Messe latine antiche nelle
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Ripubblichiamo un importante saggio per la storia dell'indulto
Disco rosso
per i "celebret" romani?di Eric M. de Saventhem
Fondato su una lucida analisi delle notizie riportate dalla stampa internazionale, come anche su informazioni di prima mano, l'articolo di Eric M. de Saventhem, presidente della Federazione Internazionale Una Voce, costituisce una messa a punto autorevole sullo status quaestionis circa i compiti, e i conseguenti poteri, conferiti dal Santo Padre alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, l'organo istituito dal Papa all'indomani delle traumatiche vicende del giugno 1988 per dare risposta al profondo disagio sofferto nel variegato mondo dei cattolici "tradizionalisti".
A questa messa a punto si unisce, molto opportunamente e sempre sulla scorta di informazioni circostanziate e accuratamente vagliate, l'illustrazione degli intrighi e delle complicità che hanno reso possibile a un ristretto ma potente e autorevole gruppo di pressione ‑ in un clima che ricorda da vicino quello delle corti bizantine ‑ far desistere il Papa, per il momento, dal decretare la fine dell'ostracismo alla celebrazione della S. Messa secondo l'antico Rito Romano.
Il testo originale dell'articolo, in lingua tedesca, è stato pubblicato per la prima volta, nel fascicolo 5‑6, settembre‑dicembre 1989, della rivista Una Voce Korrespondenz; siamo lieti di proporlo, con il cordiale assenso dell'A., ai lettori italiani nella traduzione da noi curata.
* * *
Da qualche tempo corre voce che il Papa avrebbe revocato alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei la facoltà di concedere i "celebret", in seguito alle proteste dei presidenti di alcune Conferenze episcopali. Dall'inizio del giugno 1989 non sarebbe stato più rilasciato alcun nuovo "celebret" e la Commissione invierebbe le richieste ai competenti Vescovi locali o Superiori religiosi, anche quando ne fosse nota l'attitudine contraria. Sarebbe quindi inutile continuare a rivolgersi a Roma per chiedere i "celebret".
Qual è, in realtà, la situazione?
Facoltà della Commissione Ecclesia Dei
Poiché il compito particolare affidato alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei richiede talune misure non previste dal vigente ordinamento canonico, la Commissione stessa è stata fornita dal Santo Padre delle facoltà corrispondenti. La concessione di queste "facultates" avvenne nell'udienza privata accordata al presidente della Commissione, S.E. il Cardinal Mayer, il 19 ottobre 1988. La Commissione veniva abilitata, fra l'altro, a quanto segue:
"concedere a tutti quelli che lo richiedono l'uso del Messale Romano del 1962, in conformità con le norme predisposte da una Commissione cardinalizia nominata a questo fine nel dicembre 1986, previa comunicazione al Vescovo diocesano (praemonito episcopo dioecesano)".
L'uso di questa facoltà ‑ come di ogni altra ‑ è unito alla condizione che la Commissione Ecclesia Dei prenda preliminare contatto con il prefetto della Congregazione Romana interessata chiedendo il suo "parere" anche se non ha bisogno del suo assenso.
In generale vi è inoltre che le facoltà date alla Commissione Ecclesia Dei devono essere utilizzate nell'adempimento del "munus peculiare" ad essa affidato come suo incarico speciale, incarico definito dall'Annuario Pontificio in questi termini: "Collaborando con i Vescovi, i dicasteri della Curia Romana e i circoli interessati, facilitare la piena comunione ecclesiale di quei preti, seminaristi, comunità regolari o singoli religiosi fino ad oggi in diversi modi collegati alla Fraternità sacerdotale fondata da Mons. Lefebvre i quali vogliono rimanere uniti al Successore di Pietro".
Si tratta degli stessi termini del Motu Proprio Ecclesia Dei che ha eretto la Commissione. In un testo successivo [1] è stata utilizzata una formula molto più generica: "La Commissione speciale incaricata dell'applicazione del Motu Proprio Ecclesia Dei. Si tratta, come è apparso nel frattempo, di una differenza di significato rilevante.
Estensione delle Facoltà
Nel sopra ricordato atto di concessione delle facoltà attribuite alla Commissione Ecclesia Dei la loro estensione non è più precisamente definita; in suo luogo si rimanda a delle "Norme" che fino ad oggi non sono state pubblicate. Si dice soltanto che esse erano state approntate da una Commissione cardinalizia nominata a questo scopo nel 1986. Questa Commissione, composta da otto cardinali romani, doveva esaminare la capacità di funzionamento dell'indulto del 1984; la Commissione giudicò che esso si era dimostrato "di poco aiuto" nella pratica e formulò dettagliate raccomandazioni per una nuova regolamentazione comune a tutta la Chiesa. Il tenore di queste raccomandazioni ‑ indicate come "Norme" nelle "Facoltà" ‑ è conosciuto negli ambienti interessati e si può riassumere nel modo che segue:
Le "Norme" del 1986
1. Nelle celebrazioni di Rito Romano alla lingua latina deve essere attribuito il dovuto onore. I Vescovi devono quindi curare che in ogni capoluogo delle loro Diocesi almeno le domeniche e i giorni di festa sia celebrata una Messa in lingua latina. In questo caso è lecito che le letture siano proclamate anche in lingua volgare.
2. Nelle loro Messe private tutti i sacerdoti possono sempre servirsi della lingua latina.
3. In ogni Messa celebrata in lingua latina ‑ con o senza assistenza di popolo ‑ il celebrante ha diritto di libera scelta tra il Messale Romano di Paolo VI (1970) o quello di Giovanni XXIII (1962).
4. Quando il celebrante sceglie il Messale di Paolo VI egli deve attenersi alle rubriche di esso.
5. Quando il celebrante sceglie il Messale di Giovanni XXIII egli è tenuto alle rubriche di esso; può tuttavia:
‑ nelle letture usare o la lingua latina o quella volgare;
‑ riprendere i prefazi aggiuntivi e le preghiere del Proprio contenute nel Messale di Paolo VI, come anche inserire le "preces universales".
6. A seconda del Messale scelto dal celebrante vale per la celebrazione il calendario liturgico corrispondente a questo Messale.
"Non opportuno per il momento"
La Commissione cardinalizia aveva approvato queste raccomandazioni a larga maggioranza e suggerito al Santo Padre la loro pronta promulgazione mediante un Decreto conforme ad esse. Messo in guardia da indiscrezioni, l' "establishment" liturgico mobilitò diversi gruppi di Vescovi, tutti francesi, che compivano allora (primavera del 1987) la loro visita "ad limina".
Contro la nuova regolamentazione proposta vi furono ricorrenti ondate di proteste episcopali; essa a detta dei Vescovi era inaccettabile per diversi motivi. Sembrava confermare pienamente le ragioni di quei fedeli che avevano criticato la riforma liturgica come una "rottura con la Tradizione" e avevano rifiutato i nuovi riti; anche l'atteggiamento di Mons. Lefebvre sarebbe stato in qualche modo giustificato. Tutti i Vescovi che secondo le direttive romane si erano attenuti all'obbligo di accettazione dei nuovi riti sarebbero stati sconfessati; la loro autorità morale si sarebbe indebolita e con essa anche la loro capacità di fronteggiare i selvaggi sviluppi liturgici della "sinistra". Le raccomandazioni della Commissione cardinalizia inoltre menomavano il diritto di ordinare la liturgia proprio di ogni singolo Vescovo diocesano e delle Conferenze episcopali nazionali: sarebbe stato contro il principio di collegialità se la questione della restaurazione dell'antica Messa fosse stata decisa "dall'alto" per tutta la Chiesa, in spregio della competenza dei Vescovi. La nuova regolamentazione avrebbe rappresentato quindi un ritorno al "centralismo romano" al quale i Vescovi dovevano opporsi per fedeltà alla nuova ecclesiologia del Concilio.
Se e come tali argomenti abbiano convinto il Santo Padre si può tralasciare; la ben orchestrata ondata di protesta fu sufficiente per indurre il Papa a mettere da parte in quanto "non opportuno per il momento" il Decreto che avrebbe dovuto promulgare le raccomandazioni della Commissione cardinalizia.
Tali raccomandazioni ‑ queste "Norme" ‑ ricevono inaspettatamente un nuovo valore per l'esplicito richiamo ad esse nelle "facoltà " date alla Commissione Ecclesia Dei. Sono infatti queste "Norme" ‑ e non l'indulto del 1984! ‑ a tracciare il quadro entro il quale la Commissione Ecclesia Dei può concedere l'uso del Messale del 1962. Non vuol dirsi con ciò che l'indulto non sia più in vigore: esso rimane vigente come norma generale anche dopo il Motu Proprio Ecclesia Dei e la sua dimostrata inutilizzazione. Certo i Vescovi sono invitati ad una applicazione "ampia e generosa" dell'indulto, ma con ciò contemporaneamente lo si riconferma come la sola ‑ per il momento ‑ base normativa vigente per celebrare secondo l'antico Messale. Per l'ambito in cui la Commissione Ecclesia Dei, in forza della sua competenza, fa uso delle sue facoltà, l'indulto perde il suo carattere vincolante: la Commissione è dispensata dallo stesso Papa dall'adempimento di tutte le sue condizioni restrittive.
Tensioni programmate
In conseguenza di ciò si è instaurata una situazione che doveva condurre forzatamente a delle tensioni. Mentre per i Vescovi l'indulto del 1984 rimaneva o poteva rimanere anche in seguito determinante, la Commissione Ecclesia Dei indirizzava il suo lavoro, in forza delle "facoltà" attribuitele dal Papa, secondo le "Norme" che avrebbero dovuto sostituire l'indulto, contro la promulgazione delle quali i Vescovi si erano opposti con forza e finora con successo.
I Vescovi potevano così richiamarsi all'indulto come "diritto vigente", la Commissione Ecclesia Dei alla "volontà" del Papa manifestata nel Motu Proprio. Ma poiché questa "volontà" non si era concretizzata in espressa legislazione, i Vescovi potevano rimproverare alla Commissione Ecclesia Dei di disattendere il "diritto vigente" quando essa procedeva secondo lo spirito di norme non giuridicamente in vigore.
L'opposizione dei Vescovi, dopo quella esercitata nella primavera del 1987 contro la promulgazione di tali "Norme", si concentrò sempre più sull'attività della Commissione Ecclesia Dei e principalmente sulle sue "facoltà" che venivano quasi a legittimare quelle "Norme". Si protestò soprattutto contro la prassi di concessione dei "celebret" seguita dalla Commissione Ecclesia Dei; si vide in essa un'insopportabile intrusione di "Roma" negli affari interni di ogni singola diocesi. Si rimproverò alla Commissione di agire ultra víres nel rilasciare "celebret" anche a sacerdoti che "non erano rientrati dallo scisma di Lefebvre": lo stesso Motu Proprio ‑ si è fatto osservare ‑ non limitava espressamente il mandato della Commissione Ecclesia Dei al reinserimento dei "lefebvriani pentiti"?
A queste osservazioni il Cardinal Mayer, presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, replicò con pieno diritto che la concessione dei "celebret" da parte della Commissione "non era misura arbitraria decisa dalla Commissione, essendole stata attribuita questa competenza dallo stesso Santo Padre"; il senso di questa concessione si trovava nelle parole del Papa nel Motu Proprio: si trattava di "facilitare la piena comunione ecclesiale a tutti quei cattolici che sono legati a forme liturgiche precedenti della tradizione latina, mediante le misure necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni". Il "celebret", come letteralmente dichiarò il Cardinal Mayer, "è appunto soltanto questo: una di quelle misure necessarie".
"Praemonito episcopo dioecesano"
Nella stessa occasione ‑ un'intervista accordata alla rivista "Trenta Giorni" nel maggio 1989 ‑ il Cardinal Mayer chiariva il modo di funzionare del "celebret": "Il 'celebret' dà il diritto a celebrare la Messa secondo l'edizione originale (c.d. Editto typica) del Messale Romano del 1962 come è stata promulgata da Giovanni XXIII. Secondo la specie di 'celebret' concesso esso vale per le Messe private del sacerdote o anche per le Messe con gruppi di fedeli. Nel secondo caso il sacerdote si deve accordare con il Vescovo del luogo, al quale in entrambi i casi la Commissione notifica la concessione del 'celebret'".
Con il riferimento alla notificazione al Vescovo diocesano (o al Superiore religioso competente) è richiamata la seconda condizione alla quale il tenore delle facoltà lega il loro esercizio, cioè il "previo avviso al Vescovo diocesano": è richiesta solo la comunicazione al Superiore interessato, non il previo ottenimento dell'assenso da parte di questi. Si può interpretare in modo diverso quale sia il significato esatto e lo scopo di quel "previo": o che il Superiore debba essere salvaguardato da "sorprese", o che gli debba essere data la possibilità di produrre obiezioni fondate e tempestive contro la prevista concessione di un "celebret" da parte della Commissione Ecclesia Dei. Poiché la Commissione in generale non conosce personalmente i sacerdoti che richiedono per iscritto il permesso di celebrare l'antica Messa, e non può dunque giudicare se "essi si trovano in situazione giuridica regolare davanti al loro Superiore" si dovrà dunque intendere il "previo avviso" nel senso della seconda interpretazione.
La Commissione Ecclesia Dei, a quanto sembra, non si è sempre attenuta a questo obbligo, ma talvolta ha informato il Superiore competente solo dopo il rilascio del "celebret". Tutto ciò appare più che comprensibile se si pensa alla enorme mole di lavoro che ha subissato la Commissione dal primo giorno del suo insediamento in poi; con un personale ridotto al minimo era inevitabile che avvenissero ritardi in qualche singolo settore di lavoro od occasionali incidenti: in alcuni pochi casi il "celebret" è stato concesso anche a sacerdoti che non erano, come richiesto, "in normali rapporti giuridici" con i propri Superiori. Il Cardinal Mayer ha apertamente ammesso questi incidenti ed ha contemporaneamente assicurato che la Commissione si sarebbe in futuro strettamente attenuta all'obbligo del "previo avviso" al Superiore competente. Questi pochi errori sono stati ripetutamente messi in evidenza: essi erano un gradito pretesto per tentare di screditare innanzi al Santo Padre il lavoro compiuto dalla Commissione nel suo insieme e portare così in discussione la sua stessa esistenza.
Contrasti curiali
In questo tentativo gli oppositori della Commissione Ecclesia Dei potevano contare sul sostegno attivo da parte di un altro dicastero romano: la Congregazione per il Culto Divino. Durante tutto il presente pontificato questo influentissimo organismo si è sempre opposto ad ogni prospettiva di mitigare il "divieto" dell'antica Messa. In occasione dell'emanazione dell'indulto del 1984 fu la Congregazione per il Culto Divino ad insistere perché fossero inserite tutte quelle odiose limitazioni che hanno fatto diventare l'indulto stesso "di così poco ausilio" nella pratica, come ebbe a riconoscere sommessamente la Commissione cardinalizia. E quando, nel 1987, si trattò di promulgare le raccomandazioni di quella Commissione, fu di nuovo la Congregazione per il Culto Divino a fomentare e ad appoggiare l'opposizione dei Vescovi.
Anche dopo il Motu Proprio Ecclesia Dei, la Congregazione per il Culto Divino cercò di intralciare la volontà di conciliazione del Papa. Essa mise in circolazione ‑ come si è potuto conoscere da varie fonti [2] ‑ una sua propria interpretazione della Lettera apostolica:
In quella Lettera si tratterebbe esclusivamente della reintegrazione di quelli che "fanno ritorno dallo scisma dì Lefebvre". Solo per tali preti e comunità varrebbe "l'applicazione ampia e generosa" disposta dal Papa. In tutti gli altri casi i limiti posti dall'indulto "non debbono essere oltrepassati" e le sue disposizioni andrebbero interpretate "nel modo il più possibilmente restrittivo". Le "misure necessarie" menzionate dal Papa sarebbero già tutte contenute nel Motu Proprio stesso: esse consisterebbero nella disposizione a favore dei lefebvriani pentiti e nella istituzione della Commissione Ecclesia Dei. Sarebbe quindi inammissibile parlare di "promesse" papali di cui si attenderebbe ancora il compimento vano aspettare ulteriori mitigazioni.
Tale interpretazione era in pieno contrasto con la volontà chiaramente enunciata dal Santo Padre di facilitare "a tutti i fedeli cattolici che si sentono legati ad alcune precedenti forme liturgiche della tradizione latina" la pienezza della comunione ecclesiale garantendo "il rispetto delle loro giuste aspirazioni ". La dichiarazione della volontà papale viene così svalutata a semplice "manovra verbale" per attenuare momentaneamente l'emozione per la condanna di Mons. Lefebvre e trattenere i fedeli legati alla Tradizione dall'unirsi al suo "scisma". Questa distorta interpretazione del Motu Proprio Ecclesia Dei è stata diffusa in tutto il mondo fin nelle parrocchie attraverso i mezzi di comunicazione delle Commissioni liturgiche nazionali e diocesane. Per precauzione venivano così erette barriere psicologiche contro quelle possibili ulteriori concessioni che Roma forse avrebbe potuto fare ai "tradizionalisti".
Un mandato ulteriore per la Commissione
Che Roma pensasse seriamente a queste ulteriori concessioni divenne presto chiaro. Già nell'ottobre del 1988 il Cardinal Mayer parlò in una intervista della "necessità" di una revisione dell'indulto del 1984, le cui condizioni erano apparse "fin da principio troppo gravose"; in non poche diocesi inoltre esse erano state ulteriormente aggravate, sicché l'indulto si era dimostrato "praticamente inapplicabile" e già da qualche tempo se ne chiedeva la revisione. Queste le testuali parole del Cardinale: "Ora la nostra Commissione deve occuparsi di questa questione, e con ciò troveranno adeguata considerazione i criteri elaborati nel 1986‑87 da un gruppo di eminenti responsabili" (l'accenno è alla Commissione cardinalizia).
Questo solo fatto, e cioè che alla Commissione Ecclesia Dei fosse stato conferito questo ulteriore compito, confutava l'interpretazione dei Vescovi e della Congregazione del Culto Divino secondo cui il mandato della Commissione stessa sarebbe limitato "al reinserimento dei lefebvriani pentiti"; confutava inoltre l'asserzione della Congregazione medesima che le "misure necessarie" promesse dal Motu Proprio fossero tutte già contenute nel Motu Proprio stesso e non se ne dovessero attendere altre. D'altra parte risulta vero che tali "misure necessarie" non avrebbero dovuto essere disposte dalla Congregazione per il Culto: il mandato affidato alla Commissione Ecclesia Dei implicava un significativo trasferimento di competenze. La responsabilità della "revisione" dell'indulto del 1984 rimaneva affidata alla sola Commissione, in forza della propria competenza specifica e non come cooperatrice della Congregazione per il Culto. Quest'ultima d'altra parte, come altri dicasteri romani, è rappresentata nel consiglio interno della Commissione nella persona del suo sottosegretario ‑ il suo terzo ufficiale in ordine gerarchico ‑ e può quindi far valere il suo punto di vista attraverso i "vota" di questi. I consultori non hanno però diritto di voto quando si tratta di decisioni della Commissione; quando una decisione è approvata dal Santo Padre la Commissione può promulgarla in proprio nome.
Non c'era da aspettarsi che la Congregazione per il Culto si rassegnasse, senza resistenza, alla perdita di competenza per quanto concerne la revisione dell'indulto. Poiché tale decisione era stata presa dal Papa stesso non vi poteva essere resistenza aperta, ma, piuttosto, il tentativo di bloccare la revisione in se stessa. Attraverso il suo rappresentante nel consiglio interno della Commissione Ecclesia Dei, la Congregazione per il Culto era adeguatamente informata del procedere dei lavori a questo proposito; conosceva il contenuto del progetto di decreto varato dalla Commissione e sapeva anche quando questo sarebbe stato presentato alla Segreteria di Stato per l'inoltro al Santo Padre. Si potevano quindi approntare per tempo delle contromisure e farle scattare al momento giusto.
L'udienza del 16 maggio 1989
"Il 16 maggio vi è stato in Vaticano un incontro riservato durato tre ore, presieduto dal Papa, fra alcuni membri principali della Curia e quattro principi della Chiesa europea. 'L'Osservatore Romano' ha parlato dell'incontro in una breve nota. Fra quanti la lessero nessuno poté supporre che si trattava della riunione forse più importante dalla fine del Concilio Vaticano II. Oggetto dell'incontro è stato il progetto proposto da un Cardinale di Curia di un decreto pontificio che avrebbe tolto ogni restrizione alla celebrazione dell'antica Messa".
Ha inizio con queste parole un articolo dello "Spectator", settimanale inglese molto reputato e ideologicamente neutrale; esso fu pubblicato nel fascicolo del 15 luglio, due mesi dopo l'incontro. Sembra che l'autore abbia svolto in questo tempo appropriati sondaggi; quanto da lui divulgato circa l'andamento dell'incontro non era stato precedentemente pubblicato altrove.
Si sono potuti così apprendere i seguenti particolari:
"Il presidente della Conferenza episcopale inglese, Cardinale Hume, e i suoi egualmente liberali colleghi nello stesso ufficio in Germania, Francia e Svizzera, avevano avuto sentore dei piani della Commissione Ecclesia Dei. Vennero di volata tutti insieme a Roma e chiesero una udienza con il Papa. In quella occasione il Cardinal Hume fu il più caldo oppositore della proposta del Cardinal Mayer. Il Papa, che già si preparava a sottoscrivere il decreto predisposto, decise all'ultimo momento di non firmarlo. Ma non lo strappò".
Il Cardinal Hume in seguito ha fatto smentire questa versione dei fatti per quanto concerneva il ruolo da lui svolto in quella riunione, ruolo che verosimilmente non è stato riferito con esattezza, poiché il cardinale inglese non è fra i più aspri oppositori dell'antica Messa. Portavoce dell'opposizione "liberale" fu piuttosto il Cardinale Martinez-Somalo, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, che al tavolo della conferenza non sedette accanto ai Cardinali Casaroli, Mayer e Ratzinger, ma si pose ostentatamente a fianco dei quattro Prelati stranieri.
Altre fonti completano il quadro con la notizia che fu la Congregazione per il Culto Divino a chiedere l'udienza per i visitatori. È probabile che sia stata la medesima Congregazione a preoccuparsi che i quattro principi della Chiesa "avessero sentore" dei piani della Commissione Ecclesia Dei, e che abbia stimolato essa la controffensiva concertata. Del resto tale offensiva non era diretta soltanto contro l' "editto di tolleranza" a favore dell'antica Messa preparato dalla Commissione Ecclesia Dei, ma riguardava anche l'intero operato della Commissione, duramente criticata e accusata fra l'altro di ferire costantemente le prerogative dei Vescovi diocesani, soprattutto mediante la concessione di "celebret" senza previo accordo con il superiore interessato. Evidente scopo dì questo duro intervento, fosse detto chiaramente o meno, era muovere il Papa a ritirare, o quanto meno a restringere considerevolmente, quelle "facoltà" in forza delle quali la Commissione era in un certo modo divenuta la "protettrice romana dei tradizionalisti".
Secondo alcuni i visitatori stranieri e il loro "tutore" romano avrebbero anche richiesto nel corso dell'incontro lo scioglimento della Commissione Ecclesia Dei, sostenendo che il suo compito originario si limitava al "reinserimento dei lefebvriani pentiti" e che, assolto ormai in definitiva tale incarico, della Commissione non vi era più alcun bisogno. Sarebbe stato inoltre sostenuto che, dopo l'ultima riforma della Curia, l'incarico supplementare affidato alla Commissione Ecclesia Dei di rivedere l'indulto rientrava in ogni caso nella esclusiva competenza della Congregazione per il Culto Divino che vi avrebbe potuto attendere. Non vi è però finora alcuna conferma di tali indiscrezioni, anche se di per se stesse sembrano plausibili.
Ed il risultato?
La stessa lunghezza della riunione, durata tre ore, rivela con quale accanimento si è lottato. Il progetto del Cardinal Mayer era appoggiato con forza sia dal Cardínal Ratzinger sia dal Cardinal Casaroli: la sua adozione avrebbe colmato la frattura esistente tra la "volontà" del Papa e il vigente ordinamento canonico in materia liturgica. Il Papa si decise contro un'immediata promulgazione.
"È stata persa innanzitutto una grande possibilità", ha commentato deluso Johannes Gross nella "Frankfurter Allgemeine Zettung". "È stato un colloquio utile", ha dichiarato di ritorno da Roma Mons. Gandolfi, presidente della Conferenza episcopale svizzera. Se i visitatori stranieri erano venuti per il fine di impedire ancora una volta la liberalizzazione dell'antica Messa, potevano essere contenti del risultato ottenuto.
Per la Commissione Ecclesia Dei questo arretramento è stato compensato dal fatto che è rimasta intatta la sua competenza generale per la revisione dell'indulto: essa lavora a un nuovo progetto. Anche gli altri attacchi contro la Commissione non hanno centrato il bersaglio; le sue "facoltà" in particolare non sono state ridotte ed essa è nuovamente abilitata alla concessione di "celebret". La procedura è però divenuta più complessa: per ogni singola domanda la Commissione informa il Vescovo del luogo con un'appropriata raccomandazione. Viene così adempiuto l'obbligo della "previa comunicazione" all'Ordinario diocesano. La Commissione spera che in seguito i Vescovi, in numero crescente, accordino essi stessi le facoltà in tal modo richieste con l'appoggio romano. Se il Vescovo non si uniforma alla raccomandazione della Commissione, questa, purché non ostino gravi motivi, concede il suo proprio "celebret" e lo invia al sacerdote che lo ha richiesto dandone al Vescovo semplice comunicazione.
La conferma della facoltà di concedere il "celebret" significa anche che il compito della Commissione non si esaurisce nel "reinserimento dei lefebvriani pentiti", ma che essa è invece incaricata di tutti gli aspetti riguardanti "l'applicazione del Motu Proprio Ecclesia Dei", dovendo così fungere quindi da "tutore romano" di tutte le legittime richieste dei fedeli legati alla Tradizione. Il Papa ha ringraziato la Commissione per l'attività svolta in questo più ampio campo e l'ha invitata a continuare; la Commissione Ecclesia Dei esce dunque rafforzata dal confronto.
Sarebbe allora estremamente controproducente se i sacerdoti si facessero distogliere, a causa delle complicazioni sopra descritte, dall'inviare a Roma domande per la concessione dei "celebret". Quante più domande le arrivano, tanto più efficacemente la Commissione può adoprarsi alla completa liberalizzazione dell'antica Messa. Liberalizzazione che rimane la più importante delle "misure necessarie" previste nel Motu Proprio, anche e soprattutto dopo l'incontro del 16 maggio.
Clarens, ottobre 1989
[1] Lettera della S. Congregazione per la dottrina della Fede a dom Gérard Calvet, osb, priore dell'Abbazia del Barroux, in data 25 luglio 1988; è firmata dai Cardinali Ratzinger e Mayer.
[2] Cfr. al riguardo la lettera della Congregazione per il Culto Divino in data 6 ottobre 1988 (prot. n. 1265/88) a firma di Mons Virgilio Noè allora segretario della Congregazione stessa, lettera che è stata opportunamente divulgata in "Una Voce Notiziario" n° 85‑86, 1988, p. 4 (ivi anche, pp. 14, un commento all'ignobile e abusivo documento, alla cui pubblicazione ha fatto seguito il trasferimento del predetto Monsignore ad altro incarico) [N.d.R]
da "Una Voce Notiziario" n° 91-92, 1990, pp. 3-11
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