Missale Romanum
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PRIMA
DOMENICA DI QUARESIMA
Stazione
al Laterano.
In alcune ricorrenze più solenni dell'anno,
la liturgia romana celebra la stazione nella basilica dell'antica casa di
Fausta, appartenuta già sotto Nerone ai Laterani. Costantino l'avea donata a
papa Melchiade,
ed il palazzo da allora a tutto il
medio evo divenne la residenza abituale dei Papi, l'episcopium o il
patriarchio Lateranense. San Pietro è l'antica cattedrale liturgica dei
Romani Pontefici, i quali
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vi si recano ad officiare in tutte le
grandi solennità del ciclo; però la sede abituale, la residenza normale dei
Papi è in Laterano, così che la sua basilica del Salvatore ha potuto
rivendicare a sé il titolo di madre e capo di tutte le chiese dell'Urbe e
dell'Orbe.
È quindi conveniente che il sacrificio
auspicale del sacro periodo quaresimale, venga oggi immolato in Laterano,
nell'aurea basilica sacra al Salvatore, la quale solo più tardi giusta l'uso
invalso, fu denominata da san Giovanni. Propriamente, ai due Giovanni, cioè
al Battista e all'Evangelista, non sarebbero dedicati che due piccoli oratori,
eretti presso il battistero da papa Ilaro, siccome monumento votivo del suo
fortunato scampo dalle violenze di quel conciliabolo, che la storia ha poi
chiamato il latrocinio efesino.
Sotto l'altare maggiore del Laterano e
negli attigui oratori di san Venanzio, di san Lorenzo ecc., si conservano
molte preziose Reliquie di Martiri, così che l'antica cappella papale del
Patriarchi o ancor oggi si appella Sancta Sanctorum. Nel medio evo,
all'ufficiatura notte e giorno della basilica Lateranense, erano addetti non
meno di quattro monasteri con un numeroso coro di cantori.
Quest'oggi, non essendo digiuno, non v'è
neppure la colletta che precede la processione stazionale, rito di carattere
spiccatamente penitenziale, e poco conciliabile quindi colla solennità domenicale.
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Nell'odierna messa, gli onori della festa
sono tutti pel salmo 90, quello citato appunto al Cristo dal Satana
tentatore. Noi lo ripeteremo all'introito, al graduale, all'offertorio e al
communio, quasi in atto di protesta e di riparazione per la suggestione
temeraria. D'altra parte, il salmo 90 esprime così bene i sentimenti
dell'anima che ritorna a Dio per la penitenza ed in lui ripone ogni sua
fiducia, che la Chiesa ne ha fatto come il carme quaresimale per eccellenza.
Incomincia l'introito coll'esprimere le
magnifiche promesse che fa Iddio ad un'anima che a lui ricorre: "Egli
m'invocherà ed io lo ascolterò; io lo scamperò dai pericoli e l'esalterò; gli
darò lunghi anni di vita".
La colletta è la seguente: "O Dio che
annualmente purifichi la tua Chiesa mediante l'astinenza quaresimale; fa sì
che la tua famiglia renda fruttuose, mediante le buone opere, quelle grazie
che si studia d'impetrare colla sottrazione dei cibi".
I Santi Padri, e san Leone I
particolarmente, insistono nel rilevare che specialmente la quaresima è il
tempo a Dio accetto, come ben spiega l'Apostolo nella seguente lezione (II Cor.
VI, 1-10), tempo
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di misericordia, in cui, insieme coi
catecumeni e penitenti, tutti i fedeli sono invitati a mutar vita.
Nell'antichità, infatti, la quaresima aveva come il senso d'un gran corso
d'Esercizi Spirituali annui per tutta la Cristianità. Perciò il brano di san
Paolo che ora si legge, contiene come un vasto piano di riforma interiore,
che vuol essere ben meditato, specialmente dal clero, cui a preferenza è
diretto. L'Apostolo descrive in se medesimo il doppio significato della
professione cristiana, significato negativo, cioè povertà, calunnie,
persecuzioni, mortificazione del corpo e dello spirito; significato positivo,
che però è il risultato delle condizioni ora accennate, ricchezze interiori,
larghezze verso i bisognosi, gioia dello spirito, edificazione dei prossimi,
possesso d'ogni cosa in Dio.
Il responsorio graduale preannunzia in
onore di Gesù quel medesimo ossequio che tutti gli Angeli debbono al Caput
hominum et Angelorum, e da cui poi nel Vangelo il Satana trarrà appunto
motivo per tentarlo. "A tuo riguardo Dio comandò agli Angeli suoi di
custodire dappertutto i tuoi passi. Essi ti leveranno sulle palme, perché il
tuo piede non inciampi". Questo verso si riferisce al Cristo nella sua
umanità santissima e nel suo mistico corpo. Il servigio degli Angeli a Gesù
nell'umanità sua, è un servigio di doverosa adorazione, non di bisogno che il
Redentore potesse avere dell'aiuto degli spiriti angelici. La custodia poi
della Chiesa e dei fedeli commessa ai santi Angeli, da parte di Gesù è un
atto di vera degnazione, ammettendo quei beati spiriti alla gloria di
cooperare con lui alla salvezza degli uomini. Da parte poi degli Angeli,
questa tutela, oltre ad essere un doveroso servigio che rendono al Salvatore
nel suo mistico corpo, è un ufficio che loro massimamente compete, in quanto
riflettono cosi sopra le creature di grado alquanto inferiore al loro, quella
luce e quella grazia che essi attingono alle sorgenti divine. Così appunto
dal centro d'un circolo, nulla arriva alla circonferenza, se non per mezzo
dei raggi.
Da parte nostra poi, il ministero e la
custodia dei santi Angeli corrisponde a un vero bisogno, e l'aiuto è affatto proporzionato
alla necessità. Dovendo infatti sostenere la lotta contro i demoni, spiritualia
nequitiae in coelestibus, come li chiama san Paolo, è necessario che
altre creature spirituali buone e più potenti vengano in nostro aiuto e siano
pari anzi superiori ai nostri terribili avversari. Di più, i predestinati,
giusta il sentimento dei Santi Padri, debbono riempire i vuoti lasciati nelle
falangi angeliche dalla defezione di Lucifero e dei suoi seguaci. È quindi
conveniente che gli Angeli buoni cooperino con Gesù Cristo a reintegrare le
loro schiere.
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Il salmo tratto, neppure a dirlo, oggi è il
90: "Dimorando nel riparo dell'Altissimo ed albergando all'ombra del
Potente, dico a Iahvè, mio refugio, mia fortezza, al quale m'affido. Poiché
egli ti salverà dal laccio, dalla tagliuola, e dalla fossa del precipizio;
sotto i suoi vanni ti ricetterà, sotto le ali sue ti rifugerai. Scudo è la
verità sua, né temerai all'incubo della notte. Né la freccia volante di
giorno, né la peste che vagola al buio, né il maligno desolante in sul
meriggio. Al fianco tuo ne cadranno mille, e diecimila alla tua destra,
eppure a te non s'avvicineranno. Perché a tuo riguardo comanda ai suoi angeli
di custodirti in tutte le tue vie. Essi ti leveranno sulle palme, ché il tuo
piede non inciampi nei sassi; sul rettile e sulla vipera tu camminerai,
calpesterai il lioncello e il drago. Poiché egli è congiunto a me, io lo
salverò; lo proteggo perché confessa il nome mio. Egli m'invochi ed io gli
risponderò; con lui sarò nella tribolazione; lo salverò, lo glorificherò; di
lunga copia di giorni lo sazierò, e a lui rivelerò il mio Salvatore".
È da notarsi, che originariamente il
graduale e il tratto non solo avevano due posti distinti, cioè dopo la prima
e la seconda lezione scritturale, ma anche come genere di salmodia melodica
differivano completamente. L'odierno tratto è uno dei pochi esempi superstiti
dell'estensione che aveva prima questo canto, il quale constava
ordinariamente d'un intero salmo.
La lezione evangelica (Matth. IV, 1-11)
descrive le tentazioni di Gesù nel deserto, quando il Satana, insospettito
dalla sua vita mirabile, e volendo accertarsi se era lui il promesso Messia,
gli suggerì dapprima di provare il suo carattere messianico col trasformare
le pietre in pane, indi col precipitarsi in basso dalla cuspide del tempio, e
finalmente coll'adorarlo, siccome signore del mondo.
Gesù non lo degnò d'una risposta diretta,
riflettendo tuttavia alla prima suggestione, che l'uomo non vive solo di
pane, ma della parola divina, e che quindi il prodigio richiesto era
superfluo. Quanto al secondo miracolo, esso sarebbe stato un tentare Dio,
presumendo di costringervelo per un puro capriccio del demonio; quanto poi
alla terza tentazione, Gesù non tollerò più oltre tanta audacia, ma scacciò
da sé il Satana, dicendo che solo Dio conviene adorare e servire.
I Santi Padri, e san Gregorio specialmente,
in una celebre omilia recitata quest'oggi al popolo in Laterano, ricercano,
come mai Gesù volle assoggettarsi ad essere tentato dal Satana; ed osservano,
che egli così fece per partecipare all'infermità della nostra natura, per
umiliare e vincere il tentatore anche per noi, e per meritarci la grazia di
superare le nostre tentazioni per i meriti della vittoria sua. Di
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più, Gesù lo fece per dimostrarci che non è
già male l'esser tentato, ma il cedere al tentatore. Le tentazioni di Gesù
inoltre, furono tutte esteriori, giacché la sua umanità santissima non poteva
affatto compiacersene, e meno ancora acconsentirvi.
I fedeli debbono professare una special devozione
a questo mistero di Gesù tentato nel deserto, giacché non v'ha nulla di più
profondo del modo col quale la divina Provvidenza fa rientrare nel piano
della nostra santificazione anche le ostilità del demonio, facendo della
tentazione un crogiuolo di purificazione, ed un'occasione di maggior grazia e
profitto nelle vie dello spirito.
L'antifona del salmo offertoriale è la
seguente: "Iddio ti ricetterà sotto i suoi vanni; sotto le sue ali ti
ricetterai; egida è la sua verità".
Oggi s'inaugura la quaresima; onde la
Chiesa la consacra per mezzo di quel Sacrificio perfetto e definitivo, il
quale accentra in sé e santifica ogni altro atto cultuale reso a Dio in tutto
il corso dei secoli, giusta il pensiero dell'Apostolo: Una enim oblatione
consummavit in sempiternum sanctificatos (Hebr. X, 14). Ecco la splendida
colletta sulle oblate: "T'immoliamo, o Signore, questo solenne
sacrificio inaugurale della quaresima, supplicandoti perché colla parsimonia
del cibo materiale, ci raffreniamo ancora dagli affetti peccaminosi".
Sebbene i fedeli digiunino già da cinque
giorni, tuttavia la liturgia celebra soltanto oggi il principio di quaresima.
Infatti, sino a questa domenica non si è mutato nulla né nell'Ufficio Divino,
né nella Messa. Le due stazioni delle ferie IV e VI, sono un ricordo del
primitivo digiuno settimanale il mercoledì ed il venerdì, di cui si parla la
prima volta nella Didaché, quando li contrappone al ieiuno bis in sabbato dei
Farisei, che dedicavano all'astinenza il lunedì e il giovedì. Le messe poi
del giovedì e sabato di quinquagesima, rappresentano un'aggiunta posteriore,
dei tempi di Gregorio II. S. Gregorio Magno è esplicito su questo punto,
quando nell'omilia XVI in Evang. attesta, che la quaresima romana in realtà
comprendeva allora solo trentasei giorni di digiuno.
La secreta ricordata più sopra, si ritrova
già nel Gelasiano. È da notarsi la frase: sollemne sacrificio - sollemniter
immolamus. Infatti, il vero carattere delle messe descritte nei
Sacramentari è regolarmente quello stazionale delle sinassi pubbliche e
solenni, cui prendeva parte col clero tutta la comunità dei fedeli. Nelle
messe private cotidianae, come talora le chiamavano, d'indole quasi
votiva, adoperavasi probabilmente un formulario più semplice.
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L'antifona ad Communionem è identica
all'offertorio. Ecco il testo della Eucharistia o ringraziamento dopo
la sacra Comunione: "La sacra offerta del tuo Sacramento, o Signore, ci
ravvivi; e purificandoci dalle antiche colpe, c'inizi alla partecipazione del
mistero d'eterna salvezza".
In questa colletta s'insinua il concetto,
comunissimo nelle antiche liturgie, che la quaresima, in quanto inizia già il
dramma pasquale, è un periodo di rinnovamento interiore, ad imagine del
Cristo risorto. Il Sacramentario Gelasiano in questi primi giorni ritorna più
volte su questo concetto. Valgano alcuni esempi: Sacrificium, Domine,
observantiae paschalis exerimus ... (Fer. VI in quinq.); Aufer a nobis
... ut ad Sancta Sanctorum (= la Pasqua) ... mereamur ... introire (a
quinquag. ad quadrag.); ieiuniis paschalibus convenienter aptari (Fer.
VI in quinquag.); Paschalibus actionibus inhaerentes (Fer. VII in
quinquag.).
Manca nell'odierno Messale del Tridentino
così il prefazio proprio di questa prima domenica, che la colletta sopra il
popolo prima di congedarlo di chiesa. Questa si ritrova però tanto nel
Gelasiano, - il Leoniano è mutilo da principio - che nel Gregoriano. Eccola:
"Ti supplichiamo, o Signore, perché discenda copiosa la tua benedizione
sul tuo popolo; la quale c'infonda consolazione, rafforzi la santa fede,
renda saldi nella virtù coloro che da te sono stati riscattati".
La famiglia cristiana non potrebbe iniziare
il digiuno pasquale con più lieti auspici. Gesù la precede al deserto
dell'espiazione; segue l'Apostolo, il quale con uno dei più sublimi squarci
del suo epistolario, ai digiuni, alle persecuzioni, alle sofferenze
corporali, contrappone i doni esuberanti dello Spirito Santo, la longanimità,
la soavità, il gaudio di patire per amore di Dio, la gioia di giovare al
prossimo, cooperando col Cristo nel sublime ministero della redenzione del
mondo.
da A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul
Messale Romano - III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La
Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua), Torino-Roma, Marietti, 1933,
pp. 53-58.