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Ildefonso Card. Schuster, Liber Sacramentorum > III. La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua > Domenica di Quinquagesima

 

 

Missale Romanum

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DOMENICA  DI  QUINQUAGESIMA

Stazione a San Pietro.

 

Questa solenne sinassi presso la confessione vaticana chiude il triduo di preparazione alla solennità veneranda dei digiuni; oramai, dopo d'esserci assicurata la protezione di Lorenzo, di Paolo e di Pietro, domenica prossima nella basilica Lateranense potremo

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inaugurare con tutta fiducia il sacro ciclo penitenziale. A somiglianza dei Greci, i devoti e le famiglie religiose solevano sin da antico dare inizio in questa settimana all'astinenza dalle carni. La Chiesa in parte ha imitato quest'uso, anticipando i digiuni la Feria IV seguente.

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L'antifona d'introito viene dal salmo 30: "Sii tu per me un Dio di protezione ed un luogo di scampo onde trovar salvezza; ché la mia rupe e la fortezza mia sei tu, ed in grazia del tuo nome tu mi guidi e mi diriggi".

Il peccato è quello che rende infelice l'umanità; onde la Chiesa oggi nella colletta prega il Signore che, spezzati una volta i lacci della colpa, tenga lungi ogni male dal popolo suo.

Quegli che domenica scorsa ci narrava d'essere stato rapito al terzo cielo e d'avervi udito cose inesprimibili per l'umana favella, oggi in una delle pagine più sublimi dell' epistolario (I Corinth., XIII, 1-13), tenta come di sollevare un lembo del mistero che cela ai mortali la vita del Sommo Amore. L'oggetto primario ed immediato del precetto della carità è Dio, ultimo fine della creatura; l'Apostolo tuttavia insiste nel descriverne piuttosto le irradiazioni verso gli uomini, in quanto sono immagini di Dio e membra mistiche del Cristo; giacché nessuno potrà facilmente lusingarsi d'amare Dio, l'Invisibile, se in pari tempo non lo ama attraverso le creature che visibilmente lo rappresentano.

Il responsorio graduale oggi è tolto dal salmo 76; è meno cupo di quello delle due stazioni precedenti, perché l'anima già prospetta la vittoria in grazia della sua speranza nell'aiuto di Iahvé: "Tu sei il Dio che solo operi meraviglie; rendesti celebre fra le genti la tua possanza. Hai redento nel tuo braccio il popolo tuo, i figli d'Israel e di Ioseph".

Il tratto è un bell'inno di riconoscenza a Dio per i suoi divini attributi di padre e pastore del popolo suo: "Esultate in Iahvé su tutta la terra, ministrate a Dio in letizia. Avanzatevi alla sua presenza con tripudio; conoscete che Iahvé egli è Dio. Egli ci ha fatti, e non già noi stessi; noi siamo il suo popolo e il gregge dei suoi pascoli".

Segue l'annunzio definitivo del dramma pasquale (Luc. XVIII, 31-43). Gesù si muove alla volta della città che aveva la triste privativa di essere il luogo dove regolarmente doveva consumarsi l'assassinio di

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ciascun profeta: Non capit Prophetam perire extra Ierusalem; e quando Pietro nel suo amore impetuoso tenta di dissuadere il Redentore dall'esporsi a quel pericolo, questi lo respinge da sé chiamandolo Satana, il tentatore, ed osservando che chi non ama la croce, non intende nulla delle cose divine. Un miracolo, quello del cieco di Gerico, viene a confortare la fede titubante dei dodici discepoli, mostrando loro che, se l'umanità di Cristo soccombeva volontariamente alla violenza dei suoi nemici, la divinità, quella cioè che in lui operava tante meraviglie, l'avrebbe bentosto, il terzo giorno, richiamata alla luce della vita indefettibile e gloriosa.

L'antifona del salmo offertoriale (salmo 118), mentre benedice Iahvé perché ha dato grazia al Salmista di profferire intrepidamente tutti i suoi giudizi, anche al cospetto dei potenti della terra e degli empi, lo prega che continui ad ammaestrarlo interiormente circa i suoi comandamenti.

La colletta sulle oblate è identica a quella della III domenica dopo l'epifania.

L'antifona per la Comunione deriva dal salmo 77, e letteralmente tratta degli Ebrei che nel deserto si cibarono prodigiosamente delle carni di quaglie da loro bramate. Ma si applica anche al cibo Eucaristico, di cui quei miracoli dell'Antica Legge erano altrettanti simboli o figure profetiche: "Mangiarono e ne furono ben satolli, e il Signore contentò il loro desiderio, né fu vana la loro speranza".

Nella colletta Eucaristica preghiamo il Signore che, il cibo celeste a cui abbiamo partecipato, ci protegga contro ogni assalto ostile.

Quant'è profondo il mistero della Croce, così che perfino gli Apostoli, quelli che già da tre anni erano stati iniziati alla scuola di Gesù, ancora non l'intendono punto. Non solo essi non lo intesero nell'odierna salita a Gerusalemme, ma non vi giunsero neppure la sera del banchetto pasquale, in cui furono consacrati pontefici del Testamento Nuovo. Pochi momenti appresso, omnes, relicto eo, fugerunt e lasciarono Gesù solo salir al Calvario. Quanto dunque vuol essere studiato e meditato Gesù Crocifisso, onde non errare circa un punto della massima importanza, verso il quale deve orientarsi tutta la nostra vita soprannaturale: il mistero dell'espiazione nel dolore.

L'antifonario Gregoriano contiene i canti propri delle sole messe del mercoledì e del venerdì di quinquagesima, mentre il giovedì e il sabato anche oggi ripetono le loro melodie da altre messe. Questa

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anomalia è forse in relazione colla circostanza, che sin dal II secolo le stazioni settimanali delle ferie IV e VI erano in onore in Africa e in Roma; i digiuni quaresimali anticipati durante gli ultimi quattro giorni di quinquagesima, poterono facilmente stratificarsi sulla doppia messa stazionale della corrente settimana di quinquagesima, senza bisogno di turbare troppo l'Ordine dell'Antifonario. La quaresima aveva le sue stazioni quotidiane ben determinate; per queste astinenze suppletorie e di carattere, al principio, quasi di devozione particolare, potevano ben bastare le due messe tradizionali, che sin dall'evo apostolico avevano consacrato in ciascun mercoledì e venerdì dell'anno il sacro digiuno ebdomadario.

 

da A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano - III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 35-38.

 

 

 

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