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EPISTOLARI
Nelle lettere della Campo a María Zambrano un drammatico
confronto sul sacro nella modernità
Cristina a Babele
di Maurizio Cecchetti
Il clima nel quale si
gioca l'esperienza intellettuale di Cristina Campo è
quello del tempo "preconciliare". Il sodalizio
affettivo e spirituale con Elémire Zolla si cementa in
una volontà "tradizionalista" che dell'"ismo"
tralascia il fanatismo dell'impegno sociale o politico in
senso lato, ma trattiene il significato della radice
latina: l'essere ispirati, invasi da energia divina. In
effetti, la nostalgia - ché tale è, anche se riguarda
qualcosa che ancora c'è ma di cui si avverte la prossima
sparizione - per il canto gregoriano e la Messa in latino,
dice molto, se non tutto, riguardo quel clima
intellettuale di resistenza alla banalità moderna, all'ignoranza
che divampa mentre si perdono i nessi profondi della
simbolicità e della ritualità attraverso cui la vita si
disvela nei suoi significati nascosti.
Alcune lettere di
Cristina Campo dirette alla scrittrice e filosofa
spagnola María Zambrano, scritte fra il 1961 e il 1975,
ora pubblicate nel numero in uscita della rivista "Humanitas"
(a cura di Maria Pertile), sono attraversate da questa
passione per un tempo "ecclesiale" che sta
cambiando proprio nella forma: la scomparsa del
Gregoriano e l'avvento della Messa in italiano, sono agli
occhi della Campo una sorta di catabasi; una morte
annunciata. Maria Pertile dedica la maggior parte della
sua ampia premessa alle lettere che Zolla scrive alla
Zambrano. Scelta singolare, ma a suo modo giusta, perché
mette in luce, credo, il peso che ebbe Vittoria Guerrini
(questo il vero nome della Campo) sulla visione cristiana
di Elémire, che dopo la morte di lei (nel 1977) trasmuta
in un sincretismo il cui peso maggiore è giocato dalle
culture, mitologie e simbologie asiatiche.
Cristina ed Elémire
conobbero María Zambrano fra la fine degli anni
Cinquanta e i primissimi Sessanta. Forse, come nota la
curatrice, attraverso la comune amica Elena Croce. Ci fu
subito affinità fra loro tre, s'instaurò, annota Maria
Pertile, "una relazione a due che dialoga con un
terzo". Cristina ed Elémire scrivono sullo stesso
foglio rivolgendosi individualmente a María; spesso è
Zolla che racconta Vittoria alla Zambrano; e parla all'amica
spagnola per metterla a parte di scoperte spirituali e
simboliche che ha fatto attraverso Guénon, Titus
Burckhardt, Marius Schneider. Da quest'ultimo, per
esempio, prende e applica l'idea della "lettura
rovesciata" e nel 1965 scrive a María: "Pensavo
ieri: Maria dovette essere Maria in ebraico e non Mariam.
San Gerolamo interpreta mar jam, "stilla
maris" (stella maris lesse un copista o un
cabbalista). Ma piuttosto sarà stato mar jah,
stilla di Jah(veh), cioè di Jah (che nella
Kabbala è Dio, Jahvé in quanto diventa Figlio, in
quanto emanante)...". È l'idea che l'uomo per
giungere a Dio "deve fare l'inversa".
Cristina ed Elémire
hanno una devozione per la Vergine in quanto Mediatrice.
E non si capacitano che qualcuno metta in discussione
questo ruolo che vedono attivo nel piano della salvezza.
C'era anche nella Zambrano una apertura alla Vergine, in
uno dei suoi saggi definì l'Immacolata concezione l'immagine
stessa della filosofia.
Di fronte all'apertura
verso la società moderna rappresentata dal Concilio
Vaticano II, nel 1964 Zolla pronuncia la sua sentenza:
"Per l'eliminazione completa della Chiesa credo che
ci vorranno soltanto altri 5 anni" e pochi mesi dopo,
nel febbraio del 1965, rincara la dose: "Muore la
Messa, muore il Gregoriano... Ormai, come un ramo secco,
la Chiesa verrà bruciata". La polemica, che sembra
dettata da una forte passione per la forma del rito, si
accompagna a una decisa adesione all'ideale contemplativo
monastico, condiviso da Cristina come si avverte anche
nella lettera che anticipiamo qui sotto. In Zolla, questa
passione, si volge in accusa alla mentalità moderna di
aver svilito il senso della morte: "la stolta paura
della morte, e perciò del tempo, che si procura di
ingannare, ammazzare, invece di baciarlo e amarlo".
Per la Campo c'è qualcosa di più della perdita del
sentimento del male, il vero pericolo è la diffusa
negazione del peccato: che senso ha, si domanda,
festeggiare l'Immacolata concezione se poi "implicitamente
si nega, in mille modi, la maculazione di tutti gli altri?".
E più oltre mette in guardia da un mondo dove "tutto
è ormai conciliabile con la Croce", cioè da un
mondo dove la Croce non fa più scandalo e dove la
Gerusalemme futura è pensata come realizzazione
terrestre di ideali umani. Un'immagine che, secondo la
Campo, evoca la Torre di Babele. E conclude sferzando i
monaci di Cuernavaca (capitale di Morelos, in Messico),
che fabbricano croci in tutto simili alla vera Croce, e
in questo modo finiscono per dare della fede un'immagine
"comica". Insomma, un atto d'accusa estremo, ma
che fa riflettere di fronte alla progressiva
banalizzazione con cui oggi molti vivono il rapporto con
la forma viva del cristianesimo, quella della liturgia e
del simbolo.
da “Avvenire”, 2
agosto 2003.
LINK UTILI
"Abbiamo negato il peccato".
Lettera di Cristina Campo a María
Zambrano
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