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Bologna, conferenza di Massimo Bisson

Organi, architettura e ornamento a Venezia nei secoli XV-XVII

 

Sabato 27 novembre scorso, presso il Museo della Musica di Strada Maggiore in Bologna, il consigliere nazionale di Una Voce Italia Massimo Bisson, ha tenuto una conferenza dal titolo significativo: "... nel tempio di Dio sì bene fabbricato... Organi, architettura e ornamento a Venezia: secoli XV-XVII".

L'iniziativa è stata promossa dall'associazione Arsarmonica nell'ambito della venticinquesima edizione della rassegna "Itinerari organistici nella provincia di Bologna".

Il relatore, in apertura del suo apprezzato intervento, non ha mancato di sottolineare di come l'organo nel corso del XV secolo assuma quelle caratteristiche che oggi conosciamo e ciò sia dal punto di vista fonico che tecnico e di come questo assuma un ruolo nella liturgia o al servizio della stessa.

Da qui lo svilupparsi della copiosa letteratura, sia solistica che quella delineatasi nella prassi dell'alternatim che interessava sia la celebrazione della messa che dell'ufficiatura divina, il relatore non ha mancato di proporre l’audizione di esempi tratti dall'opera di quel sommo organista che fu il Cavazzoni.

Quest'ultima prassi, gioverà rammentarlo, troverà la sua definizione precisa nel cap. XXVIII del I libro del Caeremoniale Episcoporum del 1600.

L'epoca oggetto della trattazione di Massimo Bisson è proprio quella in cui gli organi divengono delle "maestose macchine musicali".

Un tanto trovò sua ispirazione nella rifioritura delle arti nello spirito e sulla scorta del pensiero umanistico: tanto da poter affermare che l'organo prende la sua forma da una efficace e diremo quasi provvidenziale sinergia delle arti architettonica, scultorea, pittorica e musicale che concorrono ad una felice koinè proprio nella definizione dello strumento.

L'idea, già risalente all'antichità, di un'architettura le cui proporzioni seguano in un certo qual modo l'armonia delle composizioni musicali, trova il suo spazio nella trattatistica della rinascenza, prima fra tutte in importanza e celebrità quella di Leon Battista Alberti (De re aedificatoria).

In Venezia, storicamente punto d'incontro e crogiolo di culture, tali speculazioni trovarono un fecondo humus, per averne contezza è bastevole pensare all'umanista francescano Francesco Zorzi e all'ancora più celebre Andrea Palladio.

Le teorizzazioni, non scevre di un rigido impianto filosofico, si spingono ad affermare che proprio nell'edificazione dell'edificio sacro (microcosmo), concepito ed inteso come una riproduzione del creato (macrocosmo), l'arte architettonica conosce e realizza il suo massimo compimento.

Il più grande teorico musicale del Cinquecento, Gioseffo Zarlino, affermerà che l’organo, essendo che costruito "alla guisa del corpo humano", è una "macchina perfetta", proprio in virtù di questa sua perfezione il Diruta ravvisa che, come ovvio corollario, esso sia destinato alla finalità cultuale.

Entrando nello specifico dell'ornamentazione dello strumento il relatore cita testimonianze della seconda metà del Trecento evidenziando come queste principino a farsi più copiose e frequenti dopo il primo trentennio del XV secolo.

Le portelle, nate dall'esigenza di mettere al riparo dagli agenti esterni il materiale fonico, vengono dipinte giungendo ad occupare un vasto spazio della produzione pittorica con artisti della levatura di Gentile Bellini, Alvise Vivarini, Giovanni d'Alemagna, Paolo Veronese, Palma il Giovane.

L'organo si pone così in un tutt'uno armonico dal punto di vista visivo con gli altari del sacro edificio.

L'arte dell'intaglio anch'essa conosce la sua espressione nella realizzazione di complesse architetture lignee, principalmente modulate sulla pentafora caratterizzata dalle aperture strette, sormontata da una trabeazione spesso di foggia piuttosto elaborata.

Fu questo il modello estetico-costruttivo di riferimento degli organi e nella città e nell'intero stato veneto fino al Seicento inoltrato e il relatore cita con ampiezza moltissimi esempi. Purtroppo, evidenzia lo stesso, spesso le uniche parti sopravvissute di queste "macchine perfette", attenendoci alla definizione cara al citato Zarlino, sono le portelle dipinte, prima rettangolari poi spesso di forma centinata, in grado però ancora di dirci qualcosa sulle dimensioni degli strumenti cui erano applicate.

Nel prosieguo della articolata relazione Bisson viene a chiarire di come anche lo spazio sopraelevato destinato all'organo assuma varie declinazioni e caratteristiche, tale spazio, anche nella definizione linguistica, conoscerà in Venezia una spiccata varietà (es. "pergolo", "solaro", "barcho" ecc.).

Dette costruzioni (sia lapidee che lignee) potevano essere collocate o d'aggetto alla parete o "a ponte", anch'esse conobbero una fioritura decorativa e artistica di rilievo ed interesse.

Ma al di là dell'aspetto decorativo appare centrale e rilevante notare di come questa collocazione venga a rispondere alla esigenza che l'organo assolva il suo compito nella liturgia e quindi segua l'ubicazione del coro (è noto che a Venezia moltissimi erano i capitoli canonicali e le chiese officiate da religiosi aventi l'obbligo dell'ufficiatura corale).

Anche in questo caso Massimo Bisson si distingue per gli ampi riferimenti sia di chiese esistenti che di chiese andate distrutte nella temperie dei secoli.

In chiusa possiamo affermare che conferenze come questa permettono, attraverso l'approfondimento e lo studio di dettagli sovente bistrattati, di capire come la lode perenne a Dio veniva espressa in una tensione tale da far sì che quanto di più bello e perfetto sia recato in oblazione all'Onnipotente.

Francesco Tolloi

 

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Inserito il 13 dicembre 2010

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