"Abbiamo
negato il peccato"
di Cristina Campo
III Domenica di Avvento
1965
Cara,
la tua lettera del
giorno dell'Immacolata Concezione, che Elémir mi ha
mostrato, mi ha dato molta gioia. Se già non l'hai fatto,
leggi il Mattutino di quella festa: le lezioni del II e
del III Notturno (Sermone di S. Girolamo e Omelia di S.
Germano) - e nel Mattutino di oggi (II Notturno) il
Sermone di Leone il Grande sopra il digiuno.
Vorrei tu potessi udire
queste lezioni cantate, all'Abbazia di Sant'Anselmo, la
sera precedente la festa, tra le 7 e le 8. Ciascuna
termina con un profondo inchino del lettore e un "Tu
autem Domine miserere nobis", a cui risponde il
"Deo Gratias". Poi viene il Responsorio
dialogato e infine il lettore chiede all'Abate,
inchinandosi: "Jube Domine benedicere". E colui
risponde con un breve distico rimato (che troverai
esemplificato nel mattutino della Domenica) di sapore
squisitamente popolare; p. es. "Ad societatem civium
supernorum / perducat nos Rex Angelorum", ovvero:
"Per Evangelica dicta / deleantur nostra delicta".
Fa molto freddo, duramente freddo in chiesa a quell'ora.
Iersera non c'ero che io sola, nella navata. I monaci
sono tutti in cocolla e cappuccio - e da come ciascuno
rialza il suo cappuccio si comprende se sarà vero monaco,
perché il vero monaco è altero del suo abito, che è l'eleganza
stessa, e lo porta da re.
Meditando sulla tua
bellissima lettera mariana, ripensavo a quale miracolo,
possibile solo per virtù di grazia, sia ogni ora di
questa nostra vita, sempre più simile alla vita in una
foresteria di convento. Intendo: che a queste letture,
questi canti, questa feste sia consentito di sopravvivere.
Per esempio: come mai si celebra ancora la festa
dogmatica dell'Unica Immacolata, mentre implicitamente si
nega, in mille modi, la maculazione di tutti gli altri?
In un mondo dove non è più riconosciuto non dico il
sacrilegio, l'eresia, la blasfemia, la predestinazione al
male - ma il puro e semplice concetto di peccato? Padre
Mayer mi disse un giorno di scrivergli tutte le cose che
mi turbano nello svolgersi del Concilio; e io gli riposi:
"ma non sono che due, sempre le stesse: la negazione
della Comunione dei Santi (potenza della preghiera, ruolo
sovrano della contemplazione, reversibilità e
trasferimento delle colpe e delle pene) e il rifiuto
della croce (l'uomo "non deve più soffrire",
restare un'ora sola inchiodato alla croce della propria
coscienza o alla porta chiusa di un irrevocabile non
licet)". Non parliamo di applicazione della
parola del Maestro: rinnegate il padre e la madre (i.e.
tutto ciò che vi è stato insegnato prima della mia
venuta nella vostra anima); passato, presente, patria,
partito - tutto ormai è conciliabile con la Croce (e con
ciò che essi pensano lo sia) purché non ci sia mai
problema escatologico. A morte il monaco contemplativo
che vive già per metà nella "Urbs Jerusalem Beata"
-: terrestre dev'essere, questa Gerusalemme e poco
importa se somiglierà stranamente alla Torre di Babele
alzata nel centro di Sodoma o di Gomorra...).
I falsi monaci di
Cuernavaca, figli di Satana intenti alle opere del padre
loro, fabbricano di queste piccole croci per fedeli
convinti dell'inesistenza del maligno e della necessità
della libera coscienza: crocette che sono in tutti simili
alla vera Croce quale doveva apparire agli occhi dei
Crocifissori: una povera, comica cosa. (Non dirlo
a Enrique, che me ne portò una: aspetto un vero eretico
- non ce ne sono quasi più, poiché lo sono tutti - per
regalargliela).
Tu mi ringrazi, cara,
del Breviario. Io ti sto ringraziando dal 2 di Novembre
per quella meravigliosa cena funeraria che hai saputo
raccontarmi come la grande romanziera che sei: con
verità perfetta. In questo mese, che dedico unicamente
("unicamente" aggiunto sopra il rigo) al
suffragio di mia Madre, non... [mancano fogli].
da
«Avvenire», 2 agosto 2003. La lettera si legge ora, con il n. 14,
nell'epistolario C. CAMPO, Se tu fossi qui. Lettere a María Zambrano 1961-1975,
a cura di M. PERTILE, Milano, Archinto, 2009, pp. 47-49.