86
VENERDÌ
DI
PASQUA
Otto giorni fa eravamo intorno alla croce su
cui spirava 1' "uomo dei dolori" (Is. 53, 3), abbandonato dal
Padre, ripudiato come un falso Messia dal giudizio solenne della
Sinagoga. Ed ecco che il sole si alza oggi per la sesta volta, da quando
si è fatto sentire il grido dell'Angelo che proclamava la Risurrezione dell'adorabile
vittima. La Sposa che, poco fa, con la fronte nella
polvere, tremava davanti a questa giustizia di un Dio, che si dimostra
nemico del peccato fino a "non risparmiare il proprio
figliuolo"
(Rom. 8, 32) perché questo Figlio divino ne portava la somiglianza, ha
rialzato improvvisamente la testa per contemplare il trionfo
subitaneo e radioso del suo Sposo che la invita, egli stesso, alla
gioia. Ma se in questa ottava c'è un giorno in cui essa deve esaltare il
trionfo di un tale vincitore, questo è sicuramente il venerdì, che aveva visto
spirare, "saziato d'oltraggio" (Tren. 3, 30) colui del quale adesso la
vittoria risuona nel mondo intero.
La Risurrezione fondamento della nostra
fede.
Fermiamoci, dunque, oggi a considerare la
Risurrezione del nostro Salvatore come l'apogeo della sua gloria
personale, come l'argomento principale sul quale riposa la nostra fede
nella sua divinità: "Se Cristo non è risorto" ci dice
l'Apostolo "vana è la nostra fede" (I Cor. 15, 17); ma perché è risuscitato
siamo sicuri di essa. Gesù doveva dunque elevare al più alto grado la
nostra certezza su questo punto e, guardate, se ha mancato di farlo!
Guardate se, invece, non
87
ha portato in noi la convinzione di questa
verità fondamentale fino alla più assoluta evidenza dei fatti! Per
questo, due cose erano necessarie: che la sua morte fosse la più reale, la
meglio constatabile, e che la testimonianza che garantisce la sua
Risurrezione, fosse la più irrefragabile alla nostra ragione. Il Figlio di Dio non ha
tralasciato nessuna di queste condizioni; le ha, anzi, adempiute
con divino scrupolo; perciò il ricordo del suo trionfo sulla
morte non potrà scancellarsi dalla mente degli uomini. E da qui deriva
che, ancora oggi, dopo diciannove secoli, noi sentiamo qualcosa di
quel brivido di terrore e di ammirazione, provato dai testimoni che
ebbero a constatare questo improvviso passaggio dalla morte alla
vita.
Realtà della morte di Cristo.
Certamente era divenuto preda della morte
colui che Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo staccarono dalla
croce, deponendone le membra irrigidite e sanguinolenti tra le
braccia della più desolata delle Madri.
La tremenda agonia della vigilia, mentre
lottava con la ripugnanza della sua umanità alla vista del calice che
era invitato a consumare; lo spezzarsi del cuore in seguito al
tradimento di uno dei suoi e dell'abbandono degli altri; gli oltraggi e
le violenze di cui fu vittima durante lunghe ore; la spaventosa
flagellazione che Pilato gli fece subire con l'intento di impietosire il
popolo assetato di sangue; la croce, con i suoi chiodi che avevano aperto i
quattro fori, dai quali il sangue sgorgava; le angoscie del cuore di
quell'agonizzante alla vista della Madre, lacrimosa ai suoi piedi; una
sete ardente che consumava rapidamente le ultime risorse della vita; e,
finalmente, la ferita della lancia che gli traversò il petto, andando a
raggiungere il cuore, facendone uscire le ultime gocce di sangue e di acqua
che vi erano racchiuse: tali furono i titoli che la morte usò per
rivendicare una sì nobile vittima. È per glorificarti, o
Cristo, che noi li rammentiamo oggi: perdona a coloro per i quali ti sei
degnato di morire, di non dimenticare alcuna delle circostanze di una morte così
preziosa. Non sono esse, oggi, le più solide basi del
monumento della tua Risurrezione?
Aveva dunque effettivamente conquistato la
morte, questo vincitore di nuova specie, che si era mostrato sulla
terra. E, soprattutto, un fatto restava legato alla sua storia: ed
è che la sua vita, svoltasi per intero in una contrada sconosciuta, era
finita con un trapasso
88
violento, in mezzo allo schiamazzo dei suoi
indegni concittadini. Pilato rimise a Tiberio gli atti del
giudizio e del supplizio del preteso Re dei Giudei; e, da quel momento,
l'ingiuria
fu pronta per i seguaci di Gesù. I filosofi, gli uomini di ingegno,
gli schiavi della carne e del mondo, se lo additeranno dicendo:
"Ecco
quella gente strana, che adora un Dio morto su una croce". Ma se
nondimeno questo Dio morto è risuscitato, che diviene la sua
morte, se non la base inamovibile sulla quale si appoggia l'evidenza della sua
divinità? Era morto ed egli è risuscitato; aveva annunziato che
sarebbe morto e che risusciterebbe; chi altro, all'infuori di un
Dio, può tenere fra le sue mani "le chiavi della morte e degl'Inferi"? (Apoc.
1, 17).
Realtà della Risurrezione di Cristo.
Ed ora è così. Gesù morto è uscito vivo
dalla tomba. Come lo sappiamo? Dalla testimonianza dei suoi
Apostoli che lo hanno visto, vivente, dopo la sua morte, essendosi da
loro lasciato toccare ed avendo conversato con essi, durante
quaranta giorni. Ma noi dobbiamo credere agli Apostoli? E chi
potrebbe dubitare di quella testimonianza, la più sincera che il mondo
abbia mai udita? Infatti quale interesse avrebbero avuto quegli
uomini a divulgare la gloria del Maestro, al quale si erano
dati, e che aveva promesso che, dopo la morte, sarebbe risuscitato,
se essi avessero saputo che, una volta perito con un supplizio
ignominioso per loro quanto per lui, non avesse adempiuto la sua promessa?
Che i Principi dei Giudei per diffamare la testimonianza di quegli
uomini, assoldino pure le guardie del sepolcro, per indurle a dire
che, mentre dormivano, i discepoli, che lo spavento aveva dispersi,
erano venuti durante la notte a togliere il corpo! Sì è in
diritto di risponder loro per mezzo di questo eloquente sarcasmo di
Sant'Agostino: "Così, dunque, i testimoni che voi producete sono
dei testimoni che dormivano! Ma non siete voi stessi che
dormite quando vi affaticate a cercare una tale disfatta"
[1].
Ma per quale motivo gli Apostoli avrebbero
predicato una risurrezione che sapevano non essere avvenuta?
"Ai loro
occhi - rimarca S. Giovanni Crisostomo - il
Maestro non dovrebbe più essere che un falso profeta ed un impostore;
e andranno a difendere la sua memoria contro una nazione tutta
intera? Essi si sottoporranno a tutti i maltrattamenti, per un uomo che li
avrebbe ingannati? Sa-
89
rebbe nella speranza delle promesse che
aveva loro fatto? Ma se sapessero che non ha adempiuto quella di
risuscitare, quale affidamento potrebbero avere per le altre?"
[2].
No; o bisogna negare la natura umana, o si
deve riconoscere che la testimonianza degli Apostoli è sincera.
Sincerità della testimonianza apostolica.
Aggiungiamo ora che questa testimonianza fu
la più disinteressata di tutte, poiché non portava altri vantaggi
ai testimoni, che i supplizi e la morte; che rivelava in quelli che la
sostenevano una assistenza divina, facendo vedere in loro, così timidi
fino alla vigilia, una fermezza che niente mai fece indebolire
ed una sicurezza umanamente inesplicabile in uomini del popolo:
sicurezza che li accompagnò sino al centro delle capitali più
civilizzate, dove fecero numerose conquiste. Diciamo ancora che la
loro testimonianza era confermata dai più meravigliosi prodigi, che
riunivano intorno a loro, nella fede della Risurrezione del
Maestro,
moltitudini di varie lingue e di varie nazioni; e che, infine, quando
essi sparirono dalla terra, dopo aver suggellato col sangue il
fatto di cui erano depositari, avevano sparso in tutte le regioni del
mondo, e anche al di là delle frontiere dell'Impero Romano, il seme della
loro dottrina che germogliò prontamente e produsse un raccolto di cui la
terra intera si vide presto ricoperta.
Tutto questo non ci porta alla più ferma
certezza sull'avvenimento sorprendente di cui questi uomini erano i
messaggeri? Rifiutarli, non sarebbe ricusare, nel medesimo tempo, le
leggi della ragione? O Cristo! La tua Risurrezione è certa quanto
la tua morte, e soltanto la verità ha potuto far parlare i
tuoi Apostoli, come essa sola può spiegare il successo della loro
predicazione.
Continuità di questa testimonianza.
La testimonianza degli Apostoli è finita; ma
un'altra non meno imponente, quella della Chiesa, è venuta a
continuare la prima e proclama con autorità non minore, che Gesù
non è più tra i morti. La Chiesa, che attesta la Risurrezione di
Gesù, è la voce di quelle centinaia di milioni di uomini che, ogni
anno, da diciannove secoli,
90
hanno festeggiato la Pasqua. Di fronte a
questi miliardi di testimonianze di fede, ci può essere più posto per un
dubbio? Chi non si sente schiacciato sotto il peso di tale
proclamazione, mai mancata, neppure per un anno, dopo che la parola
degli Apostoli la fece per la prima volta? Ed e giusto distinguere in
questa proclamazione la voce di tante migliaia di uomini, dotti e
profondi, che hanno voluto sondare tutta la verità, dando l'adesione alla fede,
solamente dopo avere tutto pesato nell'intelligenza; di tanti
milioni di altri che non hanno accettato il giogo di una fede così poco
favorevole alle passioni umane, che quando si sono persuasi, chiaramente,
non esservi nessuna sicurezza dopo questa vita, all'infuori dei doveri che
essa impone; e, finalmente, di tanti altri milioni che hanno
sostenuto e protetto la società umana per mezzo della loro virtù e
che sono stati la gloria della nostra stirpe, unicamente perché hanno
fatto professione di fede verso un Dio morto e risuscitato per
gli uomini.
Così si aggancia, in maniera sublime,
l'incessante testimonianza della Chiesa, ossia della porzione più
illuminata e più morale dell'umanità, a quella dei primi testimoni che Cristo
stesso degnò di scegliersi, di modo che queste due testimonianze non ne
fanno che una sola. Gli Apostoli attestarono ciò che
avevano visto: noi attestiamo, e attesteremo fino all'ultima delle
generazioni, ciò che gli Apostoli hanno predicato. Essi si assicurarono
direttamente dell'avvenimento che dovevano annunziare: noi ci assicuriamo
della veracità della loro parola. Dopo averne avuta cognizione,
credettero; e noi lo stesso. Essi sono stati tanto fortunati da vedere
fin da questo mondo il Verbo di vita eterna, da ascoltarlo, da
toccarlo con le loro mani (I Gv. 1); noi vediamo ed ascoltiamo la
Chiesa che avevano stabilito in tutti i luoghi, ma che, quando essi
lasciarono la terra, usciva appena dalla sua culla. La Chiesa è il
complemento del Cristo: egli aveva annunziato agli Apostoli come essa si
sarebbe sparsa per tutto il mondo, anche se nata dal debole grano di
senapa.
A questo proposito Sant'Agostino, in una
delle sue prediche sulla Pasqua, ci dice queste ammirabili parole:
"Noi non vediamo ancora Cristo; ma noi vediamo la Chiesa; crediamo
dunque a Cristo. Gli Apostoli, invece, videro Cristo, ma essi
non vedevano la Chiesa che per mezzo della fede. Una delle due cose
era loro mostrata, e l'altra era oggetto della loro fede; è lo stesso per
noi. Crediamo a Cristo che noi non vediamo ancora; e, tenendoci
attaccati alla Chiesa che noi vediamo, arriveremo a colui la cui vista
non ci è che differita"
[3].
91
Avendo dunque, o Cristo, per mezzo di una
così magnifica testimonianza, la certezza della tua
gloriosa Risurrezione, come abbiamo quella della tua morte sul legno della
croce, noi confessiamo che tu sei Dio, l'Autore ed il supremo
Signore di tutte le cose. La morte ti ha umiliato e la Risurrezione ti ha
esaltato; tu stesso fosti l'autore della tua umiliazione e della tua
elevazione. Tu hai detto davanti ai tuoi nemici: "Nessuno mi può
togliere la vita, ma da me stesso io la dò: è in mio potere il darla e
in mio potere il riprenderla di nuovo" (Gv. 10, 18). Solo un Dio poteva
realizzare questa parola; tu l'hai compiuta in tutta la sua
estensione; confessando la tua Risurrezione, confessiamo dunque la tua
Divinità; rendi degno di te l'umile e beato omaggio della nostra
fede.
La Stazione.
La Stazione, a Roma, si tiene nella Chiesa
di Santa Maria ad Martyres. Questa Chiesa è l'antico Pantheon
di Agrippa, dedicato un tempo agli dèi pagani e concesso
dall'Imperatore Foca al Papa San Bonifacio IV, che lo consacrò alla Madre
di Dio ed a tutti i Martiri. Ignoriamo in quale santuario di
Roma si tenesse prima la Stazione di oggi. Quando fu fissata in questa
Chiesa, nel VII secolo, i neofiti, riuniti in un tempio dedicato a
Maria per la seconda volta durante l'Ottava, dovevano sentire quanto la
Chiesa aveva a cuore di nutrire nelle anime loro la confidenza
filiale in colei che era divenuta la loro Madre e che è incaricata di condurre
al suo Figliolo tutti quelli che egli, con la sua grazia, chiama a
divenirgli fratelli.
MESSA
EPISTOLA (I Piet. 3, 18-21). - Carissimi:
Cristo una volta è morto per i nostri peccati, il giusto per gli
ingiusti, per ricondurci a Dio. È stato messo a morte secondo la carne, ma reso alla vita
per lo spirito. Per esso andò a predicare anche agli spiriti che erano in
carcere ed un tempo erano stati increduli, quando, ai giorni di Noè, la
pazienza di Dio stava aspettando che fosse fabbricata l'arca,
ove pochi, cioè
otto anime, si salvarono sopra l'acqua. Alla qual figura corrisponde ora il
Battesimo che vi salva: non lavanda delle sozzure, ma contratto di buona
coscienza fatto con Dio, per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo
nostro Signore, che siede alla destra di Dio.
92
Il diluvio e il Battesimo.
Nell'Epistola di oggi noi ascoltiamo ancora
l'Apostolo san Pietro. I suoi insegnamenti sono di grande
importanza per i nostri neofiti. Prima di tutto l'Apostolo ricorda
la visita che fece teste l'anima del Redentore a coloro che erano
prigionieri nelle regioni inferiori della terra. Tra loro incontrò
parecchi di quelli che anticamente furono vittime delle acque del diluvio e che
avevano trovato la loro salvezza sotto le onde vendicative,
perché quegli uomini, prima increduli alle minacce di Noè, ma poi
sopraffatti dall'imminenza del flagello, si pentirono delle loro colpe
e ne chiesero sinceramente perdono. Da essi l'Apostolo solleva il
pensiero degli ascoltatori verso i felici abitanti dell'Arca che rappresentano i nostri neofiti; li abbiamo visti traversare
l'acqua, non per perire, ma per diventare simili ai discendenti di Noè,
i Padri di una nuova generazione di figli di Dio. Il Battesimo
non è dunque, aggiunge l'Apostolo, un bagno comune: ma la
purificazione delle anime, alla condizione che queste siano state sincere
nell'impegno solenne che hanno preso, sul bordo della sacra Fonte, di
rimaner fedeli a Cristo che li salva, e di rinunciare a Satana ed a
tutto ciò che viene da lui. L'Apostolo finisce mostrandoci il
mistero della Risurrezione di Gesù Cristo, quale sorgente della grazia
del Battesimo. Ed è per questa ragione che la Chiesa
l'amministra solennemente durante la celebrazione della Pasqua.
VANGELO (Mt. 28. 16-20). - In quel tempo gli
undici discepoli andarono in Galilea al monte designato loro da Gesù.
E vedutolo, lo adorarono: alcuni però dubitarono. E Gesù accostatosi
disse loro: Mi è stato dato ogni potere, in cielo ed in terra. Andate dunque
e fate che diventino miei discepoli tutti quanti i popoli, battezzandoli nel
nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad
osservare tutte le cose che vi ho comandate. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni sino
alla fine del mondo.
Gesù vive nella Chiesa.
In questo tratto di Vangelo, san Matteo,
l'Evangelista che ha raccontato in modo più breve la Risurrezione
del Salvatore, riassume con poche parole le relazioni di Gesù
Risorto con i suoi discepoli in Galilea. Fu là che si degnò di farsi
vedere, non solamente agli apostoli, ma anche a molte altre
persone. L'Evangelista ci mo-
93
stra il Salvatore mentre dà agli apostoli la
missione di andare a predicare la sua dottrina in tutto il mondo e siccome
egli non dovrà più morire, s'impegna a restare con essi
finché durerà il tempo. Ma gli apostoli non vivranno sino all'ultimo
giorno del mondo: come adunque si adempirà questa promessa? È
perché l'opera degli apostoli, come l'abbiamo detto poco fa,
continuerà attraverso la Chiesa: la testimonianza loro e quella della
Chiesa si fondono l'una con l'altra in maniera indissolubile; e Gesù
Cristo veglia affinché questa unica testimonianza sia altrettanto
fedele che incessante. Oggi stesso abbiamo sotto gli occhi un
monumento della sua forza invincibile. Pietro, Paolo, hanno predicato
a Roma la Risurrezione del Maestro, gettandovi le fondamenta del
Cristianesimo: cinque secoli dopo la Chiesa, che non ha mai
cessato di continuare la loro conquista, riceveva in omaggio dalle mani di
un imperatore quel tempio vuoto e spoglio di tutte le false
divinità, e il successore di Pietro lo dedicava a Maria, Madre di Dio, ed
a tutta la legione di testimoni della Risurrezione che si chiamano
i Martiri. Nel recinto di questo vasto tempio si riunisce oggi la
folla dei fedeli. In presenza di un edificio che ha visto spegnersi, per
difetto di alimento, il fuoco dei sacrifici pagani, e che, dopo tre
secoli di abbandono, quasi per espiare il suo empio passato, purificato
ora dalla Chiesa, riceve tra le sue mura il popolo cristiano, come, i
neofiti, non esclamerebbero: "È veramente risuscitato Cristo che, dopo
esser morto sulla croce, trionfa così sui Cesari e sugli Dei
dell'Olimpo"?
__________________________
[1]
Enarr. sul Salmo LXIII.
[2]
Comm. su San Matteo, Omelia LXXXIX.
[3]
Discorso 237.mo.
da: P. GUÉRANGER, L'anno liturgico.
- II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI,
P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 86-93.