Messe latine antiche nelle Venezie
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La messa latina
antica: permessi, dinieghi, novità
di
Fabio Marino
Conferenza
di don Ivo Cisar a Belluno e Vittorio Veneto sulla messa latina antica
Il
30 novembre 2000, a Belluno, il prof. don Ivo Cisar ha tenuto un’apprezzata
conversazione sul tema "Lo splendore della santa messa tradizionale in
lingua latina". L’iniziativa, organizzata dal Coordinamento di Una Voce
delle Venezie, è stata riproposta il successivo 16 dicembre nella sala di
rappresentanza del municipio di Vittorio Veneto, suscitando grande interesse e
partecipazione di pubblico (cfr. "Instaurare" 3/2000, p. 6).
Don
Cisar ha esordito occupandosi del senso della liturgia nella sua triplice
dimensione storica commemorativa, attuale e prognostica o anticipativa della
vita eterna. Il centro della liturgia è la messa in cui si rinnova in modo
incruento ma reale il sacrificio redentore della croce. Ha proseguito
occupandosi del rito romano antico della messa promulgato da san Pio V, della
riforma seguita al Concilio Vaticano II, rilevando le differenze tra il vecchio
e il nuovo rito, talché si tratta di due riti distinti, ciascuno con una piena
individualità. Il relatore ha poi ampiamente sviluppato i caratteri essenziali
del rito antico, la sua ricchezza, perfetta aderenza alla fede della Chiesa,
bellezza che stimola alla pietà, e ancora il valore del latino come lingua
sacra, del canto gregoriano proprio della liturgia romana (SC 116), lo splendore
delle cerimonie della Chiesa. In conclusione don Cisar ha osservato il ruolo
che la messa antica potrebbe giuocare al giorno d'oggi per riportare gli uomini
alla frequenza delle sacre funzioni, a riempire le chiese per trovarvi il vero
rimedio ai loro bisogni.
Richiesta della messa
antica ai vescovi di Vittorio Veneto e Belluno-Feltre
Sia
nella diocesi di Vittorio Veneto sia in quella di Belluno-Feltre la conferenza è
valsa a presentare alla cittadinanza il valore della messa antica, mentre,
proprio nello stesso periodo, in entrambe le diocesi molti cristiani
sottoscrivevano petizioni al rispettivo Ordinario perché questa messa vi
potesse essere celebrata ogni domenica e festa di precetto.
A
Vittorio Veneto la petizione veniva presentata al vescovo S. E. mons. Alfredo
Magarotto il 21 dicembre 2000 con oltre duecentocinquanta firme (cfr. "Il
Gazzettino". Ed. Treviso, 23 dicembre 2000). Il presule riceveva i
richiedenti il successivo 30 gennaio 2001, e in quella occasione faceva sapere
che la concessione sarebbe stata accordata (ivi, 31 gennaio 2001; "La
Tribuna di Treviso", 31 gennaio 2001). Qualche giorno dopo, però, senza
che ancora fosse stata presa una decisione formale, la stampa locale riportava
dichiarazioni di mons. Magarotto, secondo cui la messa antica sarebbe sì stata
concessa, ma non di domenica. Ciò non tardava a determinare la reazione dei
richiedenti, i quali ribadivano pubblicamente con estrema chiarezza di avere
inteso la celebrazione tutte le domeniche e feste di precetto, come è ammesso con
grande larghezza dalle disposizioni di papa Giovanni Paolo II nel Motu proprio Ecclesia
Dei -
secondo cui sono da rispettare le aspirazioni di chi chiede questa messa -,
rientra nella normalità dei fatti (il cristiano va a messa la domenica), e
corrisponde del resto alla prassi da lungo tempo adottata in molte importanti
diocesi (Venezia, Milano, Torino, Genova, Firenze, ecc.). In particolare si
dava risalto a recenti richiami del Santo Padre affinché la domenica torni a
essere il giorno del Signore nella mentalità e nella pratica cristiana.
A
fronte dell’attitudine limitativa e discriminatoria della Curia vittoriese
verso i diritti dei fedeli - la quale avrebbe trovato formale conferma nel
successivo mese di marzo - il 17 febbraio veniva organizzata la recita del
santo rosario in ginocchio in lingua latina sulla pubblica via davanti alla
sede della curia, una manifestazione di protesta ecclesiale con ben pochi
precedenti in Italia (servizio con foto in "Il Gazzettino". Ed.
Treviso, 20 febbraio 2001). Della vertenza tra il vescovo di Vittorio Veneto e
i richiedenti la messa antica si sono occupati vari organi di stampa, tra cui
"Il Giornale" di Milano: un servizio di Andrea Tornielli del 16
febbraio 2001 ha citato il "caso recente di Vittorio Veneto, dove il
vescovo Alfredo Magarotto si è rifiutato di concedere la messa domenicale
secondo il modo antico ai 250 fedeli che l’hanno chiesta", come esempio di
"messe semiclandestine, soltanto una volta al mese e il sabato sera",
di cui molte volte debbono accontentarsi i fedeli. Il 9 giugno 2001 è ritornato
sulla questione Paolo Granzotto, chiedendosi "come giustificare l’atteggiamento
di monsignor Magarotto e degli altri vescovi che negano l’indulto o lo
concedono a condizioni umilianti", davanti all’invito del Santo Padre
"a concedere in maniera generosa l’autorizzazione ad applicare il messale
tridentino".
Detto
atteggiamento è stato esplicitato formalmente nel decreto del 19 marzo
2001 (Prot. N. 223.337/2001) del vescovo di Vittorio Veneto, che stabilisce
che la messa in latino secondo il messale del 1962 sia celebrata "una
volta al mese, il sabato precedente l’ultima domenica del mese o, nel caso di
impedimento liturgico, il sabato seguente" da mons. Giovanni Cenedese del
clero diocesano. La decisione di mons. Magarotto sembra seguire davvero assai
da vicino, sia nella sostanza sia nelle forme, quella presa due anni orsono dal
vescovo di Treviso S. E. mons. Paolo Magnani con analogo decreto del 19 marzo
1999 (Prot. N.19/99) sulla celebrazione della messa antica nella chiesa degli
Oblati a Treviso (cfr. "Instaurare" 1/1999, p. 10; 3/2000, p. 6)
"una volta al mese, il sabato precedente la prima domenica del mese, o,
nel caso di impedimento liturgico, il sabato seguente".
La
celebrazione di Vittorio Veneto era nel frattempo iniziata il 24 febbraio,
nella chiesa della Madonna della Neve o S. Maria degli Angeli (vulgo delle Suore Giuseppine, Via C. Cenedese angolo
Via del Fante, Vittorio Veneto), con enorme partecipazione di popolo fedele che
ha gremito ogni angolo del tempio (cfr. "Il Gazzettino". Ed. Treviso,
25 febbraio 2001), e prosegue ogni mese alle 18.
A
Belluno la petizione, indirizzata originariamente al vescovo mons. Brollo,
veniva presentata il giorno 28 dicembre 2000 (cfr. "Il Corriere delle
Alpi", 4 gennaio 2001; "Il Gazzettino". Ed. Belluno, 4 gennaio
2001). Dopo l'ingresso del nuovo vescovo S. E. mons. Vincenzo Savio, i
richiedenti gli hanno chiesto di essere ricevuti per presentargli la loro
petizione della messa festiva. Il 6 aprile 2001 mons. Savio ha dato udienza a
una delegazione di Una Voce delle Venezie ("Il Corriere delle Alpi",
6 aprile 2001; "Il Gazzettino". Ed. Belluno, 6 aprile 2001),
riservandosi di rispondere sulla messa dopo ampia consultazione in diocesi e
fuori. A tre mesi dall'incontro, una risposta ancora non c'è stata.
Lettera contro la messa pubblicata da don
Domenico Zannier, parroco di Valvasone (Pn), sul settimanale della diocesi di
Concordia-Pordenone
Dalla
fine del 2000 l'azione dell'associazione Una Voce a favore dei fedeli legati
alla messa antica ha determinato una serie di reazioni, in particolare con
interventi apparsi in vari giornali diocesani del Triveneto. Instaurare
(3/2000, p. 12) si è già occupato della lettera che don Domenico Zannier,
parroco di Valvasone - noto tra l'altro come firmatario di una "Lettera
aperta ai presbiteri della diocesi di Concordia-Pordenone" dell'8 giugno
1997 contenente irriguardose critiche all'autorità ecclesiastica - ha fatto
uscire sul settimanale diocesano "Il Popolo" del 12 novembre 2000 a
proposito della messa solenne secondo l'antico rito celebrata il 28 ottobre
nell'abbazia di Sesto al Règhena in occasione del convegno internazionale
Giornata della liturgia cattolica. Don Zannier dava contro la messa in latino
("archeologia, cultura ... nostalgico sentimentalismo"), contro
coloro che la promuovono, nella specie i rappresentanti di Una Voce in
Pordenone ("sconcerta ... che a siffatti personaggi sia data
tranquillamente accoglienza nelle nostre chiese"), contro i propri
confratelli ("si trovino ancora preti disponibili a soddisfare le loro
esigenze"), contro l'autorità della Chiesa che permette tutto ciò
("non troviamo appoggio in chi può veramente dire una parola
autorevole").
Pur
potendosi ritenere risposta sufficiente al parroco di Valvasone citare Gen. 4,
3-8 (ma forse anche Mt. 23, 13-33, ove Gesù parla dei farisei), la sezione di
Una Voce-Pordenone inviava al direttore del "Popolo" don Bruno Cescon
immediata rettifica ai sensi della legge sulla stampa per precisare le numerose
inesattezze contenute nella lettera e ribadire la piena legittimità delle messe
celebrate in diocesi. La rettifica veniva pubblicata ben oltre il termine
legale nel numero del 3 dicembre 2000, e insieme alla medesima usciva una
ulteriore lettera sull'argomento a firma di Oscar Zigiotti, parrocchiano non
sappiamo esattamente se di don Zannier o dello stesso don Cescon, il quale
riprendeva, pari pari, i singoli punti dello Zannier, parlando espressamente di
"scandalo in senso biblico" ed esternando il seguente pensiero degno
del pennino del membro di un comitato di salute pubblica, sia pure, per così
dire, "clericale": "quel che mi fa veramente problema è che 'chi
può veramente dire una parola autorevole' non senta il bisogno di intervenire
(senza ovviamente venircelo a raccontare, ma usando al massimo la carità
cristiana della pazienza, della prudenza e della riservatezza per eliminare
questo tipo di spettacolarizzazioni che dividono e si prestano sicuramente a
essere strumentalizzate) nei confronti dei celebranti e anche nei confronti di
coloro i quali concedono la Casa di Dio e del Suo Popolo (maiuscole nel testo,
NdR), non si sa se con i dovuti 'nulla osta' o meno". A parte le
insinuazioni che non corrispondono al vero (per le messe di Pordenone i
permessi ci sono tutti), e l’atteggiamento gratuitamente denigratorio, Zannier
e Zigiotti sembrano scandalizzarsi - secondo la definizione dello scandalo c.
d. farisaico - di fatti che non sono cattivi, anzi sono leciti e meritori,
anche se certamente non seguono la moda ecclesiale del momento. Don Cisar
inviava a sua volta una puntuale lettera di precisazioni, che veniva pubblicata
nel successivo numero del "Popolo" (10 dicembre 2000).
Attacchi del settimanale diocesano di
Vittorio Veneto "L'Azione" contro i cristiani che hanno chiesto la
messa
Anche
il settimanale diocesano di Vittorio Veneto "L'Azione" ha ritenuto di
intervenire sulla conferenza di dicembre e sulla petizione per la messa. Una
nota non firmata, attribuibile quindi al suo direttore don Giampiero Moret,
criticava l’iniziativa sia nel "merito", esponendo vecchi pregiudizi
contro il latino liturgico ("la partecipazione ... a una messa in latino è
consentita solo a quei pochi che il latino lo conoscono", "la messa
nei primi secoli si celebrava in greco", e via dicendo) senza considerare
la questione del rito, sia nel "metodo", asserendo che "una
conferenza per promuovere una raccolta di firme assomiglia a un comizio
elettorale", mentre "bastava rivolgersi direttamente al
vescovo", tenendo tutto segreto, per carità, come ciò di cui ci si deve
vergognare... Inoltre don Moret - probabilmente infastidito dalle dichiarazioni
alla stampa del sindaco di Vittorio Veneto Giancarlo Scottà ("se accadrà
[la messa latina antica il giorno di Natale], io non mancherò perché tante
messe di oggi inducono solo alla distrazione", "La Tribuna di
Treviso", 16 dicembre 2000) - se la prendeva con il patrocinio concesso
alla conferenza dalla Regione del Veneto e dal comune, reo quest’ultimo anche
di avere messo a disposizione la sala di rappresentanza, e con ciò
"ribadito sull’iniziativa una certa patina di ufficialità pubblica".
Ora, trascurando le evidenti idiosincrasie del direttore dell’Azione verso la
messa e l’amministrazione comunale della sua città, anche se a taluno
potrebbero dare come l’impressione dell’intolleranza, va detto che le adesioni
alla petizione già prima della conferenza erano oltre duecento (cfr. "Il
Gazzettino". Ed. Treviso, 16 dicembre 2000), la conferenza, per i
contenuti e la competenza del relatore, era informativa ma soprattutto
formativa, quindi rivestiva a giusto titolo il carattere di iniziativa culturale
(pure religiosa, ma non certo politica) meritevole del patrocinio delle
istituzioni.
Gli
organizzatori della conferenza inviavano una rettifica, pubblicata nel numero
del 7 gennaio 2001 unitamente a una ulteriore nota non firmata in cui don
Moret, ribadendo la propria posizione, accusava i cristiani legati al rito
antico di "confondere l’essenza della messa". Nel far ciò peraltro
egli scriveva testualmente che la messa "è il ricordo reale del sacrificio
di Gesù Cristo", usando in tal modo una espressione equivoca (l’aggettivo
"reale" può ricevere varie interpretazioni) che non lascia intendere
se con essa l’estensore intendesse quello che il Concilio Vaticano II chiama
"memoriale" (SC 47), verum et proprium sacrificium - come lo intende la
Chiesa -, oppure una semplice commemorazione del sacrificio della croce, in
senso ereticale e non cattolico (Conc. di Trento, Sess, 22, can. 1 e 3). Il
fatto assai grave, suscettibile di mettere in serio pericolo la fede dei
lettori dell’Azione, veniva segnalato alla Congregazione per la dottrina della
fede. Una Voce inviava una seconda rettifica che veniva pubblicata ne "L’Azione"
dell’11 febbraio 2001, con una ulteriore replica del direttore il quale
stavolta insinuava, senza alcun fondamento, che i fedeli della messa mettessero
in dubbio la legittimità e l’esattezza dottrinale del messale di Paolo VI. A
proposito dell’espressione "ricordo reale" affermava quanto segue:
"sottoscrivo a due mani tutte le precisazioni teologiche, che, tuttavia,
non era il caso di fare dato il contesto in cui la frase era detta". Non c’è
bisogno di commento. Purtroppo ciò pone in evidenza una realtà preoccupante,
peraltro già nota: troppo spesso, ed è il caso di Vittorio Veneto, chi occupa
posti di responsabilità nelle diocesi non attribuisce valore alcuno all’esattezza
delle definizioni dottrinali, quindi come possono impararle e conoscerle per
indirizzare il modo sicuro la fede del proprio gregge i sacerdoti giovani, se
nessuno gliele insegna?
Diocesi di Verona: messa a Peschiera del Garda
- il vescovo Carraro celebra in rito romano antico a S. Toscana - cresime e
pontificale di mons. Zanchin a S. Toscana - petizione di settanta esponenti del
mondo politico veronese per la messa antica a Natale, Pasqua e Pentecoste
Nella
diocesi veronese la questione della messa latina antica ha registrato novità di
notevole rilievo. Nel mese di luglio 2000 l’amministrazione comunale di
Peschiera del Garda, nella persona del sindaco on. Umberto Chincarini (oggi
senatore), esternava formalmente al vescovo di Verona S. E. mons. Flavio
Roberto Carraro la propria volontà "di far celebrare nel corrente anno
santo e durante la stagione turistica, massime a beneficio spirituale dei
turisti, ma anche dei residenti, una santa messa solenne in tertiis in lingua latina e in
rito romano antico", e ciò nella chiesa giubilare del Santuario della
Madonna del Frassino, chiedendone il permesso ai sensi del Motu proprio Ecclesia
Dei
(lettera 5 luglio 2000, Prot. N. 7146). Dato che il vescovo rispondeva
accordando cosa sostanzialmente diversa da quella richiesta - vale a dire
"una s. messa giubilare in lingua latina con il rito rinnovato dal
Concilio Ecumenico Vaticano II", "presieduta dal padre guardiano del
convento (della Madonna del Frassino) ... o da un padre francescano da lui
designato ... insieme ad altri concelebranti" (lettera 17 luglio 2000,
Prot. N. 103/2000) -, l’amministrazione arilicense, dopo aver invano chiesto
chiarimenti, intendendo far celebrare la messa con il messale del 1962 (lettera
8 agosto 2000, Prot. N. 8421 [7.6]), decideva di procedere per proprio conto a
organizzare la funzione desiderata. Il successivo 7 ottobre, infatti, festa
della B. Vergine del Rosario e anniversario della vittoria di Lepanto, per
iniziativa e alla presenza dell’autorità comunale, è stata cantata a Peschiera
una messa solenne in rito romano antico nel cortile della Palazzina storica
dell’ex Comando di presidio, con grande partecipazione di fedeli. Unico
rammarico dei convenuti quello di non aver potuto lucrare l’indulgenza giubilare,
in seguito all’atteggiamento, difficilmente definibile ampio e generoso, dell’Ordinario
diocesano. Va detto che la celebrazione della messa giubilare è purtroppo
rimasta un desiderio, degno e meritorio, degli amministratori del Comune di
Peschiera del Garda, i quali sono certamente tra i pochi che pensano non solo
al benessere materiale, ma anche a quello spirituale della popolazione.
Il
17 settembre 2000 mons. Carraro si recava nella Rettoria di S. Toscana in
Verona, e vi celebrava personalmente la messa secondo l’antico rito. L’evento è
di portata storica, trattandosi della prima volta nelle Venezie (e anche in
Italia ciò è stato rarissimo) che un vescovo residenziale celebri nella sua
diocesi secondo il messale del 1962 dopo la riforma liturgica (cfr. www.unavoce-ve.it/09-01-4). Come
hanno osservato gli stessi mezzi di informazione (cfr. F. Prando, Disgelo tra
Curia e tradizionalisti, in "L’Arena", 18 settembre 2000), la visita
di mons. Carraro a S. Toscana è valsa a ricucire il rapporto tra i cristiani
legati alla messa latina antica e il loro pastore, e ad avviare a soluzione i
problemi da vari anni sul tappeto. Si tratta dell’ingiustificata mancanza della
messa antica senza preavviso domenica 19 aprile 1998, in seguito all’arrivo in
curia di un falso fax (sul caso cfr. "Instaurare" 1/1998, pp. 7-10;
3/1998, pp. 10-11); del persistente diniego della messa nelle solennità
maggiori di Natale, Pasqua e Pentecoste; dell’esigenza espressa da numerosi
fedeli di ricevere anche gli altri sacramenti e i sacramentali - battesimi,
matrimoni, cresime, funerali - secondo le forme della tradizione liturgica; del
rifiuto di udienza per quasi due anni opposto al presidente di Una Voce-Verona,
che l’aveva chiesta dal novembre 1998.
L’udienza
ha avuto luogo il 27 ottobre 2000. Per quanto riguarda i sacramenti, l’Ordinario,
con lettera del 23 gennaio 2001, a firma del vescovo ausiliare mons. Veggio, ha
aderito alla richiesta dei nubendi Matteo Castagna e Silvia Rinaldi di
celebrare le loro nozze secondo il rituale tradizionale e con la messa antica.
Il matrimonio ha avuto luogo il 28 aprile nella chiesa dei Camaldolesi ad Avesa
pressoVerona. Con la lettera del 6 marzo 2001 (Prot. N. 41/2001), sempre a
firma di mons. Veggio, è stato concessa la cresima tradizionale, secondo il
Pontificale Romano in vigore nel 1962, a una decina di cresimandi. Il giorno 17
giugno il sacramento è stato amministrato da S. E. mons. Mario Zanchin, vescovo
emerito di Fidenza, nella rettoria di S. Toscana: nell’occasione il presule ha
solennemente pontificato secondo l’antico rito (cfr. www.unavoce-ve.it/10-01-6.htm e
"Il Giornale", 18 giugno 2001). Entrambe le concessioni sono
esplicitamente state date in seguito a consultazione con la Commissione Ecclesia
Dei.
Su
domanda di Una Voce-Verona, il vescovo concedeva, con decreto del 21 novembre
2000 (non protocollato), di lucrare l’indulgenza giubilare partecipando alla messa
latina antica celebrata domenica 10 dicembre a S. Toscana. La funzione
giubilare per i cristiani legati all’antico rito ha poi avuto luogo con grande
concorso di fedeli. Nonostante la distensione dei rapporti, la messa è stata
ancora negata per Natale e Pasqua. In occasione della Pentecoste è stata
presentata all’opinione pubblica una petizione, rivolta a mons. Carraro,
sottoscritta da oltre settanta parlamentari, pubblici amministratori ed
esponenti del mondo politico veronesi, i quali "unendo la propria
richiesta a quella della sezione scaligera dell’associazione internazionale Una
Voce ..., fanno voti che ai fedeli veronesi sia concesso di assistere, anche
nelle festività cristiane maggiormente sentite di Pasqua, Natale e Pentecoste"
alla messa latina antica. La notizia di tale iniziativa riceveva ampio risalto
sulla stampa (cfr. "L’Arena", 30 maggio 2001; "Il
Gazzettino", 30 maggio e 2 giugno 2001; "Corriere della sera", 3
giugno 2001).
Attacco del direttore del settimanale diocesano
"Verona Fedele" don Bruno Fasani contro i fedeli legati al rito
latino antico
All’argomento
ha dedicato il suo editoriale il settimanale diocesano "Verona Fedele"
del 10 giugno 2001, a firma del direttore don Bruno Fasani. Egli pare
orientarsi sulla stessa linea della denigrazione, dell'equivoco,
dell'intolleranza dei suoi colleghi, calcando particolarmente i toni, tale deve
essere stato lo sconcerto determinato dalla presa di posizione dei
rappresentanti delle istituzioni. Questi ultimi sono i primi a essere denigrati
come "riguardosi guardiani della democrazia, in vena di offrire i propri
servigi, magari da presentare all'incasso e con gli interessi al momento
giusto" (il ministro di Dio Fasani non pensa neppure per un attimo che
potrebbe trattarsi di cristiani che vanno a messa…). Poi tocca a quelli che
vogliono la "messa in latino" che per lui non dovrebbero nemmeno
esistere: "basterebbe che venissero in cattedrale tutte le domeniche
mattina alle nove e mezzo: esecuzioni impeccabili e canti da pelle d'oca. Il
tutto rigorosamente nella lingua di Cicerone". Pelle d'oca, appunto, la
solita messa-ghetto latina in italiano per i devianti ritardati, della
questione del rito antico neanche parlarne, in barba a Giovanni Paolo II e all'Ecclesia
Dei. I
cristiani di cui il Santo Padre proclama che devono essere rispettate le giuste
aspirazioni sono bollati, in modo del tutto confuso ed equivoco, come
"tradizionalisti", "integristi sedicenti cattolici", che
seguono (poteva mancare?), "le stesse ragioni per cui un certo vescovo
Lefebvre se ne andò sbattendo la porta", e ovviamente sono contro il
Concilio Vaticano II. Da rilevare che don Fasani si arroga il diritto, usando
come cassa di risonanza il settimanale diocesano, di togliere l'appellativo di
"cattolico" a persone mai condannate dalla Chiesa, le quali
potrebbero legittimamente querelarsi per lesione della propria immagine.
Evidentemente i Fasani sentono di avere dalla loro la divinità, non esitando ad
affermare testualmente che il divieto della messa antica a Natale, Pasqua e
Pentecoste rientrerebbe nientemeno che nelle "esigenze del vangelo"
(esigenze che sarebbero allora violate da Giovanni Paolo II, dal card. Martini,
da tutti i cardinali e vescovi che permettono di celebrarla anche in quei giorni?).
Non occorre proseguire. "Verona Fedele" ha riportato in successivi
numeri le lettere di tre (tre di numero) politici che hanno sottoscritto la
petizione, i quali dichiarano di ritirare la propria firma: auguriamo a don
Fasani buon lavoro - e Instaurare senza meno informerà i suoi lettori sugli
sviluppi -, perché da tre a settanta la strada è lunga.
da
"Instaurare omnia in Christo" 1-2/2001, pp. 15-16
www.instaurare.org
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