Messe latine antiche nelle
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"Il Messale di san Pio V rivela la sostanza di qualsiasi liturgia" Importante insegnamento nella lettera alla Plenaria della Congregazione del Culto Per la prima volta il Papa loda l'antico messale
di Fabio Marino
Papa Giovanni Paolo II ha indirizzato alla Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, tenutasi in Vaticano dal 26 al 29 settembre 2001, e dedicata al tema della religiosità popolare, una lettera che porta la data del 21 settembre.
L'intero documento rispecchia e insegna il concetto cattolico di liturgia, caratterizzata "per un profondo senso del sacro" e concepita come "innanzitutto azione di lode alla sovrana maestà di Dio, Uno e Trino".
Il Santo Padre afferma: " Il Popolo di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un comportamento pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare le cose invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni. Nel Messale Romano, detto di san Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia" (n. 3).
È la prima volta - dopo la pubblicazione della Costituzione Missale Romanum di Paolo VI -, che un papa esprime parole di lode per il Messale Romano di san Pio V e il rito romano antico, in vigore fino al 1969.
Il messale tridentino, che rappresenta il rito cattolico tradizionale dell'Occidente, è portato a esempio, accanto a "diverse liturgie orientali", di una liturgia con le cui "bellissime preghiere" "il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri". Ora i riti orientali sono attualmente in uso nella Chiesa cattolica, come innegabilmente è attualmente vigente e in uso anche il Messale Romano antico nella sua edizione tipica del 1962 (cfr. Motu proprio Ecclesia Dei).
Il Papa si riferisce, dunque, quale modello, a liturgie viventi, non semplicemente a formule scritte non più praticate dal popolo cristiano: il valore di esempio si trova soprattutto nella loro effettiva celebrazione. È pertanto evidente dalle parole del Santo Padre l'importanza, l'opportunità, la necessità che la messa latina antica sia oggi celebrata, proprio per riportare nella liturgia il senso del sacro.
Giovanni Paolo II si esprime contro l'idea che la liturgia sia "uno strumento con finalità meramente pedagogiche o ecumeniche": invece i celebranti devono soprattutto tenere "un comportamento pieno di riverenza e di dignità, … anche senza tante parole e spiegazioni". È chiaro il rigetto della mentalità illuministica - come quella propria del Sinodo di Pistoia e delle sue proposizioni condannate dalla Chiesa, ma ritornate di fatto in auge nel postconcilio - per cui tutto deve essere spiegato e compreso, a scapito della pregnanza del rito sacro che pone l'uomo dinanzi al suo Creatore per rendergli il culto a Lui dovuto.
Altrettanto chiaro l'autorevole richiamo alla fedeltà delle traduzioni liturgiche. La traduzione - insegna Giovanni Paolo II - "non rappresenta un esercizio di creatività, ma un accurato impegno per conservare il senso dell'originale senza cambiamenti, omissioni o aggiunte". Molti ricorderanno come, quando uscì la seconda edizione italiana del messale nel 1983, a cura della Cei, si parlò di un messale non tradotto, ma "pensato in italiano". Per il Papa la mancata osservanza del criterio della fedeltà all'originale "rende talora necessario e urgente il lavoro di revisione di alcuni testi". È evidente che probabilmente vi sono testi che hanno bisogno di revisione, ed è sperabile che tali autorevoli indicazioni saranno seguite nella futura edizione della Cei, nel quadro dell'auspicato ritorno della liturgia al sacro. |
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Inserito il 10 ottobre 2001
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