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CAPITOLO VI
La
messa papale nelle Stazioni Romane.
A
incominciare dall'ottavo secolo, i rituali e le spiegazioni dei riti della
messa divengono meno rari, ma nessun documento supera in importanza la
collezione degli Ordines Romani, per mezzo dei quali possiamo seguire
tutto lo svolgimento della liturgia papale in Roma durante il medio evo. Non
è cosi facile di determinare sempre esattamente la
data cronologica di questi cerimoniali, che spesso sono delle semplici
compilazioni mnemoniche, eseguite in epoche diverse su documenti più antichi.
Infatti, non v'ha nulla di più impersonale della liturgia, ed è per questo
che non è sempre facile di distinguere cronologicamente le successive
stratificazioni di questi documenti [1]. L'Ordo Romanus
I al quale per ora ci riferiamo, venne
definitivamente redatto nel
secolo VIII, ma gli elementi più antichi che contiene riflettono bene le
condizioni della liturgia papale dopo la riforma di san Gregorio; è quello il
periodo delle grandi processioni stazionali, che vennero appunto richiamate
in uso dal celebre Pontefice, dopo che un secolo d'ansie, di guerre e
d'assedi le aveva fatte quasi andare in disuso[2].
Quando
la messa non era preceduta da una processione, il Papa si recava direttamente
alla Chiesa prescelta per la statio, e nel secretarium, aiutato
dalle prime dignità del palazzo apostolico, indossava i sacri paramenti,
frattanto che i vescovi, il clero e i monaci prendevano i loro posti nel
tempio. Quando tutto era all'ordine, un suddiacono regionario si affacciava
alla porta della sacrestia, chiamando: Schola; e compariva allora innanzi al Pontefice
il parafonista, annunziando i nomi dei solisti per
l'epistola e il graduale. Aggiunge l'Ordo, che dopo ciò, non era più lecito di
mutare i cantori, sotto pena di non essere ammesso alla sacra Comunione per
quel giorno.
Il
corteo papale nei suoi variopinti ammanti di penule, di mappule
e di candide tuniche, si disponeva finalmente a fare il suo ingresso
trionfale nella basilica. A un cenno del Pontefice, un Suddiacono
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avvisava il parafonista
d'intonare l'antifona dell'introito i questi s'inchinava verso il priore
della "Schola": domne iubete, e i cantori disposti sui due lati
innanzi all'altare, eseguivano le melodie dell'Antifonario Gregoriano. I
sette diaconi entravano allora nel secretarium ad
accompagnare il Papa, il quale, appoggiandosi ai principali dignitari della
corte lateranense, entrava processionalmente nell'aula. Però, innanzi di
salire il presbiterio, il corteo si fermava alquanto, onde permettere al
Pontefice d'adorare dentro un cofanetto una particella della sacra
Eucaristia, riservata a tal fine da una messa precedente all'uopo di
conservarla sull'altare durante la ceremonia,
siccome simbolo della perennità del sacrificio, che dal Golgota
si perpetua nella Chiesa sino al giorno della parusia finale [3], donec veniat.
Traversando
il recinto marmoreo riservato ai cantori, il Papa saliva finalmente al tribunal,
ove sorgeva la cattedra episcopale di fronte all'altare. Quivi egli scambiava
subito l'amplesso di pace col vescovo ebdomadario, coll'arciprete e coi suoi
diaconi, e mentre ad un suo cenno il priore della "Schola" già
conchiudeva il salmo d'Introito per mezzo della dossologia, egli faceva una
breve orazione innanzi all'altare, cui poi terminava col bacio della sacra
mensa e del codice dei Vangeli. La basilica echeggiava già delle flebili
melodie del Kyrie che
si ripetevano incessantemente, e a cui poteva prender parte anche il popolo;
quando tutto era pronto, il Pontefice intonava il Gloria, che veniva
proseguito dai vescovi e dai preti, divenendo così un vero carme sacerdotale,
da un semplice inno mattutino, che era stato sin da principio.
Dopo
l'Oratio seguita dalla prima lezione dell'antico
Testamento recitata dal suddiacono, saliva l'ambone un solista cum cantatorio,
e modulava il responsorio graduale; dopo la seconda lezione del Testamento
nuovo, generalmente le lettere Paoline, a seconda dei tempi, succedeva il
tratto o il verso alleluiatico; compariva da ultimo sull'ambone il diacono
col Vangelo, e ne leggeva un breve tratto, cui poscia il Pontefice soleva
commentare e spiegare al popolo, con parole facili e con concetti famigliari.
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Altra
volta a questo punto si licenziavano i catecumeni e quelli che, in pena dei
loro delitti, erano stati esclusi dalla Comunione della Chiesa. Le liturgie
orientali ed ambrosiana ancora ne conservano le formole, ma il rito, al pari
della grande litania che a questo punto dava principio alla missa fidelium propriamente detta, sono scomparsi già da
gran tempo dalla liturgia romana. Nella prima metà del VI secolo, in una
chiesa nelle vicinanze di Monte Cassino, il diacono, giusta quanto narra san
Gregorio [4], pronunciava ancora la forma d'esclusione
degli scomunicati, ma le fonti romane posteriori sono affatto mute a tal
riguardo.
Frattanto
che i sacri ministri distendevano la sindone sull'altare, il Papa
accompagnato dai primiceri dei notai e dai defensores, si avvicinava al recinto riservato
all'alta nobiltà, onde ricevere personalmente le loro offerte pel santo
Sacrificio. Lo seguiva l'arcidiacono, che vuotava man mano le amule di vino presentategli dai fedeli in un
largo calice ansato, sostenuto da un suddiacono. Dopo gli uomini, veniva la
volta delle donne; onde il Papa si portava al matroneo a ricevervi le offerte
delle signore, soffermandosi ai piedi della scalea che conduceva alla
tribuna, onde accogliere anche quelle degli alti ufficiali della corte
lateranense. I vescovi e i preti frattanto ricevevano quelle del popolo dalla pergula, che chiudeva il luogo
sacro riservato al presbiterio. Così il sacrificio che stava per essere
offerto alla Divinità, aveva veramente un carattere collettivo e sociale,
siccome si esprime tanto bene una delle più antiche preghiere del Sacramentario
Gregoriano: Ut quod singuli
obtulerunt ad honorem nominis
tui, cunctis proficiat ad salutem, in
quanto che tutti vi avevano concorso, apprestandone gli elementi materiali,
il pane e il vino. Il Papa stesso non era dispensato dal concorrere anch'egli
per la sua parte, onde offrire col popolo il suo sacrificio; ed era perciò
assai delicato il privilegio concesso a tale riguardo all'orfanotrofio dei
Cantori lateranensi, che, a cagione della loro povertà, solevano offrire la
sola ampolla d'acqua, che l'arcidiacono riversava nel calice in forma di
croce.
In
origine, appunto qui aveva luogo la lettura dei dittici coll'oratio super nomina,
conservataci nella liturgia gallicana e nell'attuale Secreta dell'orazione A cunctis del messale romano; ma a
Roma nel 410 essa era già stata trasportata poco prima della consacrazione. Disposti pertanto sull'altare i vari
calici e le oblate – a forma di ciambelle - di pane azzimo per la Comunione,
mentre la "schola" ripeteva gli ultimi
neumi dell'antifona ad offertorium,
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il Papa saliva all'altare per dar
principio all' "Actio" eucaristica,
propriamente detta. Quanto sinora ha preceduto, non apparteneva punto al
sacrificio, onde anche adesso il coro attende seduto che il sacerdote inizi
il praefatio. I vescovi ed i preti si dispongono
in doppia fila dietro il Papa; i suddiaconi vanno a prender posto presso i
cancelli che separano la tribuna del clero dal popolo, e tutti rimangono ai
loro posti immobili ed inchinati fino al termine del Canone. Poco prima però
del Pater,
l'arcidiacono si accostava al Pontefice, e quando questi, sollevando in alto
a vista del popolo la sacra Ostia, recitava la dossologia finale per Ipsum,
anch'egli elevava in alto uno dei calici eucaristici che stavano sull'altare.
Era la solenne ostensione dei sacri Misteri, comune a quasi tutte le liturgie
di cui l'attuale elevazione medievale non è che uno sdoppiamento.
Le
particelle eucaristiche che a questo punto dell' azione
sacra sono distaccate dalla santa Ostia consacrata dal Pontefice, vengono
consegnate agli accoliti, perché le rechino ai preti titolari nelle loro
parrocchie, affinché nella loro messa, precisamente al termine del Canone, le
depongano nel sacro Calice, ad indicare l'identità del Sacrificio e del
Sacramento che nutre e santifica così il pastore che l'intero gregge.
L'ultimo
saluto del Papa al popolo prima di compiere la fractio dei
sacri Misteri che simboleggia la morte violenta della vittima divina, è un
augurio di pace: Pax Domini sit semper
vobiscum; e la
pace invocata dal pastore viene tosto scambiata tra il clero, i nobili e il
popolo, mediante l'amplesso apostolico, l' "osculum
sanctum"; l'arcidiacono lo riceve dal
Pontefice e lo ricambia col primo dei vescovi; gli uomini e le donne
s'abbracciano separatamente, mentre il medesimo fanno i nobili e le matrone
nel "senatorium" e nel "matroneum". La "Consecratio"
e il sacrificio sono già compiuti al termine del Canone; tanto che nel rito
gallicano i vescovi a questo punto solevano benedire il popolo, onde dar
licenza a quanti non intendessero di comunicarsi. A Roma il Papa lasciava
l'altare per far ritorno alla cattedra, donde impartiva le sue istruzioni al
"nomenclator", al sacellario e al notaio
del vicedomino, per gl'inviti a desinare, così alla propria mensa che
all'altra, imbandita in suo nome, nelle sale del vicedomino. Questi inviti
erano tosto comunicati lì stesso in chiesa, tanto intimamente il ricordo
dell'agape era ancora connesso col banchetto eucaristico.
Frattanto,
i vescovi, i preti e i diaconi che fanno corona al trono papale, procedono
solennemente alla fractio panis, spezzano cioè il pane eucaristico, che
vien loro presentato dagli accoliti entro sacchetti di lino, deponendone i
morselli sulle patene; alle melodie della
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"schola" che intona il canto tanto espressivo dell'Agnus Dei, sin dai tempi di papa Sergio I (687-701)
usò far eco anche il popolo, conferendo così una solenne maestà a questa
simbolica "fractio" che, dopo la
consacrazione e l'epiclesi, è il momento più caratteristico dell'azione
eucaristica.
Spetta al
secondo dei sette diaconi di presentare al Papa la sacra particola per la
Comunione; questi però nell'assumerla ne distaccava prima un frammento, che
l'arcidiacono riponeva nel calice ansato, donde poi il Pontefice sorbiva il
prezioso Sangue del Signore.
Deposto
nuovamente il calice sull'altare, l'arcidiacono annunziava ai fedeli il luogo
e il giorno della futura stazione; e perché al numero grande dei devoti che
s'accostavano alla Comunione non sarebbe stato sufficiente un unico calice,
così, a esprimere anche materialmente l'identità del sacrificio di cui tutti
partecipavano, dal calice papale soleva riversarsi nel grande scifo del
popolo alcune stille del vino eucaristico. I vescovi e i preti ricevevano la
loro particella del pane consacrato di mano del Papa; quindi s'accostavano
per comunicarsi al calice pontificio presentato loro dall'arcidiacono, e
quanto ancora sopravanzava dopo la loro Comunione, veniva parimente infuso
nello scifo del popolo. Perché poi i fedeli con più riverenza e minore
difficoltà partecipassero alla Comunione sotto ambedue le specie, senza alcun
pericolo d'effusione, un suddiacono regionario adattava al calice una fistola
di metallo prezioso, anche oggi in uso nella messa papale.
Terminata
la Comunione dell'alto clero, frattanto che i cantori eseguivano l'antifona e
il salmo della Comunione, il Papa, i vescovi e i preti distribuivano i santi
Misteri ai nobili e al popolo. I diaconi sostenendo i calici ansati
assistevano il Papa e i vescovi; tra i preti, alcuni distribuivano le sacre particole,
altri sostenevano lo scifo.
Appena
comunicati i nobili e le matrone, mentre gli altri erano ancora occupati a
distribuire il santo Sacramento al popolo, il Pontefice ritornava alla
cattedra per comunicare i regionari e, nei dì festivi, anche dodici fanciulli
tra i prescelti nella Scuola dei Cantori. Perciò i suddiaconi, già comunicati
antecedentemente, venivano in aiuto della "schola"
così che l'una e gli altri cantavano alternativamente l'antifona e i versi
del salmo di Comunione, finché non fosse terminata la distribuzione dei sacri
Misteri. Solo allora a nome di tutti il Papa innanzi l'altare recitava la
colletta ad complendum, in ringraziamento dei sacri doni
ricevuti; un diacono cantava la formola del congedo: ite, missa est, e risposto dal popolo Deo gratias,
il corteo pontificio si disponeva finalmente a rientrare nel "secretarium". Precedevano sette accoliti coi
candelabri accesi; un
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suddiacono agitava lievemente il turibolo
fumigante; indi veniva il Papa, seguivano i vescovi, i preti, i monaci, la
"schola", i gonfalonieri e gli altri
grandi ufficiali del Patriarchio. Durante la sfilata, tutti s'inchinavano al
passaggio del Pontefice: Iube, domne, benedicere,
dicevano, cui il Papa rispondeva: Benedicat nos Dominus [5].
__________________________
[1] Cf. P. L., LXXVIII,
937 seg.
[2] Cf. H.
GRISAR, La più antica descrizione della Messa pontificia solenne,
"Civiltà Cattol." 20 magg. 1905, p. 463
seg.
[3] "Salutat Sancta". Il rito è parallelo a quello descritto
da san Germano di Parigi nella sua "Expositio Missae", P. L., LXXII, 92, 3, e da Gregorio di Tours nel
"De Gloria Martyr.", c. lxxxv. Esso era
comune anche alla liturgia greca e infatti l'adorazione prestata dai fedeli
al passaggio del sacerdote coi "santi Doni" durante il grande
introito, qualunque spiegazione oggi le si voglia dare dagli Orientali,
sembra derivata appunto dal rito di recare in processione come i Latini la
santa Eucaristia. Anche san Germano ricorda questa adorazione:
"incurvati adorarent".
[4] Dialog., lib. II, 23.
[5] Ordo Romanus I, P. L., LXXVIII,
937 seg.
da A. I. SCHUSTER, Liber
Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul
Messale Romano - I. Carmi
di Sion lungo le acque della Redenzione (Nozioni generali di Sacra Liturgia),
III ed., Torino-Roma, Marietti, 1932, pp.
63-68.