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DARDI VERSO IL CIELO
di Cristina Campo
Anteo, per rimanere invincibile, doveva
toccar terra col piede. L'uomo religioso deve, nell'agone che gli è
proprio, staccarsene il più sovente possibile: proiettando la sua mente
in Dio, scagliandola, come si dà il volo a una rondine, verso il
Creatore. Questo dardo d'oro della mente, questo batter d'ali che si
gettano perdutamente a prender dimora un istante nel cuore stesso della
luce, sono noti ai cristiani; e quando siano vocali (ma non
necessariamente) si chiamano operazioni giaculatorie, da
jaculum, appunto: dardo o freccia scoccata.
Il Vescovo di Roma ha ricordato di recente
che "l'uomo è un essere costituzionalmente ordinato a trascendere se
stesso, un essere proiettato verso Dio". Questa naturale conformazione
spiega come la giaculatoria sia stata in ogni tempo istintiva sulle
labbra del popolo: il più delle volte inconscia, puro grido, non di rado
colma di affetti delicati. "Cuore di Cristo, Vergine dolcissima, Madre
del Cielo, fateci santi" sono tra le locuzioni ancora in uso nelle
campagne italiane. E non è detto che il lancio di questi lievi e caldi
boccioli non compensi, sulle bi-
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lance invisibili, terrificanti pesi di
blasfemia. Il dolore del popolo rinnova, in una gamma infinita, l'eco -
umile e difforme finché si vuole - della suprema giaculatoria divina:
"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
Nella storia cristiana la pratica assidua,
metodica dell'orazione giaculatoria risale ai padri anacoreti della
Tebaide. Nelle Vitae Patrum è perpetuato il ricordo dell'unica
giaculatoria con la quale l'abate Pafnuzio condusse in tre anni la
cortigiana Thais alla purificazione perfetta. Volta verso Oriente, ella
doveva ripetere: "Tu che mi creasti, abbi pietà di me".
Ma vi è un nome al quale "si piega ogni
ginocchio, in cielo, in terra e negli inferni". La giaculatoria dei
Padri era soprattutto il nome di Cristo, reiterato all'infinito secondo
il comandamento paolino "Pregate incessantemente" (1Ts 5,17), ora solo,
ora in un breve contesto: "Signore Gesù, figlio del Dio vivente, abbi
pietà di me peccatore". La pratica risale a un grande mistico bizantino,
Simeone il Nuovo Teologo, ma la ritroviamo, più o meno accentuata, in
tutti i Padri d'Oriente (v. Philokalia on Prayer of the Heart,
Faber & Faber, 1957, e in italiano la piccola Philocalia, LEF,
1963).
Come il sacro Nome venga dolcemente accordato
al gioco del respiro e del battito cardiaco, finché per così dire non
più l'uomo prega ma in lui si prega incessantemente, gioiosamente, così
come in lui si pulsa e si respira, è narrato con incantevole realismo in
un singolare romanzo composto in Russia nel XIX secolo, senza dubbio da
un eminente conoscitore delle vie della contemplazione: La relazione
(o Il racconto) di un pellegrino al suo confessore (LEF, a
cura di don Divo Barsotti) : stupenda piccola opera costruita, come
Le anime morte, in forma di itinerario attraverso un paese ed un
popolo. Ma queste sono anime vive, incoercibilmente felici e soavemente
possenti, che il magnete del Nome congrega intor-
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no al pellegrino
dovunque passi. Il mondo, blocco ottuso e cieco, racchiude in ogni tempo
una filigrana di esseri che vivono secondo regole che non sono di questo
mondo. E sono gli esseri che mutano il cuore del mondo. L'iniziazione
alla "via del Nome" è ancora diffusa nei monasteri del Monte Athos (v.
Invocazione del Nome di Gesù, di Ignoto, LEF, 1961) e, a quanto
sembra, in molti paesi dell'Est.
Cassiano consacra un intero capitolo delle
sue Collazioni alla giaculatoria "Deus, in adiutorium meum
intende, Domine, ad adiuvandum me festina": versetto davidico che
aprirà, in Occidente, ciascuna Ora canonica dell'Uffizio corale. Nelle
Ore, anche certe coppie di versi e responsori brevissimi suonano quali
giaculatorie di supplica: "Ostende nobis Domine / misericordiam tuam", o
"Miserere / mei, Deus".
Ma l'amore vince il timore. Giaculatoria
regale è la giaculatoria di pura dilezione, come quella che san
Francesco ripeté per un'intera notte: "Mio Dio e mio tutto". Affettuose
giaculatorie chiudono ciascun capitolo dei piccoli trattati di sant'Alfonso.
Non diversamente le intendeva san Francesco di Sales, le cui lettere di
direzione spirituale si insinuano come dita delicate sino alle corde più
fini della vita dell'anima, squisitamente accordandole alla volontà
divina. A santa Francesca di Chantal egli raccomanda di salutare con una
giaculatoria ogni rintoccar d'ora. Ad una giovane donna vessata dal
terrore della morte, di esclamare frequentemente: "Voi siete mio Padre,
o Signore". Ma è nelle lettere a due dame, a cui gli affari di Corte
impediscono l'orazione metodica, che egli formula con maggior bellezza e
precisione il carattere dell'orazione giaculatoria: "... soprattutto
desidero che in ogni occasione, durante la giornata, voi ritiriate il
vostro cuore in Dio, dicendogli qualche parola di fedeltà e d'amore".
"... [supplite]
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alla mancanza degli altri esercizi con frequenti e
ferventi orazioni giaculatorie o proiezioni (élancements)
dello spirito in Dio" (Lettres, Garnier, vol. I).
Questo doppio e simultaneo movimento dello
spirito, che si ritira in Dio cercandolo nella segreta stanza interiore,
e trova in quel centro l'infinito nel quale lanciarsi, lo ritroviamo
nella pratica religiosa dell'Islam. Secondo Frithjof Schuon (Comprendre
l'Islam, Gallimard, 1961), "la preghiera canonica è diretta verso la
Mecca, mentre la menzione di Dio - Non c'è Dio se non Dio - è
diretta verso il cuore". Questa giaculatoria di lode, reiterata alla
minima occasione, forma nell'Islam il tessuto stesso della vita.
La consuetudine di queste sacre formule
riveste l'uomo di una speciale impassibilità, e non è raro incontrare
ancor oggi delicati asceti di cui non si spiegherebbe la resistenza
all'urto del mondo se non li sapessimo ricoperti da un'invisibile
armatura di giaculatorie. Come sempre il santo è il miglior banchiere,
secondo la parola di uno scrittore contemporaneo, e lo stato di orazione
perenne, oltre ad assicurare un apporto continuo di energie spirituali,
lo stato di gioia e la santa imperturbabilità, opera tutto un seguito di
meraviglie minori, alle quali difficilmente si crederà senza esperienza.
La recitazione del Nome e la giaculatoria in generale, isolando lo
spirito in un cerchio al quale soltanto forze superiori hanno accesso, è
una possente difesa psicologica ben nota agli uomini di preghiera. Più
di un antico mistico sperimentò come questa fulminea intimità con Dio
arrivasse a produrre in qualche maligno interlocutore la improvvisa
balbuzie, inspiegabili capogiri o altri sintomi di confusione mentale.
Anche l'inscrutabile vincitore è più spesso
di quanto non si creda, e al contrario di quanto usa credere, vir
orationis. Uno studioso riferiva un caso:
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quello del potentissimo
finanziere uso alla contemplazione che assistendo a conferenze d'affari,
veri convegni di lupi pronti a sbranarsi, se ne isolava di tanto in
tanto elevando la mente in breve orazione. "E con sorpresa, ogni volta,
li vedeva placarsi, riconciliarsi uno dopo l'altro". Riviste hanno
riferito del magnate giapponese dell'automobile che trascorre un intero
giorno della settimana in meditazione religiosa nei templi di Kyoto.
Nell'ultimo libro di Jacques Maritain (Le
paysan de la Garonne, Desclée de Brouwer, 1966), di un'importanza
così unica per la storia del cattolicesimo contemporaneo e così
affascinante nella titanica ironia delle sue condanne, è suggerita,
ancora una volta, la pratica della giaculatoria. "Si può fare orazione
nel treno, nella metropolitana, nella sala d'aspetto del dentista. Si
può ricorrere con frequenza a quelle brevi preghiere lanciate come un
grido che gli antichi raccomandavano tanto".
È certo che se l'uomo conoscesse la
sterminata potenza della sua anima quando un costante movimento
verticale l'assicuri come un canapo a Dio, persino un mondo qual è il
nostro cesserebbe di atterrirlo e, beninteso, di affascinarlo.
da «Il Giornale d'Italia», 10-11 gennaio 1967, p. 3,
ripubblicato in C. CAMPO, Sotto falso nome², a cura di M. FARNETTI, Milano, Adelphi,
1998, pp. 136-140.
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