Francesco e il latino
La messa antica non si tocca,
il Papa gesuita spiazza ancora tutti
I vescovi pugliesi chiedono il ritiro del motu proprio di
Ratzinger. Bergoglio dice no, servono cose nuove e antiche
Chi pensava che con l'arrivo al Soglio di Pietro
del gesuita sudamericano Jorge Mario Bergoglio la messa in
latino nella sua forma extra-ordinaria fosse archiviata per sempre,
aveva fatto male i conti. Il motu proprio ratzingeriano del 2007, il
Summorum Pontificum, non si tocca, e il messale del 1962 di Giovanni
XXIII (che poi è l'ultima versione di quello tridentino del Papa
santo Pio V) è salvo. Quel rito con il celebrante rivolto verso Dio
e non verso il popolo, con le balaustre a separare i banchi per i
fedeli dal presbiterio, non è un'anticaglia, detrito da spedire in
qualche museo a impolverarsi. È
stato proprio il Pontefice regnante a dirlo, ricevendo qualche
giorno fa nel Palazzo apostolico la delegazione dei vescovi pugliesi
giunti a Roma in visita ad limina apostolorum, come fa tutto
l'episcopato mondiale ogni cinque anni.
Come ha scritto sul suo blog il vaticanista Sandro
Magister, i vescovi pugliesi sono stati i più loquaci, con clero e
giornalisti. La scorsa settimana, il capo della diocesi di Molfetta,
Luigi Martella, ha raccontato come Francesco sia pronto a firmare
entro l'anno l'enciclica sulla fede che Benedetto XVI starebbe
portando a termine nella tranquillità del monastero Mater Ecclesiae,
aggiungendo addirittura che Bergoglio ha già pensato alla sua
seconda lettera pastorale, dedicata alla povertà e intitolata "Beati
pauperes". Dichiarazioni che hanno costretto la Santa Sede a
smentire, rettificare e chiarire, con padre Federico Lombardi che
invitava a pensare "a un'enciclica per volta". Poi è toccato al
vescovo di Conversano e Monopoli, Domenico Padovano, che al clero
della sua diocesi ha raccontato come la priorità dei vescovi della
regione del Tavoliere sia stata quella di spiegare al Papa che la
messa in rito antico sta creando grandi divisioni all'interno della
chiesa. Messaggio sottinteso: il Summorum Pontificum va cancellato,
o quanto meno fortemente limitato. Ma Francesco ha detto no.
È
sempre monsignor Padovano a dirlo, spiegando che Francesco ha
risposto loro di vigilare sugli estremismi di certi gruppi
tradizionalisti, ma suggerendo altresì di far tesoro della
tradizione e di creare i presupposti perché questa possa convivere
con l'innovazione. A tal proposito, come scrive Magister, Bergoglio
avrebbe pure raccontato le pressioni subite dopo l'elezione per
avvicendare il Maestro delle cerimonie liturgiche, quel Guido Marini
dipinto al Papa come un tradizionalista che andava rimandato a
Genova, la città che nel 2007 lasciò a malincuore obbedendo alla
volontà di Benedetto XVI che lo volle a Roma. Anche in questo caso,
però, Francesco ha opposto il suo rifiuto a ogni cambiamento
nell'ufficio delle cerimonie. E lo ha fatto "per fare tesoro della
sua preparazione tradizionale", consentendo al mite e poco
protagonista Marini di "avvantaggiarsi della mia formazione più
emancipata".
La differenza culturale c'è tutta, il gesuita che
per tradizione ignaziana "nec rubricat nec cantat" si trova
improvvisamente catapultato in una realtà in cui negli ultimi otto
anni erano stati pazientemente e lentamente recuperati elementi
liturgici abbandonati negli ultimi trenta-quarant'anni,
giustificando così chi vedeva nel Concilio una rottura anche in
campo liturgico. Il filo conduttore delle cerimonie benedettiane era
riassumibile nella sintesi tra solennità e compostezza: il ritorno
sull'altare dei sette alti candelabri e della croce centrale e gli
avvisi a non applaudire ne sono un esempio. E poi il latino, lingua
della chiesa, che veniva usato per le celebrazioni non più solo a
Roma ma in ogni angolo del pianeta, Africa compresa. Non pochi,
guardando il volto serio di Marini quella sera di marzo mentre
Bergoglio appariva per la prima volta alla Loggia delle Benedizioni
con la semplice talare bianca, senza mozzetta né stola, avevano
previsto un avvicendamento imminente. Invece Francesco sa che Roma
non è Buenos Aires, che fare il Papa richiede anche di mantenere un
apparato simbolico ancorato nella storia e nella tradizione
millenaria della chiesa cattolica.
La continuità che non piace a tutti
Un recupero, quello avvenuto negli anni di
Benedetto XVI, che a molti non è piaciuto, anche dentro le Mura
leonine. Monsignor Sergio Pagano, prefetto dell'Archivio segreto
vaticano, diceva lo scorso 7 maggio a margine della presentazione
della costituzione d'indizione del Concilio "Humanae salutis" che
"quando oggi vedo in certi altari delle basiliche quei sette
candelabri bronzei che sovrastano la croce mi viene da pensare che
ancora poco è stato capito della costituzione sulla liturgia
Sacrosanctum Concilium". Ecco perché qualcuno, come il vescovo di
Cerignola-Ascoli Satriano, monsignor Felice Di Molfetta - che da
sempre considera la messa in forma extra-ordinaria incompatibile con
il messale di Paolo VI, espressione ordinaria della lex orandi della
chiesa cattolica di rito latino - qualche giorno fa ha fatto sapere
ai fedeli della sua diocesi di essersi vivamente rallegrato con
Francesco "per lo stile celebrativo che ha assunto, ispirato alla
nobile semplicità sancita dal Concilio".
Matteo Matzuzzi
da "Il Foglio", 28 maggio 2013