Le grandi cerimonie della settimana pasquale,
come gli antichi chiamavano questo solenne settenario che stiamo per iniziare, nel medio evo si compivano di regola presso
la residenza pontificia nel classico palazzo dei Laterani.
Perciò anche la processione degli olivi e l'odierna messa stazionale si
celebrano oggi nella veneranda basilica del Salvatore, trofeo permanente
delle vittorie del Pontificato Romano sull'idolatria, sulle eresie e su tutte
le porte infernali che da oltre diciannove secoli congiurano a danno della
Chiesa e sempre sono respinte e vinte. Non praevalebunt
adversus eam, ha
detto Gesù, e passerà il cielo e la terra prima che venga meno una sillaba
del labbro del Salvatore.
Nel tardo medio evo talora l'odierna
stazione, a volontà del Papa, si celebrava in Vaticano, ed allora la
benedizione delle palme aveva luogo nella chiesa di Santa Maria in Turri,
che sorgeva nell'atrio della basilica.
La benedizione delle palme ci conserva
l'antico tipo delle sinassi liturgiche, di quelle adunanze cioè, come la
recita del divin ufficio, l'istruzione dei fedeli
ecc., in cui non seguiva l'offerta del divin
Sacrificio. Questo tipo di sinassi deriva dall'uso giudaico nelle sinagoghe
della diaspora, ed entrò nel rituale cristiano sin dall'evo apostolico.
La processione coi rami d'olivo deriva
dall'uso gerosolimitano, quale ci descrive la pellegrina Eteria verso la fine
del IV secolo. Da principio in occidente si tenevano i ramoscelli in mano
durante la lettura del Vangelo; nelle Gallie
cominciò a darsi una speciale benedizione, non già ai rami, ma a chi prestava
tale atto d'ossequio alla parola evangelica. Si aggiunse la processione prima
della messa, che venne a conferire una pompa ed un'importanza speciale ai
ramoscelli, i quali finirono per essere alla loro volta santificati dalla
benedizione sacerdotale.
_____________
179
BENEDIZIONE DELLE PALME
Colletta
a San Silvestro in Laterano.
Giusta gli Ordini Romani del secolo XIV, le
palme venivano prima benedette dal cardinale di San Lorenzo, e quindi per
ministero dei chierici erano trasportate nell'interno del Patriarchio
nell'oratorio di San Silvestro, dove gli accoliti della basilica Vaticana
avevano l'ufficio di farne la distribuzione al popolo. Quella al clero veniva
invece compiuta personalmente dal Pontefice nell'aula
tricliniare di Leone IV, donde appunto muoveva oggi la processione alla volta
della chiesa stazionale del Salvatore.
Giunto il Papa sotto il portico, s'assideva
in trono, e mentre le porte dell'aula sacra rimanevano ancor chiuse, il
primicerio dei cantori e il priore basilicario a
capo del loro personale di servizio intonavano l'inno Gloria, laus etc., prescritto ancor oggi nel Messale. Allora
finalmente si aprivano le porte ed il corteo faceva la sua entrata trionfale
nella basilica Salvatoriana, affine di dar principio colla messa al grandioso
dramma dell'umana redenzione. Il Papa assumeva le sacre vesti nel secretarium, ma ad indicare la funebre mestizia
che pervade tutta la liturgia di questa settimana, i basilicari
quest'oggi tralasciavano di distendere sul suo capo la tradizionale mappula o baldacchino, che era uno dei
contrassegni di rispetto e di venerazione presso gli antichi.
_____________
La colletta per la benedizione delle palme
comincia coll'introito: "Salve, o figlio di David; benedetto Colui che
viene nel nome di Iahvè; o Re d'Israele, salve,
evviva". Ecco il saluto messianico che il Cristo oggi acclamato dai
gentili, dai fanciulli, dal basso popolo e dai semplici, s'attese invano
dalla Sinagoga. La conseguenza si è, che Gesù ripudia l'ostinato Sanhedrin, e si rivolge invece alle nazioni dei gentili,
le quali lo accolgono come il loro Dio e Redentore. La misericordia del
Signore però è infinita, ed anche Israele può sperare salvezza, a condizione
tuttavia che muova anch'esso incontro al Cristo cantando col Salmista e coi
fanciulli del giorno delle palme: Benedetto Colui che viene nel nome di Iahvè.
Dobbiamo professare ima grande devozione
per quest'atto di fede messianica, tanto desiderato da Gesù Cristo. La Chiesa
lo rinnova nel momento più solenne del sacrificio, quando cioè Gesù
all'invito del Sacerdote sta per discendere in stato di vittima sui nostri
altari.
180
Segue la colletta di benedizione
sull'adunanza: "O Dio, cui è giusto amare sopra ogni cosa, moltiplica su
di noi i doni della tua grazia, e mentre pei meriti della morte del Figlio
tuo ci fai sperare quell'eternità gloriosa che forma appunto l'oggetto della
nostra fede, in grazia della sua risurrezione ci concedi di giungere là dove
tendiamo". La forma è veramente solenne, ed il concetto è chiaro e
preciso: la morte di Gesù è la causa meritoria di nostra salvezza, ma la sua
risurrezione ne è la causa esemplare; perché Gesù glorioso trasfonde nel
corpo e nelle sue mistiche membra quella santità e quella beatitudine che
inonda il Capo nel giorno del suo solenne trionfo sulla morte e sul peccato.
Il brano dell'Esodo (XV, 27, XVI, 1-7) col
racconto della rivolta degli Israeliti contro Mosè, veramente non ha troppo a
vedere col mistero dell'odierna domenica; i liturgisti gallicani del medio
evo lo prescelsero tuttavia in grazia delle fonti d'acqua e dei settanta
palmizi all'ombra dei quali s'attendò il popolo del Signore.
Gl'Israeliti tratti via dalla servitù
d'Egitto in modo così prodigioso, mormorano tuttavia contro il Signore e
rimpiangono gli agli e le carni d'Egitto. Essi preludevano a quello che i
figli loro erano per fare contro il vero Mosè, il vero liberatore dalla
schiavitù dell'inferno, che sarebbe stato maledetto ed ucciso nel momento
stesso in cui, a redimerli, stava dando per loro la vita.
I due responsori di ricambio che seguono,
non sono in alcuna relazione colla cerimonia della benedizione delle palme, e
sono stati assegnati qui tanto per riempire le lacune e dividere le due
lezioni scritturali. Come si vede, tutto l'ordinamento dell'odierna funzione,
non ostante la sua parvenza arcaica, è un po' fittizio; trattasi d'elementi
d'origine e d'ispirazione disparatissimi, i quali vennero fusi insieme alla
meglio senza una vera unità di concetto.
Il primo responsorio è derivato da Giovanni
(XI, 47-53) e canta del convegno tenuto in casa di Caifa
nel quale, all'osservazione che Gesù si traeva dietro le turbe ed esponeva il
Sinedrio al pericolo che presto o tardi i Romani, gelosissimi, avrebbero
soffocato quei moti d'insurrezione nazionale, Caifa
dichiarò esser meglio mandare a morte uno, cioè Gesù, per salvare tutti. Lo
Scrittore Sacro insiste nel far rilevare che le parole dello scaltro
pontefice hanno una portata assai superiore alle sue intenzioni, e che in forza
del suo ufficio gli furono poste sul labbro dallo Spirito Santo.
Il secondo responsorio serve solo di
ricambio, ed è stato preso ad imprestito dal I Notturno del giovedì santo.
Esso deriva dal Vangelo di san Matteo (XXVI, 39, 41) e descrive Gesù che nella
sua
181
agonia nell'orto degli olivi supplica il Padre, si
conforma alla sua santa volontà ed esorta gli addormentati discepoli, perché
nell'orazione cerchino lo scampo contro la tentazione e la prova che sta
ormai per incominciare. Non basta che le disposizioni abituali della volontà
siano rette; la natura mortale è fragile e senza l'aiuto della grazia vien
meno per il bene. Bisogna quindi pregare e non stancarsi mai d'implorare
questo soccorso tanto necessario. I Santi, e specialmente sant'Alfonso, riassumevano
così l'insegnamento cristiano circa la necessità della preghiera: Chi prega,
si salva, e chi non prega, si danna.
L'odierna lettura di san Matteo col
racconto dell'ingresso solenne di Gesù nella Santa Città (XXI, 1-9) ci è attestato
nella liturgia di Gerusalemme sin dalla seconda metà del IV secolo. Giusta la
profezia di Zaccaria, il Redentore entra nella Città Santa seduto
sull'asinello, a simboleggiare il carattere tutto mite e benigno di questa
sua prima apparizione messianica. Egli non vuole spaventare colle folgori, ma
brama d'attirare tutti al suo Cuore colla dolcezza delle sue attrattive.
L'asina poi e l'asinello, che, giusta il santo Vangelo, trovavansi
legati alle mura del castello vicino al monte degli olivi, donde furono
sciolti dagli Apostoli e menati a Gesù, rappresentano il popolo gentile,
esiliato dalla patria d'Abramo, diseredato dall'eredità d'Israele, abbrutito
sotto le ritorte dell'idolatria. Agli Apostoli è confidata la missione di
proscioglierlo dai suoi errori e di ricondurlo al Salvatore.
La colletta seguente, giusta l'uso della
liturgia romana, quando trattasi di preghiere di speciale importanza, serve
come di preludio all'anafora consecratoria dei
sacri rami. Essa quindi è parallela alla Secreta prima del prefazio
della messa:
Preghiera. - "Accresci, o Dio, la fede di coloro che in te
sperano, e clemente esaudisci le preghiere dei supplicanti. La tua
misericordia discenda copiosa sopra di noi; e siano altresì benedetti questi
germogli di palma e d'olivo; e come a prefigurar la Chiesa, tu concedesti
numerosa progenie a Noè uscito dall'arca e a Mosè uscito dall'Egitto insieme
coi figli d'Israele, cosi anche noi, recando in mano palme e rami d'olivo,
per mezzo d'una santa vita possiamo andare incontro al Cristo, e per i suoi
meriti meritiamo d'entrare nell'eterno gaudio. Egli che Dio teco e nell'unità
dello Spirito Santo, vive e regna per tutti i secoli. R). Così
è".
Questa preghiera, di gusto tanto squisito e
d'una pietà sì profonda, spiega assai bene il simbolismo della processione
che sta per
182
eseguirsi, assegna la cagione per cui si è letta la pericope
dell'Esodo col racconto dei settanta palmizi. La palma si dà al vincitore, e
colui che esce incolume dall'Egitto può ben meritare la gloria del trionfo.
Sac. V).
"Il Signore sia con voi".
R). "E col tuo
spirito".
Sac. V).
"In alto i cuori".
R). "Sono già intenti al
Signore".
Sac. V).
"Rendiamo grazie al Signore nostro Dio".
R). "È conveniente e
giusto".
Segue l'anafora, che, giusta il suo
primitivo significato, oggi è un vero carme eucaristico, ossia inno di lode e
di ringraziamento a Dio per la sua immensa santità e la squisitezza della sua
misericordia verso gli uomini:
Sac. "È
veramente conveniente e giusto, retto e proficuo che sempre e dovunque noi ti rendiamo grazie, o Signore Santo,
Padre onnipotente, eterno Dio; tu che sei glorificato nella moltitudine dei
tuoi Santi, cui tutte le creature ubbidiscono. Te solo, infatti, esse
riconoscono per loro autore e Dio, onde non solo ogni cosa creata annunzia la
tua lode, ma i tuoi Santi in modo speciale ti benedicono, quando liberamente
confessano il gran nome del tuo Unigenito Figlio innanzi ai re e ai potenti
di questo mondo. Cui assistono gli Angeli e gli Arcangeli, i Troni e le
Dominazioni, che insieme con tutta quanta la milizia del celeste esercito,
incessantemente cantano a te un inno alla tua gloria, dicendo: Santo, Santo,
Santo è il Signore degli eserciti. La tua gloria riempie il cielo e la terra.
Salve, evviva sino alle stelle. Benedetto colui che viene nel nome del
Signore. Salve, evviva".
Segue una serie di collette di sapore
abbastanza antico e d'elevatissima ispirazione, colle quali la Chiesa sembra
che voglia quasi sfogare tutto il suo amore verso il Redentore, già vicino ad
immolarsi per lei. In origine queste varie preghiere costituivano come una
serie di collette di ricambio; oggi invece la cerimonia è
divenuta molto prolissa, giacché tutte queste diverse formole di benedizione,
prefazio cioè, collette ecc. che da principio si sostituivano, o meglio,
s'escludevano a vicenda, nell'attuale Messale fanno parte integrale della
cerimonia della benedizione delle palme. Ne è venuta fuori una funzione
devota sì, ma forse senza proporzione ed armonia, il che rivela la sua tarda
introduzione nella liturgia romana.
183
La seguente colletta si riferisce
esclusivamente ai rami di olivo senza nessun accenno alle palme, che nel
medio evo erano divenute estremamente rare in Europa:
Preghiera. - "O Signore santo, Padre onnipotente, eterno
Dio, noi ti preghiamo di benedire e santificare quest'olivo da te creato, che
per tuo volere germogliò sul tronco, e che la colomba portò nel becco
ritornando nell'arca; affinché chiunque ne riceverà un germoglio conseguisca la salute dell'anima e del corpo, e divenga
esso per noi rimedio salutare e pegno della tua grazia. Per il Signore".
Dio si compiace d'umiliare la superbia del
Satana impedendogli di nuocere ai Cristiani, in grazia dei sacramentali,
consistenti per lo più in piccoli oggetti di devozione, benedetti dal
sacerdote, e conservati con fede dai fedeli. Alla qual specie di sacramentali
appartengono appunto le palme.
Preghiera. - "O Signore, che raccogli quanto era disperso,
e raccoltolo lo conservi; tu che benedicesti il popolo uscito incontro a Gesù
coi rami d'albero, benedici altresì questi rami di palma e d'olivo che i tuoi
servi ricevono con tutta fede e in onore del tuo nome; affinché dovunque
siano recati, gli abitanti ne conseguano la tua benedizione, e allontanata
ogni ostilità, la tua destra si degni di proteggere coloro che redense Gesù
Cristo tuo figlio e nostro Signore. Il quale vive e regna".
Nella seguente preghiera si spiega tutto il
simbolismo dell'odierna cerimonia. Come le turbe mossero incontro colle palme
al trionfatore della morte e dell'inferno, cosi oggi Dio ci anticipa il dono
della palma, onde stimolarci a lottare strenuamente affine di conseguire
sulle soglie dell'eternità un'altra palma, non più soggetta ad appassire ed a
disseccarsi, ma perpetuamente fresca e verdeggiante.
Preghiera. - "O Dio, che con meravigliosa armonia, anche
per mezzo delle cose insensibili, volesti rivelarci l'ordine della nostra
redenzione, fa che lo spirito dei tuoi devoti penetri bene il significato
mistico del fatto compiuto oggi dalle turbe, che, rischiarate da superna
luce, mossero incontro al Redentore e copersero il suo sentiero di rami di
palma e d'olivo, Infatti i rami di palma preannunziano il suo trionfo sul
principe della morte, e i germogli d'olivo indicano una certa qual unzione
spirituale; giacché fin d'allora quella fortunata schiera di popolo dové
comprendere che sotto quei simboli si dichiarava come il Redentore nostro,
tocco dalla miseria degli uomini, doveva lottare contro il principe della
morte per dar la vita a tutto il mondo, e morendo doveva riportarne il
trionfo. E
184
perciò la medesima turba nel prestargli ossequio si servi
di tali simboli che significassero i trionfi della sua vittoria e la facile
copia della sua misericordia. Noi pure esprimendo con viva fede questo fatto
e questo medesimo significato, o Signore Santo, Padre onnipotente, eterno
Dio, supplichevoli ti preghiamo per il medesimo Signor nostro Gesù Cristo,
onde in Lui e per Lui di cui tu ci volesti membra, riportando vittoria
sull'impero della morte, meritiamo d'essere a parte della gloria della sua
risurrezione. Egli che teco ecc.".
Nella seguente colletta già non si parla
più di palmizi, ma all'olivo vengono riavvicinati altri alberi, giacché nei
paesi nordici, dove massimamente si svolse l'odierno rito, a cagione del
freddo non vi cresce né la palma, né l'olivo:
Preghiera. - "O Signore, che volesti che la colomba
recasse in terra l'annunzio di pace per mezzo d'un ramoscello d'olivo;
santifica colla tua benedizione + questi rami d'olivo e d'altri alberi, onde
apportino salvezza a tutto il tuo popolo. Per Cristo ecc.".
Il rito esterno è vano, se al labbro che
ora, non si unisce il cuore che adora:
Preghiera. - "Ti preghiamo, o Signore, benedici questi
rami di palma e d'olivo, e fa sì che quanto oggi il popolo in tuo onore
eseguisce in modo sensibile, lo compia anche interiormente con una fervida
devozione, riportando vittoria sullo spirituale nemico, e dedicandosi con
sommo trasporto alle opere di misericordia. Per il Signore".
Qui il sacerdote asperge i rami coll'acqua
santa e li turifica coll'incenso benedetto.
Sac. V). "Il
Signore sia con voi".
R). "E col tuo
spirito".
Preghiera. - "O Dio, che per la nostra salute inviasti in
questo mondo il tuo figliuolo Gesù Cristo Signor nostro, perché si abbassasse
sino a noi onde risollevarci sino a te; a cui entrando in Gerusalemme a dar
compimento alle Scritture, la turba del popolo credente coi rami di palma e
con fervida devozione distese lungo il cammino le proprie vesti; ci concedi
di preparargli la via della nostra fede, donde tolte via le pietre d'intoppo
e gli scrupoli, distenda invece i suoi rami frondosi la giustizia per mezzo
delle buone opere, affinché meritiamo di seguire le sue vestigia; Egli che
vive e regna".
Durante la distribuzione delle palme o dei
rami d'olivo benedetti, il coro dei cantori eseguisce le antifone seguenti
tolte dal Vangelo poc'anzi recitato:
185
"I fanciulli Ebrei andarono incontro
al Signore con rami d'olivo, e dicevano: Salve, sino alle stelle".
Oggi i fanciulli fanno gli onori della
festa, perché Dio si compiace delle anime semplici ed innocenti, ed è appunto
a loro che rivela i suoi secreti.
"I fanciulli Ebrei stendevano le
proprie vesti lungo la via e gridavano: Salve al Figlio di David; benedetto
colui che viene nel nome del Signore".
Dopo distribuiti i rami benedetti si recita
la seguente colletta, prima d'iniziare la processione:
Preghiera. - "O Dio eterno ed onnipotente, che disponesti
che il Signor nostro Gesù Cristo sedesse sul polledro
d'un'asina, e tu stesso insegnasti alla turba del popolo a distendere sulla
via le vesti e i rami d'albero e a cantare Salve in suo onore; deh! fa che
imitiamo la loro innocenza, onde meritiamo di conseguirne anche il premio.
Per il medesimo Signore".
Diac. V).
"Sfiliamo processionalmente e in pace".
R). "Nel nome di
Cristo. Amen".
Segue la processione, che sebbene
quest'oggi abbia un significato speciale e voglia ricordare l'entrata
trionfale di Gesù in Gerusalemme, però è un residuo dell'antica processione
stazionale e domenicale, che nel medio evo, specialmente nelle abbazie
benedettine precedeva regolarmente la messa. Durante il cammino il coro dei
cantori eseguisce le seguenti antifone:
Ant. "Avvicinandosi
il Signore a Gerusalemme, mandò due dei suoi discepoli e disse loro: Andate
al castello qui incontro, e ritroverete legato un polledro
di giumenta, sul quale nessuno ancora sedé; scioglietelo e menatelo a me. Se
qualcuno vi domanda, dite: Serve al Signore. Sciolto l'asinello lo condussero
a Gesù, e distese sul suo dorso le loro vesti, Gesù vi sedé. Altri distesero
i loro mantelli sulla via, altri la cosparsero di ramoscelli d'albero. Quelli
che seguivano, gridavano: Salve, benedetto colui che viene nel nome del
Signore; benedetto il regno di David, padre nostro. Salve sino alle stelle.
Pietà di noi, figlio di David".
Ant. "Avendo
il popolo saputo che Gesù era per giungere a Gerusalemme, presi dei rami di
palme gli usci incontro. I fanciulli acclamavano: Ecco colui che viene a
salvare il popolo. Questi è la nostra salvezza e la redenzione d'Israele.
Quanto grande è la sua maestà cui escono incontro i Troni e le Dominazioni!
Non temere.
186
o figlia di Sion; ecco che viene a te il tuo re
seduto su un polledro d'asina, siccome fu detto
nella Scrittura: Salve, o re, artefice del mondo, che sei venuto a
riscattarci".
Ant. "Sei
giorni prima della solennità pasquale, quando il Signore giunse alla città di
Gerusalemme, gli mossero incontro i fanciulli portando in mano rami di palme,
e gridavano sino alle stelle: Salve. Benedetto sii tu che giungi qui
nell'infinita tua misericordia: Salve, sino alle stelle".
Ant. "La
turba muove incontro al Redentore coi fiori e colle palme, e rende il
conveniente ossequio al vincitore e trionfatore; il popolo lo acclama Figlio
di Dio; i gridi e le lodi del Cristo salgono in cielo. Salve, sino alle
stelle".
Ant. "Mostriamoci
fedeli al trionfatore della morte, insieme agli angeli ed ai bambini, ed
acclamiamo: Salve, sino alle stelle".
Ant. "Un
immenso popolo che s'era raccolto per la solennità della Pasqua, acclamava al
Signore: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Salve, sino alle
stelle".
Segue l'inno Gloria, laus
etc. colla cerimonia del crocifero che picchia alle porte del tempio per
farle aprire al corteo. Come rito, Roma lo conobbe assai tardi; come simbolo,
i due cori che si rispondono dentro e fuori del tempio, raffigurerebbero la
lode divina che incessantemente alternano la Chiesa trionfante e quella
militante.
_____________
ALLA MESSA
Stazione
a San Giovanni in Laterano.
Al ritorno della processione segue la
messa, che però ha un carattere affatto diverso dalla benedizione delle palme
ed è in più intima relazione colla liturgia dei giorni precedenti. Infatti,
mentre le preci e le antifone riferite più sopra acclamano il Redentore
siccome trionfatore della morte e del peccato, la messa stazionale,
d'ispirazione interamente romana, ne considera piuttosto gl'intimi sentimenti
di profondo annientamento, d'umiliazione e di dolore, siccome vittima
d'espiazione per i peccati del mondo.
La sacra liturgia di questi giorni non
dissocia punto il ricordo della passione del Salvatore da quello dei trionfi
della sua resurre-
187
zione - ecco la ragione dell'antico titolo di Hebdomada paschalis,
dato già a questa settimana, e delle frequenti menzioni della santa
resurrezione che ricorrono nella messa e nell'Ufficio Divino, così oggi che
il venerdì santo -. Infatti, se il Pascha
nostrum immolatus Christus,
incomincia la sera del giovedì santo e si prosegue nella Parasceve, esso però
ha il suo vero compimento nella mattina della risurrezione, allorché Colui
che era mortuus propter
delicta nostra, resurrexit
propter iustificationem nostram. Per gli antichi il Paschale
Sacramentum comprendeva questo triplice
mistero, onde essi, perfino il venerdì santo, innanzi all' adorabile Legno
della Croce, già preannunziavano le glorie del Salvatore risorto. Crucem Tuam adoramus
... et sanctam resurrectionem
tuam laudamus et glorificamus.
_____________
L'introito è tolto da quel medesimo salmo
21 che intonò Gesù Cristo in croce, e che descrive cosi
mirabilmente le sue sofferenze, le ignominie, i palpiti del suo cuore e le
speranze per la prossima lieta risurrezione: "Signore, non allontanare
da me il tuo soccorso; attendi a difendermi. Salvami dalle zanne del leone e
scampa la mia debolezza dalle corna dei liocorni".
La colletta è d'una squisitezza di
composizione che rivela l'aureo periodo della liturgia romana: "O Dio
onnipotente ed eterno, che a dare al genere umano un esempio d'umiltà da
imitarsi, disponesti che il Salvatore nostro s'incarnasse e subisse il
supplizio della Croce, ci concedi d'accogliere fruttuosamente l'insegnamento
della sua pazienza, onde essere a parte della sua risurrezione".
Ecco qui spiegato tutto il significato del
sacro rito che dovrà compiersi durante questa settimana. Gesù crocifisso è
come un libro nel quale l'anima legge tutto quello che Dio desidera da lei
per divenir santa. La frase della colletta: patientiae
ipsius habere documenta perde
molto in energia quando viene tradotta in italiano. Essa significa che
dobbiamo realizzare nella nostra vita quelle lezioni di sofferenza e di
espiazione che Gesù c'impartisce dalla cattedra della croce. Viene infine la
speranza della risurrezione, che la Chiesa non vuol mai disgiunta dalle
sofferenze del Golgota.
La lezione è tratta dalla lettera ai
Filippesi (II, 5-11) in cui san Paolo ci descrive il Cristo, il quale per
nostro amore ecclissa la gloria della sua consustanzialità col Padre, prende
l'abito servile ed ubbidisce a Dio sino alla morte più crudele ed infamante.
Sin qui l'espiazione, ma ecco subito il trionfo e l'inizio dell'impero
messianico. Iddio col fuoco della sua divinità riscalda quelle gelide membra
188
di Gesù che gli si erano offerte sulla Croce. Egli
trasfonde in loro la propria vita, e al nome del Salvatore tracciato da
Pilato sul cartello posto a titolo di ludibrio sull'asta verticale della
croce attribuisce tanta gloria e tanta potenza, che diventa oggimai il
simbolo di tutti i predestinati alla gloria del cielo.
Il responsorio graduale deriva dal salmo 72
e prelude già al trionfo di domenica prossima: "Per poco non stavo per
vacillare, giacché mi eccitai a riguardo dei malvagi, indignato del letargo
di morte in cui giacevano prostrati i peccatori. Tu però, o Padre mio, mi
prendesti per mano, m'hai condotto giusta il tuo volere, e m'hai accolto con
trionfo". Lo zelo di Gesù vedendo la rovina di tante e tante anime, arse
di santo ardore nella sua passione; Egli affrontò impavido i nemici dell' umanità, i demoni e i loro alleati, cioè gli empi.
Stava anzi per soccombere sotto i loro colpi, imperocché
sulla Croce alla violenza dei tormenti l'anima sua benedetta fu separata dal
corpo, il quale subì perfino l'umiliazione del sepolcro. Ma in tutto questo
la mano dell'Onnipotente ha sempre guidato il suo unigenito Figliuolo; ella
l'ha condotto sul sentiero della vita, e l'ha coronato colla gloria trionfale
della sua risurrezione ed ascensione al cielo.
Il salmo tratto, o direttaneo,
è il 21, nel quale prima si descrivono le agonie strazianti del Cristo e i
suoi sentimenti d'umiltà, d'intima desolazione e di fiduciale abbandono in
Dio; quindi si esalta il trionfo della redenzione messianica e si annunzia la
nuova generazione, cioè la Chiesa, alla quale sarebbe diretto il messaggio
evangelico.
La lezione evangelica di san Matteo
contiene tutto il racconto della passione del Signore (XXVI-XXVII)
dall'ultima cena cogli Apostoli sino all'apposizione dei suggelli al suo
sepolcro. La qual tradizione a Roma è molto antica, essendoci attestata dagli
Ordines del IX secolo.
La memoria delle pene sostenute per nostro
amore da Gesù Cristo, deve conservarsi ognor viva
nel nostro cuore, producendovi quei sentimenti d'amore e di gratitudine che
produceva in san Paolo, quando scriveva: "Cristo mi ha amato ed ha dato
se stesso per me; io vivo, ma non sono già più io che vivo, è bensì Cristo
che vive in me. Io vivo nella sua fede".
Il Crocifisso ci deve insegnare sopratutto tre cose. Primo quanto grande è stato l'amore
che tutta l'augusta Triade ci ha portato, sino a sacrificare per noi Gesù,
l'unigenito di Dio; secondo, che orribil
189
cosa sia il peccato, il quale non ha potuto essere
espiato altro che colla morte atrocissima del Salvatore; terzo, quanto vale
l'anima propria, la quale non ha potuto essere riscattata a minor prezzo del
Sangue di Gesù. Conchiudeva san Paolo la sua meditazione sulla passione di
Gesù: Empti enim
estis pretio magno,
glorificate et portate Deum in corpore
vestro.
L'antifona per l'offerta è tolta dal salmo
68, che pure prelude alla passione del Salvatore: "Venendo tra gli
uomini, il mio cuore non si attese da loro che ignominie ed ingratitudine.
Aspettai chi entrasse a parte della mia pena, ma indarno. Cercai chi mi
consolasse, ma non ritrovai alcuno. Mi diedero in pasto del fiele, e
nell'ardore della mia sete mi abbeverarono d'aceto".
Gesù ripeté questi medesimi accenti di
desolazione a santa Gertrude e a santa Margarita Alacoque,
manifestando il suo vivo desiderio che anime a lui particolarmente
consacrate, quali i sacerdoti e le persone religiose, entrino a parte di
questi suoi sentimenti, riparino, espiino con lui, e lo consolino col loro
amore.
La preghiera sulle oblate, al pari di
quella dopo la Comunione, derivano dalla domenica fra l'ottava di Natale che
è di carattere generale.
L'antifona per la Comunione è stata tolta
da san Matteo (XXVI, 42): "Padre, se non può farsi che io non sorbisca
questo calice, si compia il tuo volere". Quando durante il canto di
queste parole i fedeli si appressavano realmente a sorbire dal calice
sostenuto dal diacono il Sangue del Cristo, essi comprendevano perfettamente
che il comunicarsi è un rendersi solidari della sua passione. Nella messa
infatti non è solamente Gesù Cristo che rinnova misteriosamente il suo
sacrificio, ma siamo noi altresì che, sopratutto in
grazia della santa Comunione, ci uniamo a lui, come le membra al capo, per
umiliarci, per immolarci, per offrirci con lui, per morire nella sua morte,
onde aver parte nella sua vita.
Questo calice di passione non può passar
oltre da noi; è necessario che noi lo beviamo, se vogliamo vivere e compiere
la volontà di Dio.
da A. I. SCHUSTER, Liber
Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul
Messale Romano - III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La
Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua), Torino-Roma, Marietti, 1933,
pp. 178-189.