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San Pio X, patriarca di Venezia
di Silvio Tramontin
Quando
dopo parecchi mesi dalla sua nomina, appianata la questione dell'exaequatur
regio, il card. Giuseppe Sarto, prendeva finalmente possesso della
cattedra patriarcale, il 24 novembre 1894, nella sua prima omelia
in San Marco così si presentò ai veneziani: "Io, dunque, vi amo: da
questo momento vi amo tutti. Vi amo, ma non di un amore terreno, ma
di un amore forte e celeste, che mira specialmente a promuovere il
bene delle anime vostre. Anche se non vi ho mai veduto, tutti io vi
porto già nel mio cuore. Parroci, clero, magistrati, nobili,
facoltosi, figli
del popolo e poverelli, voi siete la mia famiglia;
voi siete il mio cuore ed il mio amore e da voi altro non desidero
che corrispondenza di affetto. Io bramo che voi, amandomi, possiate
dire con tutta la sincerità dell'anima: 'Il nostro Patriarca è un
uomo di rette intenzioni, il quale non vuole mezzi termini, tiene
alta la bandiera incontaminata del Vicario di Cristo e non mira ad
altro che a sostenere e a difendere la verità e a fare del bene'.
Che se un giorno io dovessi venir meno a questo programma che ora
qui solennemente vi esprimo, Dio piuttosto mi faccia prima morire".
Questo era stato del resto il suo programma anche come cappellano a
Tombolo (1858 - 1867), parroco a Salzano (1867 - 1875), direttore
spirituale del seminario e cancelliere vescovile a Treviso (1875 -
1884), e infine vescovo di Man-
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tova (1885 - 1894): amare tutti, promuovere il bene delle
anime, difendere la verità. E tutti questi ministeri Io avevano
preparato al governo del patriarcato.
LA CARITÀ
Poiché poi quelle che aveva pronunciato non restassero
soltanto parole, il che del resto non rientrava nelle sue abitudini,
iniziò nei giorni immediatamente successivi al suo ingresso le
visite agli ospedali, alle carceri, al brefotrofio, al ricovero di
mendicità, portandovi non solo il conforto della sua presenza, anche
segni tangibili della sua carità. "Il lavoro è gioia, gloria la
fatica. Se questa operosità si ammira quando il vescovo pontifica
all'altare, quando predica, quando istruisce, quando conferma -
aveva detto sempre nella sua prima omelia in San Marco - essa però
non appare giammai così sublime come allorché il vescovo scende in
mezzo al popolo, si accomuna coi più abbandonati dei suoi figli e
porta il suo braccio, la sua mano, la sua parola di pace e di amore
in mezzo ai poveri ed ai miseri. I tesori del vescovo furono detti
tesori dei poveri - aveva poi aggiunto. Ma poiché ora questi tesori
sono esausti ed il vescovo è divenuto impotente a soccorrere le
miserie, quale dolore per il suo cuore sapere che vi sono tanti che
piangono, tante vedove, tanti orfanelli che si spengono d'inedia! O
ricchi, aiutate il vostro patriarca a fare la carità".
Quelle visite furono poi ripetute diverse volte fino ad
arrivare ad episodi commoventi, come quando nel settembre del 1900
per ben tre giorni consecutivi volle egli stesso confessare i
carcerati o quando, saputo che trenta degenti dell'ospedale militare
avevano rifiutato la comunione pasquale, egli stesso vi si recò e
parlò con accenti così fervidi che anch'essi alla fine si
confessarono e vollero farlo proprio con lui. Le testimonianze dei
processi di beatificazione ricordano anche diversi fatti riferentesi
alla sua carità e come tra l'altro egli fosse costretto a
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domandare dei prestiti perché l'assegno della mensa patriarcale, che
riscuoteva ogni tre mesi, era finito già tutto nelle mani dei
poveri.
La carità doveva permeare tutta la sua vita ed esserne
l'anima, ma come vescovo doveva pure pensare ad incrementare la vita
religiosa dei suoi diocesani. Concepì a tal fine quello che oggi
potremo chiamare un piano pastorale basato essenzialmente su questi
punti: formazione ed aggiornamento del clero, dottrina cristiana e
predicazione, liturgia, azione cattolica e movimento economico
sociale, stampa.
LA
FORMAZIONE DEL CLERO
Una
delle sue prime preoccupazioni fu infatti il seminario. Dettò di suo
pugno un nuovo regolamento disciplinare con cui soppresse tra
l'altro il convitto per gli alunni non chiamati alla vita
sacerdotale, affinché la formazione dei chierici potesse essere più
qualificata, rinnovò quasi completamente il collegio dei professori
cercando di inserirvi uomini capaci e dotati, aggiunse nuovi
insegnamenti come quelli di scienze economiche-sociali e di
archeologia cristiana, istituì una scuola giuridico-canonica con
facoltà di conferire i gradi accademici e promosse pure delle
conferenze di aggiornamento nelle principali scienze teologiche.
Amava poi recarsi spesso in seminario e intrattenersi con i
chierici per conoscerli sempre meglio ed accattivarsi nello stesso tempo la loro simpatia. Più di una volta predicò ad essi gli
esercizi spirituali. Voleva che anche in tal modo aderissero al
loro vescovo e, attraverso esso, al papa.
Per i sacerdoti rinnovò in
forme più moderne l'abituale pratica dei casi di morale, istituì il
ritiro mensile da lui predicato e intervenne sempre, per dare il
buon esempio, al corso diocesano annuale di esercizi spirituali. Con
il clero insisteva soprattutto sull'istruzione cristiana, la
celebrazione della liturgia e l'organizzazione del movimento
cattolico perché attraverso que-
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sti
mezzi rifluisse nei fedeli quella fede e quella spiritualità che
voleva irrobustire in loro.
Più che sulla predicazione insistette
sulla dottrina cristiana per i fanciulli e gli adulti. "Si predica
troppo e si istruisce troppo poco - scriveva in una lettera al clero
neppur due mesi dopo la sua venuta a Venezia. Si mettano da parte
quei discorsi fioriti e si predichi al popolo piamente e
semplicemente le verità della fede, i precetti della Chiesa, gli
insegnamenti del Vangelo, le virtù ed i vizii, perché avviene spesso
che le stesse persone colte nelle scienze profane ignorino affatto o
male conoscano le verità della fede e sappiano del Catechismo assai
meno dei fanciulli più idioti. Si pensi al bene delle anime più che
all'impressione che si pretende di fare. Il popolo è assetato di
verità: si dica a lui ciò di cui abbisogna per la salvezza della sua
anima; e allora, istruito nel suo stesso linguaggio, penetrato e
commosso, piangerà i suoi falli e si accosterà ai sacramenti divini".
In conseguenza ai principi esposti cercò che la predicazione,
forse anche troppo abbondante allora, fosse una vera e propria
istruzione religiosa, dandone egli per primo l'esempio nelle sue
prediche e soprattutto badò a che si riorganizzassero le scuole
parrocchiali della dottrina cristiana, insistendo in modo
particolare sul catechismo domenicale agli adulti. I sacerdoti
veneziani seguirono le direttive del loro vescovo e le testimonianze
dei processi canonici sono concordi nel constatare un immediato e consolantissimo rifiorire di fede e di costumi veramente cristiani
in conseguenza di ciò.
LA
LITURGIA
Accanto alla formazione del popolo alla vita cristiana attraverso
la catechesi e come espressione di essa, il card. Sarto volle che i
preti della sua diocesi dedicassero cure particolari alle
celebrazioni liturgiche sia quelle usuali, sia quelle più solenni.
E vide nella riforma della musica sacra uno dei mezzi più efficaci
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per
rendere partecipata e goduta la liturgia. Fu il primo tra i vescovi
italiani ad occuparsi del problema ed il primo maggio 1895 scrisse
in proposito quella lettera, che formerà poi la base del Motu
proprio emanato nel 1903, diventato egli pontefice. "La musica
sacra - vi si poteva leggere - per la stretta unione che ha con la
liturgia e con il testo liturgico deve partecipare in grado sommo
delle qualità che sono proprie di esso: santità, bontà dell'arte,
universalità. La Chiesa ha costantemente condannato tutto ciò che
nella musica è leggero, volgare, triviale, ridicolo; tutto ciò che è
profano e teatrale, sia nella forma della composizione, sia nel modo
con cui essa viene proposta dagli esecutori (...). Essa ha fatto
sempre valere nelle sue musiche le ragioni dell'arte vera, per cui
ha meritato sommamente della civiltà (...). Per ultimo la Chiesa ha
avuto costante riguardo alla universalità della musica da essa
prescritta in forza di quel principio tradizionale che come una è
la legge del credere, così sia una la forma della preghiera e, per
quanto possibile, la norma del canto". Questi principii volle
fossero anzitutto applicati alla cappella marciana, alla cui
direzione chiamò don Lorenzo Perosi, al seminario, dove istituì una
scuola di canto gregoriano, alle singole parrocchie, spingendo i
sacerdoti alla costituzione di una schola cantorum che eseguisse
canti gregoriani, buona polifonia, e semplici composizioni per il
popolo. Di queste ultime si dilettava egli stesso già da chierico
nel seminario di Padova e don Zaggia ne ha pubblicati recentemente
alcuni saggi dai manoscritti custoditi nel seminario di Venezia. A
chi poi obiettava che il popolo non gustava più quei canti e che
c'era il pericolo che disertasse le funzioni liturgiche perché non
udiva più le musiche che gli piacevano osservava: "Il solo piacere
non è mai stato il retto criterio per giudicare delle cose sacre e
il popolo non deve essere secondato nelle cose non buone, ma educato
e istruito. Io dirò - concludeva il patriarca - che troppo si
abusa di questa parola popolo, il quale si dimostra nel fatto ben
più serio e devoto di quel che d'ordinario si crede, gusta le
musiche sacre, né lascia di frequentare le chiese dove quelle
s'eseguiscono".
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D'altra parte la riforma della musica sacra avrebbe dovuto non solo
rendere più seria la celebrazione liturgica, ma anche farvi
partecipare sempre di più il popolo. "Io me le immagino qualche
volta - aveva scritto al suo amico vescovo di Padova, il veneziano
mons. Callegari - mille voci che cantano in una chiesa di campagna
la Messa degli angeli o i Salmi dei vesperi corali e sono rapito,
come mi eccitano sempre alla pietà e alla divozione i canti del
popolo nel Tantum Ergo, nel Te Deum e nelle litanie e li preferisco
alle musiche polifoniche che non siano ben condotte".
L'AZIONE CATTOLICA
Un
altro campo in cui il card. Sarto volle impegnare i suoi sacerdoti
fu quello dell'azione cattolica. "Io non so concepire - disse nel
1895 ai convenuti per la decima adunanza regionale veneta
dell'Opera dei Congressi - un parroco che non abbia costituito
ancora nella sua parrocchia il Comitato parrocchiale, non solo
perché disobbedisce ai comandi precisi del Santo Padre, ma perché si
priva di un valido aiuto, senza del quale non può compiere molte
opere del suo ministero o queste restano infruttuose". E continuò
incitando i presenti al lavoro: " Una sola parola per raccomandarvi
una sola cosa: l'azione. Non molti discorsi, perché le chiacchiere
sono da lasciarsi agli uomini della politica: a noi i fatti. I
membri dei Comitati parrocchiali devono essere i collaboratori del
parroco, coadiuvandolo in tutte le opere dello zelo sacerdotale,
nell'insegnare la dottrina cristiana, nel bene dirigere i patronati,
nel riportare la pace nelle famiglie, in modo che il Vicario di
Cristo possa validamente contare sul popolo nella difesa dei suoi
diritti, senza di cui non vi può essere alcun bene, né religioso, né
morale. E sopra tutto disciplina, obbedienza, abnegazione. Lavorare
ma senza mire temporali, senza interessi privati, senza ambizioni
personali, dimostrando una condotta irreprensibile nei nostri doveri
verso Dio, verso il prossimo, verso noi stessi". L'Opera dei
Congressi, che aveva
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allora
a Venezia la sua direzione nazionale, godette sempre la sua stima e
lo dimostrarono la difesa di Paganuzzi dagli attacchi del Murri
nel 1902 e il suo intervento quando la crisi si insinuò nel 1900
nello stesso Comitato diocesano locale.
Comitati parrocchiali e
sezioni giovani furono oggetto delle sue cure più assidue, presente
sempre con la sua parola incitatrice, il suo appoggio e il suo aiuto ad ogni convegno di uomini o di giovani. Né trascurò di
appoggiare il movimento economico sociale. Durante il suo governo
pastorale sorsero a Venezia ben 15 casse operaie e alcune
interparrochiali, sulle 30 parrocchie della città, diverse società
di mutuo soccorso, il Banco Cattolico San Marco, il segretariato del
popolo. Appoggiò sempre i più deboli, in modo particolare la scuola
dei merletti di Burano (oggi denominata cooperativa Pio X) e
nell'agosto del 1901 intervenne personalmente a sedare uno sciopero
di 2000 tabacchine ottenendo dai datori di lavoro la concessione di
buona parte delle loro rivendicazioni. Resta pure degno di nota in
pro-posito il discorso da lui tenuto nel 1896 a Padova al secondo
congresso dell'Unione cattolica per gli studi sociali.
Comprese
anche la grande importanza della stampa cattolica e perciò sostenne
il quotidiano cattolico veneziano La Difesa. Quando le condizioni
economiche del giornale erano gravi giunse a dire: "Se altro non
avrò da dare, darò il mio anello, darò la mia croce. Me ne basterà
una di metallo. Darò anche questa veste rossa: darò fondo a tutto,
ma voglio che il giornale viva". E al suo nuovo direttore mons.
Ferdinando Apollonio, succeduto al padre Zocchi, che taluno pensava
richiamato a Roma per desiderio del patriarca che vedeva
compromessa l'alleanza dei cattolici coi moderati
dall'intransigenza del gesuita, così scriveva: "Sono intimamente
convinto della necessità del giornale cattolico, che, valido
coadiutore del sacerdozio, compie nelle famiglie la predicazione
evangelica, supplisce per quelli che non possono ascoltarla e con
lavoro di continua riparazione si studia di guarire le ferite
impresse alla fede e al costume dai fogli sovversivi e corruttori".
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VISITA
PASTORALE E SINODO DIOCESANO
Per
compiere questo suo programma apostolico si servì anche di due
validi strumenti tradizionali nella figura del vescovo: la visita
pastorale e il sinodo diocesano. La prima la iniziò a pochi mesi
dalla sua entrata in diocesi nel maggio del 1895. "Verrò a voi per
ricordarvi - così scriveva nella lettera di indizione - che Gesù
Cristo, autore e consumatore della fede, quale fu ieri, tale è oggi
e il medesimo sarà sempre per tutti secoli (...); per confermare
che Dio diede alla rivelazione fatta da lui il suggello d'una
perpetua immutabilità, per cui l'ingegno umano non potrà mai
togliere od aggiungere a ciò che Cristo ha dettato". "Propagare la
sana dottrina e difenderla dagli errori che la combattono; mantenere
il buon costume contro la corruzione del vizio; infiammare con le
esortazioni e gli ammonimenti i cuori alla religione e alla pace":
questi dovevano essere le finalità di quell'atto del suo ministero.
E osservava nella stessa lettera: "Quanto bisogno di far rivivere
la fede in questo tempo, in cui si vogliono richiamare ad esame i
misteri della nostra credenza; si pretende dimostrazione là dove
Cristo domanda sottomissione d'intelletto; si revocano in dubbio le
profezie più avverate, si negano i miracoli più manifesti; si
rigettano i sacramenti; si deridono le pratiche di pietà; si
disprezza il magistero della Chiesa". Purtroppo non abbiamo più
nell'archivio della curia di Venezia gli atti di quella visita
pastorale, ma la stampa cattolica di allora e le testimonianze dei
processi canonici ci riferiscono il suo zelo nel compiere un ufficio
così importante, la sua cura particolare per la predicazione e la
dottrina cristiana, il suo amore ai poveri e agli ammalati delle
singole parrocchie.
Tre anni dopo nel 1898 celebrò il sinodo
diocesano. Esso riassume tutte le sue preoccupazioni pastorali
(formazione e cultura del clero, azione cattolica, dottrina
cristiana, stampa), e le codifica anche nei minimi particolari,
fedele alla tradizione e aperto alle innovazioni. I discorsi poi
rivolti in quella circostanza
177
dal
patriarca al clero, redatto nel dotto latino da lui appreso nel
seminario patavino, sono un capolavoro di scienza pastorale e di
ascesi sacerdotale.
RICORRENZE E CELEBRAZIONI
Nei
suoi pochi anni di permanenza a Venezia (1894-1903) il card. Sarto
ebbe anche a celebrare alcuni avvenimenti storici che gli diedero
occasione di manifestare i suoi sentimenti alla popolazione. Prima
in ordine cronologico fu l'ottavo centenario della consacrazione
della basilica di san Marco (8 ottobre 1894), ritardato il 25 aprile
dell'anno successivo, data la vacanza della sede. In quell'occasione
pronunciò una nobilissima omelia in cui affermò tra l'altro: "Venezia fu grande finché ebbe Dio con sé (...). Era nobile fierezza
quella che spingeva i magistrati veneti a proclamarsi cristiani non
soltanto tra le domestiche pareti, ma anche e sopra tutto in
pubblico. Erano tempi quelli nei quali la politica non misurava gli
inchini da farsi a Dio. Ma appunto per questo l'autorità era
rispettata, e con l'autorità, la patria. La libertà c'era allora, ma
non la libertà che è licenza, e però tirannia, perché dove non vi è
maestro, tutti sono maestri e una nazione senza maestro è una
nazione di schiavi. Povero popolo! A lusingarti ti hanno detto
sovrano; ma, fatto sgabello nella polvere ai sobillatori che
volevano innalzarsi sopra le tue rovine, ti sei, logicamente,
ribellato. Obbedire a Dio, non vuol dire essere servo, perché si
obbedisce a Dio che è Padre, e noi suoi figli, e appunto essere
figli vuol dire essere liberi (...). Con Dio Venezia sciolse la
questione sociale, cosi come aveva sciolta la questione politica con
un'organizzazione potente tra capitale e lavoro, perché allora
l'eguaglianza, la fratellanza e la libertà esistevano. Regnava
allora sovrana la carità, ma non quella che segna il povero con il
marchio dell'abbiezione e vorrebbe rinchiuderlo in un domicilio
coatto. E c'era giustizia: giustizia per tutti, anche per chi sta in
alto. La Scala dei Giganti narra parecchi episodi solenni di questa
giustizia che rendeva Venezia così
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sicura
e rispettata in Europa tanto che accorrevano nei suoi porti, come ad
un asilo di pace, le navi dei popoli più differenti ed avversi (...). Se Venezia si fosse conservata sempre fedele al suo Dio!". E
così concludeva: "Nella stessa sua giustizia Dio fu con Venezia
larghissimo di misericordia.
È misericordia di Dio se Venezia non è
stata ridotta alla condizione di Aquileia e di Torcello, che non
sono che un nome. Questa misericordia di Dio starà su Venezia anche
per l'avvenire se essa vorrà conservarsi fedele alla sua tradizione
e alla sua gloria: la fede".
Certo la visione storica del patriarca
non corrispondeva alla realtà e più di un appunto si sarebbe potuto
fare ad essa, ma egli intendeva solo esemplificare alcune idee e
richiamare alcuni principii. E ci sembra che essi fossero gli stessi
che qualche mese dopo portarono alla sconfitta dei radicali e al
trionfo dei clerico-moderati nella amministrazione comunale della
città. Si è tanto discusso su questo che fu uno dei primi
esperimenti di presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana
in unione ai moderati e che preparò successive estensioni del
principio sul piano nazionale. E si potrà discuterne ancora. Ci
basti qui ricordare come la Giunta Grimani che fu il risultato di
quella combinazione resse per più di 20 anni la città e ripristinò
il catechismo nelle scuole elementari, il crocefisso negli ospedali,
le feste votive così care al cuore dei veneziani e promosse il bene
di Venezia in varii campi. Ricorderemo ancora come proprio il Sarto
qualche mese dopo scriveva ad un parroco mantovano riguardo ad
ana-loghe disposizioni della Santa Sede che sembravano deflettere da
una tipica precedente intransigenza: "So anch'io che per questo
qualcheduno ci dirà senza carattere ed in lega con i moderati, ma
noi dobbiamo seguire le istruzioni del Maestro [si trattava di un
decreto della Penitenzieria sulle celebrazioni del 20 settembre più
largo del solito] e per quanto fossero contrarie alle convinzioni
nostre, l'obbligo dei figli è l'obbedienza al Padre Santo". E ci
piace concludere ricordando come lo stesso patriarca al Santo Padre
che forse pensava un po' prematura la cosa abbia risposto a
proposito dei liberali veneziani: "Sono dei liberali
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che a
Pasqua si accostano pubblicamente ai sacramenti e non solo a Pasqua:
che la domenica ascoltano la santa messa; che non mancano mai ad una
festa votiva della città; che alla processione del Corpus Domini non
si vergognano di portare l'asta del baldacchino" (il fatto e le
parole sono riferiti da alcuni testimoni nei processi canonici).
Certo questi episodi e queste osservazioni non bastano a risolvere
la questione, ma possono farci capire e la particolare situazione di
Venezia e quante riflessioni sia costata al patriarca la sua
decisione e i motivi profondamente religiosi che la determinarono.
Le stesse note e gli stessi motivi li troviamo anche nella solenne
celebrazione del congresso eucaristico italiano del 1897 che tra
l'altro era stato indetto a Venezia per riparare una profanazione
sacrilega delle sacre specie avvenuta agli Scalzi. Ecco come il
patriarca li ricordava nel suo discorso: "Se pertanto Napoli,
Torino, Milano ed Orvieto l'una dopo l'altra si sono associate in
omaggio di adorazione al Santissimo Sacramento, Venezia, che ricorda
con nobile orgoglio le opere insigni dei Sagredo, dei Giustiniani,
degli Orseolo, degli Emiliani, dei Barbarigo (i suoi santi) come
quelle dei Cornaro, dei Morosini, dei Mocenigo, dei Dandolo (dogi e
patrizi insigni), Venezia perché ricorda con questi nomi le feste
grandiose della sua fede non vuole mancare alla splendida vocazione
delle città sorelle, ma per quanto è possibile vuole gareggiare con
esse nell'onorare Gesù in sacramento, pregando per la desiderata
conversione di coloro che, sebbene avversari, pur ci sono fratelli,
chiamati anch'essi a far parte di quel regno che sfida le guerre
degli uomini e la mano distruggitrice del tempo". E ancora: "E
proprio perché questo grido Nolumus hunc regnare super nos si è
sentito anche nella nostra povera Italia, a cui Gesù Cristo morente
rivolse amoroso lo sguardo, stabilendola terra della sua elezione, e
perché in mezzo alla società si vorrebbe trattare Gesù come uno
sconosciuto, si è sentito il bisogno di radunare i cattolici attorno
al tabernacolo, perché ravvivino nel loro cuore la fede e da questi
nuovi cenacoli si diffonda di nuovo il fuoco della carità
180
che Gesù ha portato nel mondo. Questo solo pertanto è
lo scopo dei congressi eucaristici: fare atto di ossequio a Gesù in
sacramento per gl'insulti che l'oltraggiano e concorrere perché il
suo pensiero sia nelle nostre intelligenze, la sua morale nei
costumi, la sua verità nelle istituzioni, la sua giustizia nelle
leggi, il suo culto nella religione, la sua vita nella nostra vita".
L'instaurare omnia in Christo, motto del suo pontificato, è
già presente in questo discorso veneziano.
PASTORALI E LETTERE
Abbiamo qui voluto spesso citare brani dei suoi
discorsi e delle sue pastorali (tra queste avremmo potuto ricordare
ancora quella del 1901 sulla bestemmia e sulla santificazione della
festa e quella del 1902 in occasione di una ennesima proposta di
legge sul divorzio) proprio perché anche da queste trasparisse la
sua anima profondamente religiosa. A proposito della sua eloquenza
ricordiamo quanto scriveva La Difesa dopo la sua prima
omelia: "Il nostro patriarca ha, se così possiamo esprimerci, la
magia della parola apostolica, penetrante, convincente,
soggiogatrice. Senza nessuna di quelle raffinatezze, onde troppe
volte si ottiene l'effetto di piacere, ma non l'affetto che scalda e
muove. Il nostro Patriarca, appena cominciato a parlare, ha già di
primo tratto guadagnato l'attenzione e la simpatia di tutti".
E ci sembra opportuno, a capirne sempre di più
l'anima, citare ancora qualche frase di qualche sua lettera del
periodo veneziano. Nel 1895 scriveva a don Agnoletti, sacerdote
trevisano: "Per quest'anno e probabilmente per molti di seguito, se
tanti me ne darà il Signore, la mia villa sarà il palazzo
patriarcale, anche per mostrare ai veneziani, che si può vivere
senza andare in campagna". E nel 1897 ai redattori de La Difesa: "Se
è penosa e qualche volta irritante la lotta contro coloro che
chiudono a bella posta gli occhi per non vedere il sole che li
illumina, è pure dolce il combattere per una causa che, per quanto
disconosciuta e contraddetta, è quella di Dio e della Chiesa".
181
Più
note perché d'importanza storica sono quella del 1898 al Paganuzzi
dopo le persecuzioni governative contro i cattolici e quella del
1902 al Saccardo in difesa del Paganuzzi dopo il famoso articolo di
Murri sul crollo di Venezia, ma ci piace ricordare piuttosto quella
del 1900 al dottor Carlo Candiani a cui chiedeva un prestito del
Banco San Marco per salvare la situazione finanziaria di uno
spretato concludendo: "E se non lo pagasse? Lo soddisferà in rate
il sottoscritto" o quella del 1902 al giovane vescovo di Modena,
pervasa di umiltà e di carità. Valga piuttosto l'invito a leggere
quelle già pubblicate e a pubblicare quelle ancora inedite.
La
conclusione poi potrebbe essere tratta da uno dei suoi ultimi
discorsi veneziani, quello fatto il 25 aprile 1903 in occasione
della benedizione della prima pietra del ricostruendo campanile di
san Marco. "Nessuno spettacolo - esordì in quella circostanza - è
così degno di ammirazione come quello di un popolo che, iniziando
un'impresa, domanda a Dio la Benedizione, perché mai emerge tanto
l'ingegno dell'uomo come quando si china davanti l'eterno fuoco,
donde viene la luce, né le sue opere si producono con un carattere
più maestoso e solenne che dopo l'invocazione della potenza suprema
che le suggella e le consacra. Io, quindi, mi congratulo con voi, o
nobili rappresentanti di Venezia, che, fedeli interpreti dei veri
cittadini, deliberaste che un pubblico atto religioso desse
principio alla riedificazione del campanile nel giorno sacro
all'evangelista san Marco, affinché Venezia, già fiorente tanti
secoli sotto un tale protettore, veda aprirsi dinanzi un'era di
novella prosperità. Mi congratulo con voi, che vi mostraste figli
non degeneri di quei padri che, convinti della grande verità che si
fabbrica indarno se alla direzione non presiede il Signore, vollero
che questa città, cristiana fino dall'origine, segnasse l'epoca
della sua fondazione dal giorno in cui ebbe principio il mistero
dell'umana redenzione, né mai si accinsero ad alcuna impresa senza
avere prima invocato sopra di essa il nome di Dio e la protezione di
Maria. Per la religione i nostri avi, uniti in un cuor solo,
onorarono la patria con amore
182
generoso, con rispetto profondo, con un sacrificio eroico, e per
questi due amori, più che per il loro senso politico, compirono
imprese onorate, salirono a prosperità e rinomanza. Per la
religione, mentre le altre nazioni e le città stesse d'Italia
gemevano sotto il giogo dei barbari, Venezia era il centro della
civiltà europea, la sede del sapere e delle arti gentili, la regina
dei mari, l'anello che congiungeva l'Oriente e l'Occidente in
società di commerci. Dalla religione riconobbero sempre i veneziani
la fonte della loro floridezza, e perciò, mentre fu essa l'anima
delle loro opere, la direttrice dei loro consigli, l'ispiratrice
delle loro leggi, per ottenerne e ricambiarne i benefici erigevano
templi e altari, le dedicavano asili di pietà, le consacravano
istituti di utili studi, di virtù rigeneratrici di santi, e ne
perpetuavano con i monumenti i gloriosi trionfi". Ancora una volta
l'amore della religione e della patria si intrecciavano nelle sue
parole e ne brillavano gli ideali profondamente religiosi del suo
episcopato. Poco dopo il 26 luglio partiva per il conclave. Alla
stazione una grande folla. ""Torni presto, Eminenza" fu il grido
popolare. "Vivo o morto ritornerò" la risposta del card. Sarto. Ma
Dio lo destinava ad essere il successore di Leone XIII e il 4 agosto
1903 egli veniva eletto vicario di Cristo. Egli volle però restare
ancora per un poco vescovo della città lagunare e rettore del suo
seminario. Il 4 agosto 1903 così scriveva al vicario generale: "Siccome poi per l'affetto che conservo vivissimo ai miei dilettissimi figli di Venezia ho intenzione di tenere almeno per
ora l'amministrazione dell'archidiocesi, concedo a lei e al rev.
mons. Pantaleo tutte le facoltà necessarie per il buon governo". I
veneziani lo considerarono poi sempre il loro patriarca e tutti i
successivi contatti lo dimostrarono. Ma c'era anche la promessa del
ritorno: vivo o morto.
RITORNO A VENEZIA
Sembrava impossibile, ormai frustrata dagli eventi e dalle
particolari condizioni storiche d'Italia la prima ipotesi, anche la
realizzazione della seconda. Ma la divina provvidenza disponeva
183
che, mutati i tempi, un altro patriarca di Venezia, il
card. Roncalli, diventasse Papa Giovanni XXIII. Uno degli atti
paterni verso la sua vecchia diocesi fu quello di permettere la
temporanea traslazione a Venezia delle sacre spoglie. Il patriarca
Urbani così ne annunciava il ritorno: "Oggi [san Pio X] ritorna, sia
pur per brevi giorni, alla Sua Venezia. Ritorna composto nella
severa maestà della morte, ma circondato dalla fulgida luce dello
gloria.
Ritorna soprattutto per offrire agli umili della nostra
gente la possibilità di venerare da vicino le venerate Spoglie, di
pregare dinanzi alla Sua Urna, di sentire nel cuore l'eco dei Suoi
santi insegnamenti e la carezza della Sua mano benedicente. Ritorna
per richiamarci tutti ad una vita cristiana più consapevole, più
cosciente, più coerente. La Sua paternità, come non è venuta meno
quando la Provvidenza lo volle nel Soglio Pontificio, ma anzi si è
maggiormente estesa e fatta più ardente, così dalla Gloria dei Santi
continua a vigilanza, a proiezione, ad intercessione per tutti noi,
che siamo della Sua gente, che custodiamo la Sua memoria, che Lo
veneriamo come Patrono accanto a S. Marco Evangelista e a S. Lorenzo
Giustiniani.
Tutti S. Pio X chiama attorno alla Sua Urna: 'i vicini' e
'i lontani', i piccoli e gli adulti, i giovani e gli anziani, i
poveri e i ricchi, gli incolti e i sapienti.
Tutti, proprio tutti. Il Suo ritorno fra noi è una grazia
che la misericordia del Signore offre di preferenza a chi da troppo
tempo vive lontano da Dio, dalla pratica religiosa, dai sacramenti.
Le preghiere e i sacrifici dei bimbi innocenti, dei fratelli
infermi, delle anime a Dio consacrate, in questo periodo di 'santa
Missione', vengono indirizzate a questo unico scopo: il ritorno dei
fratelli attesi con tanta speranza nella casa del Padre. E nel cuore
vi è la certezza che per l'intercessione di S. Pio X rifiorirà nelle
anime la grazia e con la grazia la fede e la carità, la purezza e la
concordia. E la gente Venera nel nome e nell'ausilio del suo antico
Patriarca, avrà motivi nuovi per rinsaldare la sua fede religiosa;
il suo costume cristiano, la sua tradizione cattolica.
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Solo
così il soggiorno delle venerate Spoglie nella nostra Basilica sarà
fonte di benedizione, ed auspicio di benessere per l'avvenire
spirituale del nostro Patriarcato.
Vi attendo tutti, figlioli dilettissimi, lungo il Canal Grande, e nella Piazza di S. Marco, per
il primo saluto devoto e festoso al Pastore buono che ritorna
nell'umiltà e nella gloria".
Venezia, e non solo Venezia, accorse
all'appello del card. Urbani e fece ressa attorno alle sacre spoglie
del suo antico patriarca. E furono giorni veramente indimenticabili
che contribuirono a rinsaldare ancora una volta i profondi legami
tra lui e la città lagunare. Venezia dimostrò di essere veramente
legata al suo cardinal Sarto.
Nota liturgica
Iniziata il 13
febbraio 1942 la causa di beatificazione si concluse il 3 settembre
1950 con la proclamazione dell'eroismo delle virtù esercitate dal
papa Pio X e il 3 giugno 1951 Giuseppe Sarto venne dichiarato Beato.
La diocesi di Venezia ottenne di celebrarne la festa il 3 settembre,
inserendola nel calendario particolare. Il 31 maggio 1954 fu poi
canonizzato e la sua festa estesa a tutto il mondo. Nell'ultima
riforma del calendario la data della ricorrenza fu spostata al 21
agosto, giorno seguente la ricorrenza della sua morte. Quasi tutte
le chiese veneziane lo ricordano con speciali celebrazioni: in
maniera particolare San Marco, che gli eresse un busto nel
battistero, San Rocco, alla cui confraternita il pontefice
appartenne, San Salvador, che eresse una grande statua in suo
onore.
Nota iconografica
Data la recente beatificazione e canonizzazione del card. Sarto,
sono naturalmente tutte di questo tempo le varie pitture o sculture
che lo rappresentano. Ricorderemo la pala d'altare di san Rocco (san
Pio X che benedice i confratelli della scuola) del Carena, i busti
del Bertazzolo (altare del battistero di San Marco e chiesa di San
Zaccaria), la grande statua marmorea del Baggio (san Pio X in trono
a San Salvador), la vetrata
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della cappella del palazzo
patriarcale di Bacci, la pala d'altare di Borazzutti a San Trovaso.
Immagini o statue del santo (spesso sottoquadri o ritratti nelle
sagrestie) esistono ancora a San Silvestro, a Sant'Aponal, ai Frari,
a San Pantalon, ai Tolentini, a San Francesco di Paola, a San
Martino, a Sant'Elena, a San Pietro (in quest'ultimo caso si tratta
di una statua di legno dorato). Né dobbiamo dimenticare le serie dei
ritratti dei patriarchi di Venezia che lo includono (sacrestia di
San Marco, palazzo patriarcale, seminario) o i ritratti del
patriarca Sarto qua e là conservati (es. quello di Gasparini
eseguito nel 1906 e custodito nell'istituto casa-famiglia della
Giudecca). E finalmente ricordiamo il busto dorato, con la lapide,
che sul ponte della Libertà, che unisce la città lagunare alla
terraferma, ricorda la temporanea traslazione del suo corpo a
Venezia nel 1959.
Nota bibliografica
Fonti fondamentali per la
ricostruzione della figura spirituale di san Pio X restano gli Atti
per l'introduzione e svolgimento della causa di beatificazione e
canonizzazione (cfr. Romana Beatificationis et Canonisationis S.
D. Pii Papae X vol. I Positio super introductione causae,
Roma 1942; vol. II Positio super virtutibus, Roma 1949; vol.
III Nova positio super virtutibus, Romae 1950), oltre ben
s'intende i processi ordinari ed apostolici per la causa di
beatificazione e canonizzazione svolti a Roma, Venezia, Mantova,
Treviso. Su queste fonti è in maggior parte fondato il volume di P.
G. DAL GAL, Beato Pio X Papa, Padova 1951 a cura della
postulazione della causa. Tra le numerose biografie del santo vanno
segnalate A. MARCHESAN, Papa Pio X 2ª
ed., Roma 1910 per l'ampiezza di notizie e la correzione delle bozze
fatta dallo stesso pontefice; G. MIALANESE, Cenni biografici di
Pio X, Treviso 1903 (l'autore fu collega del santo come canonico
di Treviso); R. MERRY DEL VAL, Pio X: Impressioni e ricordi,
Padova, 1949 (l'autore fu cardinale segretario di Stato del Papa).
Manca invece ancora uno studio
completo sulla figura del santo che prescinde dalla tematica
agiografica e lo inquadri nel clima europeo ed italiano di quegli
anni (cfr. però R. FERNESSOLE, Pie X: essai historique,
Parigi 1953). Tra gli storici non cattolici che si sono occupati di
Pio X va ricordata, pur con ampie riserve, l'opera di L.
SALVATORELLI, La Chiesa e il mondo: Pio X, Roma 1948.
Devono inoltre essere consultati gli
atti ufficiali (cfr. Acta Pii X, 4 voll., Roma 1903-1908 e
gli Acta Apostolicae Sedis, 4 voll., Roma 1909-1914), le
lettere pastorali di Venezia e Mantova e le numerose lettere
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private: una parte di queste ultime furono pubblicate in
occasione della canonizzazione (cfr. SAN PIO X, Lettere, a cura di
N. VIAN, Roma 1954).
In modo particolare per il periodo veneziano qui esaminati si
vedano A. VIAN, Sulla soglia di Venezia con lettere del patriarca
Giuseppe Sarto all'architetto Pietro Saccardo e due altri saggi,
Venezia - Roma, 1964; G. URBANI, Il card. Giuseppe Sarto,
Venezia 1944; Pio X beato, Venezia 1951. Per la sua attività
a favore delle casse operaie vedine cenno in S. TRAMONTIN, Le
prime casse operaie cattoliche in diocesi di Venezia (1898-1904)
in Bollettino dell'archivio per la storia del movimento sociale
cattolico in Italia, a. II (1967), pp. 98-124; per le
composizioni musicali del Sarto cfr. C. ZAGGIA, Una raccolta di
musiche sacre di Giuseppe Sarto (poi S. Pio X) chierico nel
seminario di Padova, in Fonti e ricerche di storia
ecclesiastica padovana, vol. II, Padova 1969, pp. 339-345; per
la documentazione della venuta delle sacre spoglie del Sarto a
Venezia nel 1959 cfr. S. Pio X a Venezia. Celebrazioni e
documenti, Venezia 1959.
da S. TRAMONTIN, Santi e beati vissuti a Venezia,
"Biblioteca Agiografica Veneziana 5", Venezia, Studium Cattolico
Veneziano, 1971, pp. 169-186.
LINK UTILI
Il Beato Pietro Acotanto, di Silvio Tramontin
|
San Pietro Orseolo, di Antonio Niero
I patroni di Venezia,
di Antonio Niero