Oscar Mischiati e la tutela del patrimonio
organario in Italia:
parole su cui riflettere
Proponiamo ai nostri lettori questo illuminante contributo
dell'ottimo musicologo e organologo bolognese Oscar
Mischiati, una sorta di punto della situazione sulla tutela
degli organi storici in Italia. Questo scritto, risalente a
una ventina di anni fa ma ancora attualissimo, è utile per
comprendere le profonde ragioni culturali che motivano la
necessità di salvaguardare l'immenso e variegatissimo
patrimonio organario storico del nostro Paese. L'amara
analisi dell'autore, tuttavia, sottolinea un paradosso:
questi strumenti giacciono per la maggior parte muti, anche
se restaurati e funzionanti, a causa del trionfo della
mediocrità nell'esercizio musicale legato al culto. Ridicole
pretese liturgiche, il decadimento del livello professionale
dei musicisti di chiesa e il trauma culturale seguito alla
riforma liturgica post-conciliare (cui gli uffici diocesani
preposti non sembrano interessati a porre rimedio) rendono
impossibile, allora come oggi, il miglioramento della
situazione.
Massimo Bisson
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L'organo antico nella problematica della tutela
dei beni culturali in Italia
di Oscar Mischiati
Il patrimonio organario antico italiano è
ricchissimo, non solo per la quantità, ma anche per la qualità e
varietà.
Allo stato attuale delle conoscenze, è difficile fornire dati
precisi sulla consistenza, data anche l'estrema disuguaglianza nella
distribuzione territoriale: se ad esempio una provincia come quella
di Belluno presenta soltanto un'ottantina di strumenti di interesse
storico-artistico, la sola città di Bologna ne possiede oltre un
centinaio.
D'altro canto, se alcuni tipi d'organo (quello veneziano
settecentesco, quello lombardo ottocentesco) presentano
caratteri abbastanza diffusi e comuni (ciascuno nel proprio
genere, ben inteso), profonde diversità qualificano e
segnano gli strumenti attraverso i tempi e i luoghi: un
organo rinascimentale toscano non è la stessa cosa di un
coevo strumento lombardo.
E gli esempi potrebbero continuare.
La maggior parte di tale patrimonio versa in condizioni
precarie di sopravvivenza, vuoi per prolungati periodi di
abbandono (segnati dai danni prodotti dal tarlo, dai topi,
talvolta dallo stillicidio dell'acqua piovana), vuoi per
azioni vandaliche di asportazione e danneggiamento del
materiale (tipico il caso di canne divelte e calpestate),
vuoi infine per interventi inconsulti di manomissione:
perlopiù volti ad adattare gli strumenti alle limitate
cognizioni musicali e al cattivo gusto di organisti
dilettanti, sprovveduti o velleitari; s'intende alludere
alla sostituzione di tastiere e pedaliere "più comode"
rispetto alla presunta scomodità di quelle originali,
così come all'eliminazione di autentiche sonorità
organistiche (Flauto in XII^,
Cornetto, registri ad ancia, file acute di Ripieno) perché
"stridule" e alla loro sostituzione con materiale scadente
(zinco) confezionato in maniera industriale e finalizzato ad
effetti sdolcinati e d'infimo gusto, estranei all'arte e
alla cultura musicale, meno che mai convenienti ai livelli
di qualità e di dignità del tempio e del rito.
Eppure queste operazioni per lunghi (troppo lunghi!) decenni
sono state qualificate come "riforma liturgica" degli
organi, laddove è da stigmatizzare un atteggiamento tuttora
perdurante: quello di assumere come metro di valutazione
degli organi (e non solo quelli) una categoria storicamente
e culturalmente inconsistente quale quella di "liturgico"
(ciò che era liturgicamente tassativo per Pio XII non lo è
stato più con Paolo VI; né la situazione ha finora cessato
di essere fluida; ma qui basti rilevare la relatività del
termine).
Con il decadere dell'esercizio della musica in chiesa, da
livelli di qualità non di rado prestigiosa (di necessità,
storicamente concreta e individuata: di volta in volta il
gregoriano nel periodo romanico, la primitiva polifonia nel
gotico, la grande arte contrappuntistico-imitativa nel
Rinascimento e nel |
|
Didascalia generale:
Le fotografie che seguono sono state scattate da O.
Mischiati il 2 giugno 1973. Qualche settimana più tardi lo
strumento venne smontato da persone volenterose e collocato
in una cappella laterale della chiesa; poco tempo dopo,
cassa e cantoria furono travolte dal crollo della copertura
soprastante, danneggiata da annose infiltrazioni d'acqua
piovana. Infine, anche il ricordato materiale accantonato è
sparito nel corso dei restauri alla chiesa effettuati
dall'impresa Bonifica di Roma negli anni 1989-1992.
Lo strumento era una rara testimonianza dell'attività di un
organaro particolarmente influente sugli sviluppi
dell'organo italiano in età barocca; di lui sopravvivono
soltanto gli organi di Collescipoli (Parrocchiale) e Pistoia
(Spirito Santo), nonché il prospetto di quello di S. Maria
in Carignano a Genova. |
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Barocco, lo stile "concertato" nel Barocco fino a ben addentro
l'Ottocento) a livelli non professionali, si accompagnò un
singolare fenomeno: la codificazione ufficiale della mediocrità.
Alla creatività dell'arte si pretese di sostituire prescrizioni e
norme atte ad orientare l'esercizio di "routine" mantenuto al più
basso profilo; così l'organo "diventava" liturgico se avesse avuto
tastiere di 58 tasti, pedaliera di almeno 27 tasti, registri non
spezzati "bassi" e "soprani, ecc. Atteggiamento che non si sa se
definire più assurdo o ingenuo, ma al quale si deve la
manomissione e la distruzione di centinaia di insigni strumenti (tra
i tanti casi: i quattro organi della basilica del Santo a Padova, le
coppie di organi di San Marco a Venezia, del Santuario di Loreto,
della Cattedrale di Volterra, di S. Stefano dei Cavalieri a Pisa,
ecc.).
Ma non meno assurde e ridicole sono le pretese "liturgiche" attuali
di volere l'organo o l'organista in mezzo all'assemblea,
disattendendo pateticamente la natura del canto assembleare, le
leggi dell'acustica e le esigenze di un serio esercizio dell'arte
dei suoni. In ossequio a tale confuso velleitarismo si vorrebbero
comandare gli organi a distanza mediante trasmissione elettrica, di
fatto contraddicendo all'esigenza primaria della fonte sonora
prossima a chi canta e suona e indulgendo ad un tipo squalificato di
organo, ripudiato universalmente dalla cultura organistica e
musicale.
Senza contare che la riforma protestante e calvinista sono riuscite
a far cantare le assemblee dei fedeli senza rimuovere o manomettere
gli organi; più semplicemente e correttamente si è inculcata
l'educazione musicale di base generalizzata, si è allestito un
repertorio musicale qualificato ed appropriato di canti, e si è
affidato l'organo ad un professionista.
Tutte cose che non si ottengono dall'oggi al domani,
come "italianamente" si è preteso di fare in maniera confusa e
pasticciona.
E come un tempo le commissioni diocesane di musica sacra inculcavano
e benedicevano le riforme liturgiche degli organi - di fatto
perseguendo un assurdo appiattimento e livellamento in netto
contrasto con una tradizione senza pari per varietà e fantasia
creativa, senza contare l'avallo perennemente concesso agli
operatori più squalificati del settore (cui rifiutiamo, per ragioni
oggettive, la qualifica di "organari") - così oggi da quegli stessi
ambienti diocesani si ribadiscono posizioni in netto contrasto con
gli indirizzi più aggiornati in campo organistico, organario,
organologico e di tutela del patrimonio strumentale antico.
È stata quindi condizione storica strettamente necessitante per
quanti nel nostro Paese hanno a cuore senza riserve la tutela e
l'integrità del patrimonio storico organario, richiamare
l'attenzione degli uffici statali preposti a quelli che oggi
complessivamente si usa chiamare "beni culturali" perché in questi
ultimi fossero a pieno titolo compresi gli organi e gli strumenti
musicali.
La situazione è lungi dall'aver trovato soddisfacente soluzione,
anche perché nel nostro Paese,
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per una singolare distorsione di vecchia data, la tutela - e di
conseguenza la preparazione dei funzionari ad essa preposti - è
sempre stata ed è tuttora finalizzata ai fatti "visivi" (senza
contare i condizionamenti delle valutazioni "estetiche"),
sottovalutando gli aspetti essenzialmente "storici", materiali e
documentari dei manufatti e delle testimonianze in genere del
passato.
fig. 1 -
Orvieto, chiesa dei Santi Apostoli: organo costruito dal gesuita
fiammingo Guglielmo Hermans (circa 1660-70) - Veduta complessiva del
prospetto, articolato in maniera tipicamente fiamminga.
Più volte è infatti accaduto che la "tutela" degli organi antichi
giungesse a salvaguardare il solo prospetto, come se le canne
interne e tutto il resto (tastiera, complesso dei comandi e dei
meccanismi, somieri ecc.) non fossero anch'essi "oggetto" di
rilevanza storica ed artistica ad un tempo.
Quando addirittura non è accaduto che, per mal inteso purismo
architettonico, organo e cantoria sono stati spazzati via come
elemento ingombrante e "deturpante", così nelle cattedrali di
Cremona, Concordia Sagittaria, Gerace, Perugia, Pienza, Pistoia
Prato, Troia, Volterra e nelle chiese di notevole rilevanza come
Assisi (S. Francesco), Bari (S. Nicola), Cortona (Madonna del
Calcinaio), Milano (S. Maria delle Grazie) oppure sono stati
trasferiti (come a Mortara: S. Lorenzo, alla Badia Fiesolana, a
Modena: Cattedrale) o arbitrariamente ridimensionati (come a Castell'Arquato:
Collegiata, e nelle cattedrali di Assisi, Bologna, Lodi); l'elenco è
ovviamente soltanto esemplificativo.
Un allargamento del campo visuale è quindi urgente e necessario, non
solo in ottemperanza al dettato costituzionale, ma anche per
adeguare l'opera della pubblica amministrazione agli orientamenti
culturalmente più avvertiti e prevalenti da tempo nei paesi civili.
Ma l'intervento pubblico in materia organaria si giustifica anche
per altri motivi. Quando si parla di "Chiesa", normalmente si
identifica "sic et simpliciter" con la gerarchia. Occorrerebbe
ricordare, più correttamente, che la Chiesa è la comunità dei
battezzati, quindi dei fedeli e del clero. A quest'ultimo
spettano incontestabilmente i compiti magisteriale e sacramentale
per la sal-
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vezza delle anime. Il "temporale" è invece incombenza dei fedeli
costituiti, come cittadini, in legittime pubbliche aggregazioni: in
una parola lo Stato, nella fattispecie la Repubblica. della quale
sono pure cittadini - con parità di doveri oltre che di diritti - i
membri del clero e della gerarchia.
Sembra invece che a più di cent'anni di distanza questi ultimi non
abbiano ancora accettato di buon animo la fine dello Stato
pontificio e si considerino - e di fatto molto spesso si comportano
- come se lo Stato non esistesse o addirittura come se l'intervento
statale nel merito specifico della tutela storico-artistica (e
quindi anche organaria) fosse un'illecita intrusione, una
prevaricazione laicista nei fatti di culto e di religione.
Di qui la tendenza degli ecclesiastici in genere a sottrarre al
"civile" quanto più è possibile e a gestirlo quale patrimonio
esclusivo: in particolare, appunto, i beni culturali cosiddetti
ecclesiastici. A cominciare dagli archivi, che sono innumerevoli,
spesso imponenti, ma raramente gestiti correttamente e accessibili o
fruibili in condizioni soddisfacenti per lo studioso.
Se è vero che il clero (anche per l'assottigliamento dei ranghi in
conseguenza sia della flessione delle vocazioni, sia delle
innumerevoli riduzioni allo stato laicale determinate dagli
smarrimenti pre- e post-conciliari) è letteralmente travolto dalle
incombenze pastorali, non si vede perché tali patrimoni archivistici
non vengano depositati presso quelle strutture pubbliche create -
nell'interesse di tutti - per la conservazione e
la consultazione del materiale documentario che vi è conservato.
Ulteriore, elementare, ma - a quanto sembra - non altrettanto ovvia
osservazione è che i beni culturali cosiddetti ecclesiastici sono
proprietà non del clero, ma della Chiesa, quindi anche dei fedeli.
Non esistendo nell'ambito di quest'ultima forme e strutture
amministrative o rappresentative dei fedeli stessi per una gestione
culturalmente avvertita e comunitarimente trasparente di tale
patrimonio (come lo erano le "opere" o le "fabbricerie", esistite
con validità civile, giuridica dal Medioevo fino al concordato del
1929), non si vede come tale compito non possa e non debba essere
esercitato da quegli istituti pubblici, statali, esistenti in
quanto prefigurati e regolati da leggi che i cittadini medesimi si
sono date. È anzi sorprendente come il clero non riesca ancora oggi
a concepire il pubblico ufficio come una struttura anche al
suo servizio.
Certo, è storicamente più che giustificata la diffidenza,
l'estraneità o l'insoddisfazione del cittadino nei confronti di
questo Stato italiano e delle sue strutture per lo più arcaiche,
fatiscenti, inefficienti, lente, paralizzanti, onerose e
insufficienti. Ma non è men vero che questo deplorevole stato di
cose è anche storicamente frutto di plurisecolari prevaricazioni
clericalesche e, in tempi a noi più prossimi, del valoroso
contributo di "cattolici", politicamente o meno impegnati.
Sicché, in luogo
di vedere stimolata la concorde volontà dei cittadini - chierici e
laici, credenti e miscredenti - per far sì che lo Stato cessi di
essere soltanto elargitore di finanziamenti, sussidi, esenzioni,
favori e
7
simili,
e diventi finalmente quello che deve essere: un fornitore di servizi
efficienti per tutti e ad un costo ragionevole, si assiste al
raddoppiarsi o triplicarsi di compiti e funzioni: da qui la serie
degli archivi, biblioteche e beni culturali ecclesiastici, il tutto
gestito dal clero e dalla gerarchia come cosa propria ed esclusiva
senza ingerenze "esterne", semmai facendo leva sul volontariato
gratuito di laici archivisti, bibliotecari, schedatori,
catalogatori.
Altra materia di considerazioni è quella in ordine alla storia della
cultura. È infatti fuori di dubbio che al tutela rigorosa e il
restauro storico-filologico sono una caratteristica dei nostri tempi
nel rapporto con i manufatti storico-artistici del passato; ed è
altrettanto certo che il concetto e la prassi del restauro mutano
nel tempo: si affinano i procedimenti, si arricchiscono le
conoscenze e le esperienze, si moltiplicano le occasioni di verifica
e di confronto, si allarga il campo dell'attenzione.
fig. 2 -
Idem: particolare del prospetto vistosamente segnato dallo
stillicidio d'acqua piovana.
Fino ad una ventina d'anni addietro, ad esempio, non si prestava
attenzione al recupero del "temperamento" antico nell'accordatura
degli organi; ed è di questi ultimissimi tempi l'adozione della
camera a gas anche in campo organario quale mezzo di disinfestazione
dal tarlo delle parti lignee.
Tutte materie, come ognun vede, oggetto e fonte di studio, di
ricerche, di dibattito, di pubblicazioni; tutte cose cui certo il
clero non è istituzionalmente tenuto né attrezzato.
Non solo, ma si
stenta a credere come - in materia di organi - taluni vescovi,
vicari generali e parroci ritengano di regola pre-
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feribile avvalersi del poco illuminato consiglio di un prete
musicista auto-didatta e dilettante piuttosto che rivolgersi a un
professionista qualificato da oggettive referenze (quali possono
essere l'attività didattica, concertistica, scientifica,
pubblicistica ecc.).
Il
fatto che questi sia magari anche un cattolico praticante è del
tutto ininfluente agli occhi dei sospettosi ed esclusivisti curiali
ed ecclesiastici, giacché l'autonomia di giudizio che il competente
mutua dalla propria preparazione e professionalità è in perenne
rotta di collisione con le ristrette vedute di chi è investito di
una carica di governo (laica o clericale non fa differenza) senza un
adeguato corredo personale di cultura.
Ma le
limitate risorse culturali - diciamo così - di alcuni ecclesiastici,
hanno come conseguenza non soltanto l'effettuazione di restauri poco
ortodossi o - il che fa lo stesso - l'installazione di organi
"nuovi" di costruzione, ma sorpassati di concezione, ed inoltre
l'impossibilità della loro utilizzazione per scopi diversi da quelli
strettamente "liturgici". Di fatto, in alcune diocesi italiane è
impossibile o comunque molto difficile poter svolgere concerti
d'organo.
Il
che è paradossale. Se durante la celebrazione dei riti non è più
possibile, in concreto, suonare quella letteratura organistica che
appunto per essi è stata concepita (si pensi ad esempio ad una messa
organistica alternata, versetto per versetto, con il canto
gregoriano) e se d'altra parte gli organi antichi ne sono il tramite
sonoro indispensabile per la corretta esecuzione (secondo i dettami
di una cultura musicale, musicologica ed organistica che su questi
temi si va sviluppando e affinando da quasi un secolo ma alla quale
il clero cattolico resta sordo e indifferente), non si capisce in
quale altro modo esecutori ed ascoltatori possano fruire e degli
organi antichi e della loro musica. Visto che appena fuori d'Italia
- in Austria, in Svizzera, in Francia, in Germania - tale tipo di
divieto è del tutto sconosciuto. Senza contare che presso cattedrali
e abbazie transalpine le celebrazioni di messe solenni e pontificali
in latino, con l'apporto tradizionale delle cinque parti dell'ordinarium
in polifonia o in musica concertata, da Dufay a Brucker, è prassi
consuetudinaria - e poiché la gerarchia ecclesiastica di quelle
contrade non risulta essere eretica o passibile di censure del
genere, ne consegue necessariamente che ad essere in difetto sono
alcune diocesi italiane (quella di Rimini, ad esempio).
In
difetto essenzialmente di sensibilità culturale: giacché se si
tollerano le sconcezze musicali che usualmente infestano le
celebrazioni liturgiche, non si comprende francamente come il luogo
sacro possa ritenersi "profanato" dallo svolgimento di qualche
concerto di musica organistica.
Ma
c'è qualcosa di più: l'evento musicale è visto con ostilità da
alcuni ecclesiastici perché giudicato fatto meramente edonistico; il
che equivale a dire che dopo tutte le esperienze acquisite dalla
psicologia e dalla musico-terapia non si è ancora arrivati a
comprendere che la musica è un linguaggio, un veicolo di messaggi,
diverso ed
9
fig. 3 -
Idem: particolare del complesso dei comandi (tastiera, pedaliera,
registri) in completo stato di devastazione e di abbandono.
"altro" dalla parola, dal discorso e dal ragionamento
logico-verbale.
Né si
venga ad obiettare che la musica è un fatto estetico, poiché tutto
nell'uomo è "aisthesis", giacché "nihil in intellectu quod prius non
fuerit in sensu" come asseriva l'antica, grande "scuola" filosofica.
E quante volte il nostro "sensus" uditivo è offeso e avvilito da
prediche e omelie, sciatte nella forma, scorrette nella lingua e
modeste nel contenuto.
Coloro che non conoscono la musica non possono rendersi conto della
complessità e profondità del linguaggio musicale; chi non abbia
l'orecchio musicale - cioè in grado di distinguere e riconoscere i
suoni - o non sia capace di seguire l'esecuzione di una composizione
"leggendo" la relativa partitura non può evidentemente sperimentare
quanto un'audizione musicale vada al di là della semplice "titillatio
aurium".
L'ascolto di una pagina musicale da parte di chi è digiuno di
cognizioni tecniche è paragonabile alla lettura di una poesia o
comunque di un brano letterario da parte di chi non conosca bene la
lingua nella quale sono scritti.
Orbene, molta gente che si trova in queste condizioni di "ignoranza"
musicale pretende pure - come ad esempio fanno da una trentina
d'anni i cosiddetti "liturgisti" - di dettare legge in materia di
musica e di organi. Non si può fare a meno di ricordare il caso ben
noto degli allevatori del Wisconsin (U.S.A.) che - pur non essendo
musicologi - hanno saputo apprezzare l'efficacia della musica
"classi-
10
ca"
sulle loro mucche per ricavarne una più abbondante produzione di
latte!
fig. 4 -
Idem: particolare dell'interno, con i fori vuoti del crivello
testimoni delle canne asportate.
Nonostante gli scomodi e persino sgradevoli condizionamenti sin qui
elencati, è comunque indubbio come in poco più di trent'anni si sia
fatto parecchio nel nostro Paese nel senso di una qualificazione
culturale del mondo organistico e organario, premessa indispensabile
per un'efficace e generalizzata opera di tutela.
Tuttavia, molto resta ancora da fare. Di tanti restauri che vengono
effettuati, soltanto pochi raggiungono un buon livello di rigore
metodologico e di qualità esecutiva. Numerosi organisti, poi,
agognano ad avere restaurato l,'organo della chiesa più vicina per
divenirne titolari e potervi organizzare cicli di concerti per i
propri allievi o "concerti-scambio" con colleghi nazionali ed
esteri.
Ma
soprattutto abbondano i dilettanti e gli autodidatti che si
improvvisano "esperti" (sovente pure investiti della qualifica
ufficiale di "ispettori onorari"): quindi vediamo la "tutela"
esercitata da funzionari di banca, direttori didattici, medici
chirurghi, insegnanti scolastici, architetti e simili.
Quando poi i dilettanti e gli "entusiasti" non si autopromuovono
organari, magari con alle spalle soltanto una preparazione nelle
scienze e senza la minima padronanza tecnica musicale (ricorrendo,
eventualmente, per intonare e accordare le canne, a qualche operaio
in pensione già attivo presso una grossa fabbrica d'organi).
Questo stato di cose esige che si faccia chiarezza.
Osiamo sperare che un contributo in questo senso venga dalle
iniziative assunte dagli Uffici Centrali del Ministero per i Beni
Culturali e Ambientali: la costituzione di una commissione
consultiva nazionale sui problemi della tutela organaria,
l'emanazione di norme sull'effettuazione dei restauri, la
definizione di un più articolato modello di scheda descrittiva di
organo antico, l'avviamento dei corsi di formazione per i funzionari
nel complesso, e pressoché sconosciuto, mondo della storia della
tecnica e del restauro degli organi.
da "I beni culturali. Tutela e valorizzazione", II (1994), pp.
3-10 (revisione di Intervento, in I beni culturali ecclesiastici
tra culto e tutela. (Atti del Convegno di studi, Varese 24 gennaio
1987), Gavirate, Nicolini, 1990, pp. 58-61.