Messe latine antiche nelle
Venezie
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La messa torni a essere
un evento sacrodi Paolo Gambi
Chissà se riuscirà a mettere mano alla riforma liturgica. Da cardinale Papa Benedetto XVI aveva più volte espresso un certo disagio, diffuso in ambito ecclesiale, per la riforma liturgica avvenuta dopo il Concilio Vaticano II. D'altra parte ancora non si capisce bene come si sia potuti arrivare nel giro di pochi anni da una messa solenne, celebrata in latino con una sacralità liturgica radicata nei secoli e circondata da canti gregoriani millenari, alle sciatte messe che taluni sacerdoti celebrano, magari in ciabatte e frettolosamente durante un qualche campo scuola, al suono della chitarra e del coro che canta "ci son due coccodrilli". Che fine ha fatto in molte celebrazioni odierne quel senso di sacro di cui la messa dovrebbe essere declinazione visibile?
Che fine hanno fatto tutti quei significati profondi e ben orchestrati di ogni più piccolo gesto delle celebrazioni liturgiche? Oggi ogni celebrante si trova nella possibilità, perché tollerata, di comporre la messa che più gli piace, di seguire dettagliatamente o meno le disposizioni che regolano lo svolgimento della celebrazione, di celebrare in italiano. Ma in questo modo la messa si trova alle volte ad avere più il clima di una riunione di un dopolavoro che di un evento sacro, facciamo un paragone con gli ortodossi. Entrare in una chiesa ortodossa durante una celebrazione fa ripercorrere i secoli di fede che il rito ha attraversato, e da cui ha acquisito elementi e caratterizzazioni successive. Basta provarlo una volta per rendersene conto. Perché invece i cattolici romani devono far finta di non appartenere ad un albero bimillenario che con il suo tronco ha attraversato la storia, e che è stato presente innanzitutto con la celebrazione del sacrificio eucaristico durante questi lunghi duemila anni? Cosa è rimasto nel rito di questa lunga traversata nei sentieri del tempo?
Per non parlare poi di quello che è successo nel passaggio dal latino all'italiano. Ci deve essere qualcuno giù nei palazzi vaticani che con il latino non ha un buon rapporto. O che forse pensa che tutti se lo siano dimenticato e quindi ne fa l'uso che gli pare. Per fare un esempio recente, ed uscire un attimo dal campo della liturgia, il rogito di Papa Giovanni Paolo II a un certo punto recita: "In his communistarum quarundam nationum regiminum dissolutiones annumerantur, ad quam rem multum contulit ipse Sumrnus Pontifex", che significa all'incirca: "Si annovera la caduta di taluni regimi comunisti, alla quale lo stesso Sommo Pontefice molto contribuì". La traduzione ufficiale in italiano è invece stata resa cosi: ''Si annovera la caduta di taluni regimi, alla quale egli stesso contribuì". "Communistarum" in italiano scompare. E lo stesso nelle traduzioni nelle altre lingue! Analoga cosa è avvenuta quando si è tradotta la messa latina in italiano. Tanti piccoli errori dì traduzione che cambiano il significato delle frasi costellano le messe a cui andiamo. Per non seguire le tante polemiche che accompagnano ancora la traduzione italiana, prendiamone una francese. Quello che in latino era: "Orate fratres ut meum ac vestrum sacrifìcìum acceptabiie fiat apud Deum Patrem omnipotentem" (Pregate fratelli perché il mio e il vostro sacrificio sia accettabile da Dio Padre onnipotente), diventa nella traduzione francese, "Preghiamo insieme nel momento di offrire il sacrificio di tutta la Chiesa". Oppure, "Suscipiat Dominus sacrificium de manibus tuis ad laudem et gloriam nominis sui, ad utilitatem quoque nostram, totiusque Ecciesiae suae sanctae" (Il Signore riceva dalle tue mani il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa), in francese diventa "Per la gloria dì Dio e la salvezza del mondo". Come si vede non e una traduzione, ma una vera e propria composizione. Vedremo dunque come si muoverà, anche di fronte a questa problematica, il puntualissimo Papa Benedetto.
da "La Voce di Romagna", 26 aprile 2005
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