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Riprendiamo il commento all'ordinanza del Tribunale dell'Aquila contro il crocifisso, pubblicato dal Cons. Riccardo Turrini Vita - che è il presidente di Una Voce-Italia - nel sito "Giustizia e Carità".

 

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Il Crocefisso nelle scuole

L'ordinanza del Tribunale de L'Aquila, con commento

di Riccardo Turrini Vita

 

§1

Mi pare che i contributi riferiti considerino soprattutto l'alterità del simbolo della Croce rispetto agli ordinamenti terreni, intesi come luogo del potere. Alcuni sottolineano come il Crocefisso, quale segno dell'accettazione di una sorte dolorosa per un fine più alto, riceve poco apprezzamento dall'assetto sociale odierno in genere. Altri ripetono che il Crocefisso è portato nei cuori dai credenti.

Al riguardo, vorrei partecipare alcune riflessioni.

È evidente che, pur priva del sentimento di orrore che ispirava ai pagani, la Croce evoca comunque una sorte dalla quale naturaliter l'uomo rifugge; in ogni epoca si è dovuto perciò predicare ed insegnare il perché della Passione di Cristo.

Ciò era reso evidente ai più (dico noi, battezzati non teologi) dall'incentrarsi della religione cattolica sul rito sacrificale della Messa. Il carattere sacrificale della Messa le viene dall'essere la repraesentatio della Passione e Morte di NSGC, come tutta la spiritualità dall'alto medioevo in poi ha notato. A fronte di tanto, sono parziali le contemporanee descrizioni della Messa come mistero pasquale, o sacrificio di lode, sono cose vere, ma raramente completate dicendo che essa è un sacrificio espiatorio. Si tratta di un carattere che è stato messo in ombra da recenti approcci teologici, dalla conseguente predicazione e soprattutto dall'assetto liturgico nuovo (Messale del 1970 e successive evoluzioni).

Cade, perciò, la ragione della rappresentazione del Crocefisso, come a loro tempo fecero i seguaci di Calvino.

Quanto all'onore sociale al Crocefisso, perché di questo si parla, non dell'adorazione intima che è veramente di foro interno, debbo notare che i Padri del tardo impero hanno scritto sul fatto che il patibolo una volta infamante era divenuto vanto del diadema dei re: essi erano contenti di tutto ciò, considerando come l'impero romano fosse stato ordinato da Dio alla propagazione del Vangelo.

Comunque, il problema, così posto, è molto intraecclesiale.

 

§2

Dal punto di vista dello Stato italiano, la sua laicità è figlia della storia italiana durante e dopo l'unificazione, ed è dunque  tributaria di una specifico approccio filosofico all'interpretazione del fenomeno religioso (quasi sempre di impronta hegeliana).

Così vista, ma sono consapevole che vi possono essere altre opzioni di interpretazione storica, mi pare difficoltoso contemperare le due posizioni del rispetto dei sentimenti della maggioranza degli Italiani, da un lato, e della neutralità religiosa degli spazi pubblici, massime di quelli dell'educazione.

Gli Italiani praticano poco la religione cattolica ma, per larghissimi numeri, amano che i loro figli ricevano i sacramenti dell'iniziazione cristiana e li iscrivono all'ora di religione. Molte ragioni si possono indicare, e fra loro, l' affezione a riti cari alle famiglie, la consapevolezza che il poco magistero di morale che si fa, è fatto dalla Chiesa, i giudizi sulla stessa variegati ma comunque migliori di quelli dati su altre istituzioni.

Fra le affezioni della maggioranza degli Italiani, vi è quella al Crocefisso, che è di pietà soprattutto cattolica, con quelle forme umane sofferenti sottolineate dalla spiritualità francescana (e, dunque, almeno agli inizi, soprattutto italiana), e per secoli offerte alla meditazione.

Al contrario, e qui non ravviso esistente l'argomento di fatto dal quale muove il Tuo contributo, per quanti neghino il sacrificio redentore di Cristo, la Croce è un peso ed un fastidio per gli occhi e per l'anima.

Vedi san Leone Magno, sermo 8 de passione domini: "isti enim nihil in crucifixo Domino praeter facinus suum cogitare potuerunt, habentes timorem, non quo fides vera iustificatur, sed quo conscientia iniqua torquetur".

Non si può dire che gli Ebrei in generale vedano in Cristo un giusto, poiché per molti di loro "volle farsi Dio" (così l'addolorata madre di Edith Stein alla figlia che voleva convertirsi).

La  Croce non piace ai musulmani, perché, ci si dice, vi vedono l'umiliazione di un profeta. Anche qui, non si saprebbe però dire cosa credano effettivamente: la loro opinione sulla morte di Cristo in croce sembra sia di tipo docetista (ovvero, Cristo in croce non era il profeta Issah, ma un fantasma). Si deve constatare che, negli stati islamici più rigorosi, l'ostensione della Croce non è permessa in pubblico e negli edifici.

In ogni caso, l'israelita e l'islamica sono confessioni a magistero diffuso, e non si riesce a fissare una definitiva posizione.

In genere, però, gli appartenenti alle due religioni vedono nell'affissione della Croce nei luoghi pubblici, l'affermazione della confessione cattolica, come anche ha visto il giudice aquilano, e non di una generica affezione all'umanità; per vedervi ciò, bisogna essere reduci dell'Ottocento romantico e di certo modernismo, e dunque appartenere alla cultura europea recente.

 

§3     Vengo alla decisione del giudice.

La ricognizione delle fonti e delle vicende anche amministrative è molto ricca. Certo, la dottrina citata è unilaterale, ma a mio avviso è forse quella più coerente con lo spirito laico come storicamente manifestatosi in Italia.

Il punctum dolens mi pare sia lo iato argomentativo fra la cessazione del principio confessionale e la caducazione delle norme regolamentari che lo attuano. Anche a volere riconoscere che quelle norme erano mosse dal desiderio politico di permeare di cattolicità il regno d'Italia, il cessare di tale intento nel governo e nello stato non può bastare a farle ritenere non più applicabili; è un modo di interpretare le norme difforme dai criteri fissati dalle preleggi.

Circa il rango della fonte, si è spesso dubitato che i regolamenti di organizzazione del governo durante la vigenza dello Statuto albertino, fossero veramente mere norme secondarie, data una certa autonomia costituzionale dell'esecutivo, investito dal re; lo ricordo perché mi è capitato di occuparmene in un contributo sull'ultrattività di una causa di giustificazione (scriminante) contenuta nel regolamento di servizio degli agenti di custodia (1937).

Diamo però per ammesso che i regolamenti regi di organizzazioni siano fonti secondarie; il giudice non avrebbe dovuto ritenerli abrogati perché caduto il principio generale che li sorreggeva, ma avrebbe potuto formalmente disapplicare, ritenendoli in violazione di una legge, come sempre può fare il giudice ordinario.

Ora, il giudice aquilano, per trovare la legge violata dal regolamento ha voluto evocare principi dell'ordinamento estratti da detti della Corte costituzionale (che ha fatto della laicità un principio ultracostituzionale) ed ha così posto molto in alto e in una zona vaga la legge violata dal regolamento dell'arredo scolastico.

Credo, invece, che se egli era convinto di essere in presenza di una discriminazione religiosa, avrebbe dovuto invocare l'articolo 44, testo unico dell'immigrazione: (la procedura era già stata introdotta dalla legge 6 marzo 1992, articolo 40), il cui presupposto è che il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produca una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Il giudice può, allora, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione. La competenza è del tribunale in composizione monocratico.

Per il resto, l'ordinanza mi pare accurata nell'esame delle legittimazione attive e passive e nel porsi il problema del successivo giudizio di merito.

                                                                           

da www.giustiziacarita.it/

 

 

 

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Inserito il 13 novembre 2003

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