta di firme tra i mantovani. Iniziativa promossa dal Coordinamento di Una Voce delle Venezie Associazione per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana. La delegazione mantovana che si occupa di questa raccolta ha sede in via Valsesia 4.
"Firma anche tu la richiesta al tuo vescovo": questo la slogan che accompagna l'iniziativa con lo scopo, appunto, di tornare alla Santa Messa in lingua latina in rito romano antico. Perché i cristiani chiedono la messa latina antica? La fede nella presenza reale e nel sacrificio eucaristico è la principale ragione di questo desiderio. E in marito a tale proposta, pubblichiamo un testo, a firma di Fabio Marino, che specifica i contenuti della richiesta.
"In epoche come la nostra, in cui la fede è minacciata da molteplici fattori, appare in modo particolarmente evidente che tutto ciò che si fa in favore della liturgia autentica, si fa anche in difesa della fede". Il card. Alfons Stickler, uno dei maggiori canonisti viventi, pronunciava queste parole a un convegno di studi sulla liturgia romana antica: con esse è chiaramente indicata la ragione profonda per cui gruppi di cristiani chiedono ai loro Pastori la messa detta "tridentina". Si tratta essenzialmente di una ragione di fede.
Anche a Mantova lo scorso aprile un centinaio di firmatari hanno chiesto al vescovo mons. Egidio Caporello che in una chiesa cittadina sia celebrata ogni domenica e festa di precetto una messa in rito latino antico secondo il Messale Romano ed. 1962. I richiedenti hanno esplicitamente dichiarato che il fine del loro desiderio è di "poter coltivare in questa messa la propria devozione, e viverne la particolare spiritualità, cui si sentono legati in forza della tradizione". La raccolta delle firme continuerà in forma pubblica, a cura della sezione mantovana del Coordinamento di Una Voce delle Venezie il 24 e 25 maggio in piazza Mantegna e l'1 e il 2 giugno in piazza Broletto, per dare la possibilità di associarsi a ulteriori interessati.
La messa tridentina indica il rito della messa stabilito dal papa san Pio V nel 1570 (bolla Quo primum) su richiesta del Concilio di Trento, il quale aveva demandato alla Santa Sede una nuova edizione tipica ufficiale dei libri liturgici. Per questo motivo il Messale Romano di san Pio V, e il rito in esso contenuto, viene comunemente chiamato "tridentino", e ciò anche in atti ufficiali recenti. Per distinguerla dalla c.d. messa nuova secondo il Messale Romano promulgato da Paolo VI nel 1970 - dopo la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II -, si parla quindi di messa tridentina, o anche di messa di san Pio V, messa latina (o romana) antica, messa tradizionale.
In realtà, però, il messale di san Pio V non è una creazione del XVI secolo, si tratta invece di una edizione critica del messale della Curia romana, in uso a Roma e in varie regioni dell'Occidente, che riproduceva nella sostanza la liturgia romana come era stata configurata all'epoca del cristianesimo antico dai papi san Damaso (secolo IV) e san Gregorio Magno (secolo VI-VII). Risale certamente all'antichità cristiana il Canone della messa, il formulario fisso della preghiera eucaristica, detto per questo motivo prex canonica e più tardi canon missae. Gli editori cinquecenteschi incaricati da san Pio V sfrondarono ampiamente le innovazioni che si erano aggiunte nel corso dei secoli al nucleo originario, e il messale - come ha affermato il card. Ratzinger - si presenta senza dubbio come il risultato di uno sviluppo organico.
Il Missale Romanum edizione tipica 1962 - cui fa riferimento la vigente normativa canonica per l'uso attuale - è l'ultima edizione del messale di san Pio V, riveduto dal beato Giovanni XXIII, rimasto dopo oltre quattrocento anni pressoché inalterato, se non per le periodiche aggiunte di nuove feste, con i relativi testi liturgici, la riforma della Settimana santa di Pio XII e le limitate modifiche all'Ordo missae apportate dallo stesso Giovanni XXIII. Oggi come ieri, esso ripropone con sostanziale fedeltà il rito millenario celebrato nella Chiesa d'occidente.
Ora, a favore dei fedeli che desiderano la messa antica Giovanni Paolo II ha stabilito nel 1984 che essi possono chiederla al proprio vescovo: "Il Santo Padre, nel desiderio di andare incontro anche a tali gruppi, offre ai vescovi diocesani la possibilità di usufruire di un indulto, in base al quale sacerdoti e fedeli, espressamente indicati nella lettera di richiesta da presentare al proprio vescovo, possono celebrare la messa, usando il Messale Romano secondo l'edizione del 1962" (Lettera circolare ai presidenti delle conferenze episcopali Quattuor abhinc annos, 3 ottobre 1984).
Il vescovo diocesano ha il compito di concedere il permesso: lo stesso Papa ha confermato tale normativa nel 1988, indicando però anche un fondamentale criterio cui i vescovi devono ispirarsi, la generosità: "dovrà essere ovunque rispettato l'animo di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica latina, mediante un'ampia e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla Sede Apostolica, per l'uso del Messale Romano secondo l'edizione tipica del 1962" (Motu proprio Ecclesia Dei, 2 luglio 1988).
Dieci anni dopo Giovanni Paolo II ha ribadito tutto ciò, insistendo sulla comprensione e sull'attenzione pastorale verso coloro che definisce "i fedeli legati all'antico rito": "Invito inoltre fraternamente i vescovi ad avere una comprensione e un'attenzione pastorale rinnovata per i fedeli legati all'antico rito e, alle soglie del terzo millennio, ad aiutare tutti i cattolici a vivere la celebrazione dei santi misteri con una devozione che sia un vero alimento per la loro vita spirituale" (Discorso ai membri della Fraternità Sacerdotale san Pietro nel decimo anniversario del Motu proprio Ecclesia Dei, 26 ottobre 1998).
È di qualche mese fa la dichiarazione del card. Darío Castrillón Hoyos, prefetto della Congregazione per il clero, il quale ha assicurato che "la Santa Sede farà il possibile per garantire ai fedeli attaccati alla liturgia tradizionale il rispetto delle loro giuste aspirazioni" (Lettera 7 marzo 2003, Prot. 45/2003).
Il 24 maggio prossimo a Roma, nella basilica di S. Maria Maggiore il card. Castrillón Hoyos celebrerà personalmente all'altare papale una messa latina antica secondo il messale del 1962: questo gesto significativo è interpretato come un esempio e un invito alla liberalizzazione rivolto a tutti i vescovi dell'orbe cattolico.
Certamente da tutte queste indicazioni autorevoli è possibile ricavare alcuni punti fermi.
1. La messa tridentina secondo il messale del 1962 non è vietata, non è proscritta, non è qualcosa di negativo come la vedono - per motivi inspiegabili - taluni preti: il messale antico è ancora legittimamente in uso, in base a precise disposizioni della Santa Sede. Inoltre esso non risulta essere mai stato espressamente abrogato - vari cardinali lo considerano, infatti, tuttora in vigore. Il suo mantenimento del resto trova piena giustificazione nel principio dell'eguaglianza di diritto e di onore di tutti i riti legittimamente riconosciuti dalla Chiesa, sancito dal Concilio Vaticano II (Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 4).
2. I cristiani che chiedono al proprio vescovo la messa latina antica non sono reprobi, o persone da guardare con sospetto, anzi fanno quanto il Papa stabilisce che possono liberamente fare, dichiarando giuste le loro aspirazioni, e dimostrano senza dubbio fedeltà alla Chiesa.
3. La risposta del vescovo che ha ricevuto la richiesta deve essere generosa, dice Giovanni Paolo II (quasi sottintendendo che potrebbero esservi anche vescovi, pastori non generosi verso i propri fedeli). Innanzitutto il vescovo deve rispondere, dovrebbe farlo in modo formale. L'indulto demandato ai vescovi è stato fatto perché i permessi siano regolarmente dati, non perché siano regolarmente negati. Il rifiuto, che si presenta come un caso eccezionale, deve essere adeguatamente motivato con ragioni valide e sussistenti, non elusive. Dire di essere semplicemente contrario a un tale permesso vuol dire investire il campo della decisione pontificia, ed evidentemente non accettarla.
4. Vedere la concessione come un gesto grazioso, e quindi arbitrario del vescovo è un'interpretazione errata, in contrasto con la legge della Chiesa e con il carattere intelligente e libero della coscienza cattolica.
Qual è la ragione di fondo per cui questi gruppi si rivolgono ai propri vescovi per la messa antica? Individuare correttamente tale motivazione profonda significa anche comprendere perché il Papa qualifica le aspirazioni di questi cristiani come "giuste".
La ragione primaria non può essere l'estetismo, la bellezza delle cerimonie e del canto, l'amore per il latino, la nostalgia e il ricordo del tempo passato, per alcuni della propria giovinezza vissuta all'epoca dell'antica liturgia. Si tratta di sentimenti apprezzabili, ma si va a messa per la religione e la fede. Il rito di san Pio V, con la precisa bellezza delle formule e delle cerimonie, con la lingua latina che esprime la dignità incomparabile della lingua sacra, contiene in sommo grado il carattere essenziale della liturgia, quello di servizio reso davanti a Dio ove si percepisce la realtà del mistero. È un rito, dunque, che vale ad adempiere perfettamente il dovere dell'uomo in quanto essere sociale di rendere onore a Dio con culto pubblico solenne. Anche su questo Giovanni Paolo II ha detto di recente una parola illuminante, affermando che "nel Messale Romano, detto di san Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia".
L'esigenza di coltivare la propria devozione nella messa antica, e di viverne la particolare spiritualità - quindi di partecipare a questo rito tutte le domeniche - si fonda particolarmente al giorno d'oggi, tempo di crisi di fede, sul fatto che la messa tridentina esprime nel modo più forte, rigoroso e univoco la dottrina eucaristica della Chiesa cattolica, formulata appunto dal Concilio di Trento. La fede piena e senza ambiguità nella messa come sacrificio, nella presenza reale e negli altri punti della dottrina tradizionale è ciò che spinge i cristiani ad aspirare a questa messa: è senza dubbio un'aspirazione giusta, come ha detto Giovanni Paolo II.
Ecco perché i fedeli della tradizione teologica - sono ancora parole del card. Stickler - devono continuare a manifestare in uno spirito di obbedienza ai superiori legittimi il loro giusto desiderio e la loro preferenza pastorale per la messa tridentina.
Fabio Marino
da "La Cronaca di Mantova", 23 maggio 2003
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