Messe latine antiche nelle
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Confessioni
Certamente da una ventina di giorni, da quando è uscita in modo clamoroso l'indiscrezione che il Santo Padre sta per emanare un documento con la tanto attesa liberalizzazione della messa di san Pio V, le centrali antimessa hanno iniziato a diffondere sui mezzi di informazione ogni tipo di notizie non sempre esatte e di giudizi non sempre corretti. Un contributo vuole darlo pure l'ineffabile Giancarlo Beltrame dell'Arena di Verona, che si sa avere buoni consulenti anche nella locale Curia vescovile. Accanto alle normali inesattezze da gazzettiere inserite in questi "gotha" - parola il cui suono sembra fare tanto gioire il Beltrame - anche un piccolo tentativo di denigrazione. Se chi, inquisito, è stato sempre assolto, vuol dire che non ha fatto nulla di male, al pari di chi né inquisito né condannato potrebbe pur sempre esserlo domani. Anche questo modo di (dis)informare, non proprio il massimo della correttezza, è comunque normale in questo tipo di quotidiani. Quello che invece è inusuale è che Beltrame confessa apertamente nel suo pezzo di avere diffamato don Pavesi sabato 28, dichiarando che le parole "pseudoprete preconciliare alla don Camillo" erano riferite proprio a lui (la diffamazione, ovviamente, si trova nel termine "pseudoprete"). Oggi Beltrame, guarda guarda, non solo si è confessato, ma si è persino pentito e ha corretto quanto aveva scritto, pubblicando le risposte che si è fatto dare dall'interessato. Che dire, c'è da stupirsi se ogni tanto succede anche qualcosa di positivo?
Fabio Marino
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"Sono come don Camillo"
"Era un prete che sapeva come trattare i nemici di Nostro Signore"
UNA CHIESA TRA PASSATO E FUTURO
di Giancarlo Beltrame
"Piacere, sono don Camillo..."
Allora non è arrabbiato.
"Don Camillo mi piace. Quello sì che era un vero prete che sapeva come trattare i nemici di Dio".
E preconciliare, le piace?
"Sono anche preconciliare, tanto è vero che vado vestito come prima del Concilio e come dovrebbero vestire tutti i sacerdoti. Ma pseudoprete, no, non mi è piaciuto. Lei ha un po' esagerato. Io sono un prete".
Ci spieghi allora che prete è...
"Volentieri".
Vilmar Pavesi ha appena finito di celebrare un'ora e mezzo di messa in latino, secondo il messale del 1962 e l'antico rito tridentino, nella chiesa di Santa Toscana, davanti alla quale venerdì sera si era tenuta la manifestazione leghista con Mario Borghezio, alla quale aveva partecipato anche lui (e l'avevamo descritto come uno "pseudoprete preconciliare alla don Camillo"). In chiesa, alle sue spalle, perché nel vecchio rito il sacerdote sta rivolto al tabernacolo, un'ottantina di fedeli, anzi di "fedelissimi". Tra di loro Amos Spiazzi, veterano - sempre assolto - di tante inchieste sulle stragi degli anni '60 e '70 e su tentativi di colpo di Stato e organizzazioni sovversive, Palmarino Zoccatelli di Famiglia e Civiltà, Maurizio Ruggiero del movimento legittimista Sacrum Imperium, Nicola Cavedini, presidente di UnaVoce, ossia il gotha dell'integralismo tradizionalista cattolico scaligero, e ancora l'avvocata Augusta Selmo, che vive nel quartiere, e, un po' a sorpresa, il direttore amministrativo dell'Ulss 22 Michele Romano.
Dove è nato?
"Sono nato in Brasile, a Nova Aurora, nel 1970".
E da dove viene il suo nome?
"Vilmar è un nome tedesco, che significa Guglielmo, mentre Pavesi è italiano".
Quindi la sua famiglia è italiana?
"Sì, emigrati da Crema nel 1875, nelle prime migrazioni dall'Italia. Se non parlo molto bene l'italiano è perché in famiglia si parlava il dialetto cremasco".
Lei sarebbe quindi di fatto un immigrato extracomunitario...
"Ho la doppia cittadinanza, brasiliana e italiana. L'ho ottenuta qui in Comune a Verona, dimostrando di essere discendente per linea paterna da italiani".
Dove ha compiuto i suoi studi?
"Nel seminario di Anapolis, dove c'erano due sacerdoti padovani, della famiglia del papa Sarto (Pio X, ndr), che mi hanno insegnato il valore della tradizione. Loro mi hanno insegnato ad amare la Chiesa di sempre e a dire la messa in latino".
E lì è stato ordinato sacerdote...
"No, non in Brasile. Dopo la mia ordinazione diaconale, sono stato mandato dal mio vescovo Dom Manoel Pestana Filho in Spagna, per fare il dottorato in filosofia all'università di Navarra a Pamplona, dove mi sono laureato in filosofia".
Allora è diventato prete in Spagna?
"Nemmeno, siccome il mio rettore di Anapolis era un sacerdote tedesco, Ingo Dollinger, di origine bavarese, amico personale di Ratzinger e buon amico del vescovo di Vaduz, monsignor Wolgang Haas, ha chiesto al mio vescovo il permesso per farmi ordinare da Haas, visto che mi trovavo già in Europa".
Così è andato in Liechtenstein...
"No, l'ordinazione è avvenuta in Baviera, con altri quattro sacerdoti francesi, tedeschi e statunitensi della Fraternità di San Pietro. E secondo il rito tradizionale celebrato da monsignor Haas, vescovo molto pio che ho avuto la grazia di conoscere".
Cos'è la Fraternità di San Pietro?
"Sono quei cattolici che erano seguaci del vescovo Lefebvre e con un accordo con Giovanni Paolo II hanno accettato l'autorità del papa, mantenendo, però, il rito tridentino".
E lei ne fa parte.
"Io sono sacerdote diocesano e la mia diocesi è Anapolis. Il mio vescovo è Dom João Wilk. E qui a Verona monsignor Carraro".
Dicono che lei però non abbia il "Celebret", ossia il permesso di celebrare e svolgere ministero.
"Io ce l'ho il 'Celebret'. Sarebbe impensabile che potessi dire la messa ogni domenica e nei giorni di precetto, e adesso, da un mese, ogni giorno anche in un monastero di suore, e ascoltassi anche le confessioni, se non l'avessi. Ho il permesso sia del mio vescovo in Brasile sia di Carraro, con cui ho parlato tre-quattro volte".
Ma come è arrivato a Verona?
"Sono arrivato provvidenzialmente. Avevo sempre avuto il desiderio di venire a lavorare come sacerdote in Italia, per quello che rappresenta per la cristianità. Avevo guardato nei siti Internet e visto che c'era questa chiesa dove si celebrava pubblicamente con il permesso del vescovo la messa in latino e, dato che qui avevo una parente che già me ne aveva parlato, mi sono messo in contatto con UnaVoce, l'associazione per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana. Loro mi hanno pagato il trasferimento e adesso dal giugno 2005 sono qua".
E di che cosa vive?
"Della carità dei fedeli di Verona, che da più di un anno, con tanti sacrifici, mi aiutano sia per l'affitto sia per avere una vita dignitosa. E un sacerdote di Pordenone, morto poco tempo fa, mi ha lasciato in eredità la sua automobile".
L'aiuteranno anche per i vestiti...
"Certo. Per gli abiti talari e i cappelli, come il tricorno che porto oggi. E ho anche un saturno a tesa larga che metterò quando farà più freddo".
Cosa pensa di Benedetto XVI?
"Guardo con molta speranza all'apertura alla celebrazione della messa in latino. Spero che il papa firmi presto il decreto di liberalizzazione di questo rito venerabile e millenario".
Da cosa nasce il suo tradizionalismo?
"Senza tradizione non è possibile alcun progresso"
Nella sua omelia non usa certo parole di pace, anzi parla di crociate...
"Dicevano i latini: 'Si vis pacem para bellum'. Ci sono troppi nemici e avversari delle verità cattoliche e del loro ordine. Non c'è giustizia senza la forza. E oggi è un tempo in cui c'è bisogno di crociati".
da "L'Arena", 30 ottobre 2006
www.larena.it
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