Missale Romanum
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GIOVEDÌ
SANTO
Stazione
in Laterano.
La basilica del Salvatore presso la quale
sin dal V secolo i Sommi Pontefici stabilirono l'ordinaria loro residenza,
reclama quest'oggi l'onore dei riti solenni coi quali la Chiesa inizia
appunto in questo giorno la solennità pasquale. Altra volta le messe erano
tre, una la mattina per la riconciliazione dei pubblici penitenti, l'altra
per la consacrazione dei sacri Olii destinati all'unzione degli infermi ed al
Battesimo, la terza infine in sull'imbrunire per la commemorazione della Cena
del Signore e la Comunione pasquale. Si comprende
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quindi perché la stazione invece di
celebrarsi a San Pietro, che allora stava fuori del recinto urbano, si
tenesse più comodamente in Laterano.
Oggi il rito è meno complesso, ed essendo
andata in disuso la disciplina della pubblica penitenza, gli Olii santi si
consacrano nella stessa messa della Comunione pasquale.
La triplice sinassi che celebravano gli
antichi aveva tuttavia suggerito anche a loro un prudente raccorciamento
della cerimonia, e dai documenti del secolo VIII noi veniamo a conoscere che
nella terza messa s'incominciava addirittura col prefazio, omettendo letture,
salmi e quant'altro precede ordinariamente l'anafora consacratoria. È per
questo che nel nostro Messale tutta la prima parte della messa del giovedì
santo non ha elementi propri, ma va racimolando le sue parti da altre messe.
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L'introito è derivato dal martedì
precedente. Non dobbiamo lasciarci rabbrividire alla semplice apprensione
della croce. Essa è come una medicina che è un po' amara al gusto, ma
conferisce certamente la sanità. L'Apostolo dice che in Gesù Crocifisso est
salus,vita et resurrectio nostra. Egli è resurrezione, perché la sua
morte ci merita la grazia di risorgere dal sepolcro dei nostri peccati; è
vita, perché è a riguardo suo che l'Eterno Padre ci accorda lo Spirito Santo,
il quale è principio vitale di tutta la nostra vita spirituale; è salute
perché al dir d'Isaia, il sangue delle sue piaghe e i lividi delle sue membra
solcate dai flagelli sono come un balsamo contro i vizi e le passioni.
La colletta è quella assegnata domani dopo
la prima lettura. Essa accenna di lontano al mistero della predestinazione,
ricordando che in occasione della passione del Salvatore, il ladrone conseguì
salvezza, mentre Giuda disperato corse incontro alla sua dannazione. La
diversa sorte di questi due personaggi ci riempie di salutare terrore, mentre
c'insegna che a conseguir la salute non basta d'essere spettatori o d'aver
parte in una maniera qualsiasi al rito della passione del Salvatore, ma
bisogna pur rinunziare al peccato ed alla vita già trascorsa lontana da Dio,
per risorgere con Gesù Cristo ad una vita tutta santa e conforme alla sua
volontà.
Segue la lettura d'un brano della lettera
di san Paolo ai Corinti (1, II, 20-32) sull'istituzione del Sacramento
dell'altare e sulle disposizioni d'animo e di corpo per ben parteciparne.
Tale lettura è stata già fatta nell'Ufficio vigiliare di questo giorno, ma
piace di ripeterla, perché il suo posto naturale è appunto la messa del gio-
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vedi santo. A Corinto era incominciato
l'abuso che in occasione del banchetto comune, dove allora, giusta l'esempio
del Salvatore e la primissima disciplina apostolica, consacravasi
l'Eucaristia, i ricchi facessero a sé e lasciassero indietro i poveri e i
ritardatari. Questa, osserva l'Apostolo, non è più la Cena del Signore, ma
troppo rassomiglia a quei banchetti in uso presso le confraternite religiose
pagane che pure avevano dei banchetti sociali. Non si tratta tanto di
soddisfare ai bisogni del corpo, quanto di conservare intatto il significato
sacramentale della Cena in cui si celebra e si partecipa in comune al
sacrificio commemorativo della morte del Signore. Ciascuno quindi scruti la
propria coscienza, ché il pane di vita mangiato indegnamente non divenga
argomento di morte e di condanna.
La messa dunque, giusta l'insegnamento
dell'Apostolo, è un vero e proprio sacrificio commemorativo di quello del
Calvario, cioè della morte del Signore. Noi quindi dobbiamo prendervi parte
con viva fede e riconoscenza, così come vogliamo entrare a parte degli
effetti della redenzione. Appartiene al rito sacrificale il parteciparne
mediante la comestione della vittima. Presso i popoli antichi, questo
banchetto finale voleva significare l'intima relazione che correva tra la
vittima sacrificata e i devoti, in cui nome essa veniva
offerta alla divinità. La vittima sostituisce l'oblatore, e quindi, questo
mangia della vittima per incorporarsi con essa che legalmente lo rappresenta.
Di più, il banchetto sacrificale ha un
carattere sacro, e simboleggia la riconciliazione della Divinità coll'uomo,
tanto che ambedue s'assidono amichevolmente a mensa insieme.
Nella santa messa il sacerdote deve
necessariamente partecipare della sacra vittima mediante la sacramentale
Comunione. Ai semplici fedeli basta l'associarsi per mezzo della Comunione
spirituale; ma è nello spirito e nei desideri ferventi della Chiesa che
anch'essi, potendo, siano a parte del Sacrificio, ricevendo realmente la
sacra Comunione "in memoria della morte del Signore".
Segue il responsorio tolto da san Paolo
(Philip. II, 8-9): "Il Cristo per noi si fece ubbidiente sino a morte e
a morte di croce. Per questo appunto Dio lo esaltò, e gli dié un nome che è
al disopra d'ogni altro nome".
Il nome conferito da Dio a Gesù è quello di
Salvatore. A differenza però degli altri nomi delle creature, questo di Gesù
non enunzia semplicemente un voto, ma realizza effettivamente un programma di
salute. Il Redentore apparisce Gesù in tutta la pienezza ed estensione del
significato, quando sulla croce versa il sangue pel riscatto del genere
umano.
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Segue la lettura di san Giovanni col
racconto della lavanda dei piedi, che però, non essendo in troppo intima
relazione col mistero eucaristico, accusa il suo carattere additizio e
posteriore. Originariamente esso si leggeva nel martedì santo.
Gesù volle lavare i piedi ai discepoli sia
per darci un esempio, anzi un comando, di scambievole umiltà, sia ancora per
insegnarci la somma purezza con la quale conviene accostarci a lui: "Chi
esce dal bagno non ha bisogno che di risciacquarsi i piedi". Per esser degni
cioè dell'amicizia sua, non basta di aver l'anima netta dal peccato mortale,
ma conviene detestarlo sradicando dal cuore tutto quello che non è Dio.
La colletta d'introduzione all'anafora ha
un sapore classico, e merita d'essere riferita integralmente: "Ti
preghiamo, o Signore santissimo, Padre onnipotente, eterno Dio, onde renda a
te gradito questo nostro sacrificio, Gesù, tuo figliuolo, e nostro Signore,
quegli stesso che oggi istituendolo la prima volta, prescrisse ai suoi
discepoli d'offrirlo in sua memoria. Egli che vive ... ".
Nell'anafora consacratoria, giusta quanto
papa Vigilio scriveva a Profuturo di Braga, oggi s'inserisce un periodo in
cui si commemora la solennità della cena del Signore: "Celebrando noi il
sacratissimo giorno in cui fu tradito per noi Gesù Cristo Signor nostro,
essendo uniti in spirito e venerando la memoria, dapprima della gloriosa e
sempre Vergine Maria, madre del medesimo Dio e Signore nostro Gesù Cristo,
nonché dei beati apostoli Pietro e Paolo ecc.".
Anche nella preghiera che Innocenzo I,
scrivendo a Decenzio di Gubbio, chiamava commendatio Oblationis, oggi
si fa memoria della Cena del Signore: ... Ti offriamo quest'omaggio della
devozione nostra e di quella altresì di tutta intera la tua famiglia nel
giorno appunto in cui nostro Signore commise ai suoi discepoli la
celebrazione del sacramento del Corpo e del Sangue suo; onde ti preghiamo di
accoglierla con misericordia, di comporre nella tua pace questi nostri tempi,
disponendo si che scampata l'eterna dannazione possiamo far parte del gregge
dei tuoi eletti. Per il medesimo ... ".
"La quale oblazione, te ne preghiamo,
o Dio, degnati di renderla in tutto benedetta, legittima, gradita, spirituale
ed accetta, onde si trasmuti per noi nel Corpo e nel Sangue del tuo dilettissimo
Figliuolo e nostro Signore Gesù Cristo; il quale il giorno innanzi che
soffrisse per salute nostra e di tutti, cioè oggi, prese il pane ecc.".
Prima della dossologia finale del Canone (Per
quem haec omnia), giusta un antichissimo rito attestatoci già nei canoni
d'Ippolito - i
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quali però ce lo descrivono siccome una
cerimonia che poteva ripetersi in ciascuna messa - il vescovo benedice l'olio
per gli infermi, riservando a dopo la Comunione la consacrazione del santo
crisma e dell'olio pei catecumeni.
Ne descrivemmo già il rito nel I volume,
onde non ci resta che di riferire lo splendido carme derivato dalla liturgia
gallicana, ma accolto più tardi nel Pontificale Romano, e col quale la
liturgia di questo giorno memorando saluta il sacro crisma.
Hymnus.
O Redemptor, sume
carmen temet concinentium.
O Redemptor, etc.
Audi, iudex
mortuorum,
Una spes mortalium,
Audi voces proferentum
Donum pacis praevium.
O Redemptor, etc.
Arbor foeta alma
luce
Hoc sacrandum protulit:
Fert hoc prona praesens turba
Salvatori saeculi.
O Redemptor, etc.
Stans ad aram, immo
supplex
Infulatus pontifex,
Debitum persolvit omne
Consecrato chrismate.
O Redemptor, etc.
Consecrare tu
dignare,
Rex perennis patriae,
Hoc olivum, signum vivum,
Iura contra daemonum.
O Redemptor, etc.
Ut novetur sexus omnis
Unctione
chrismatis,
Ut sanetur sauciata
Dignitatis gloria.
O Redemptor, etc.
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Lota mente sacro fonte
Aufugantur crimina:
Uncta fronte, sacrosancta
Influunt charismata.
O Redemptor, etc.
Corde natus ex Parentis,
Alvum implens Virginis,
Praesta lucem, claude mortem
Chrismatis consortibus.
O Redemptor, etc.
Sit haec dies festa nobis
Saeculorum saeculis:
Sit sacrata, digna laude,
Nec senescat tempore.
O Redemptor, etc.
|
|
Inno.
O Redentore, accetta il carme di quelli che ti celebrano.
O Redentore, ecc.
Ascolta, o giudice dei trapassati,
Speranza unica dei mortali;
Accogli il grido di quei che t'offrono
Un dono che simboleggia la pace.
O Redentore, ecc.
La pianta fecondata dai raggi della luce,
Produsse questo dono perché fosse a te consacrato;
La comunità dei fedeli qui prostrata a te dinanzi,
Ti presenta quest'oblazione, siccome a Salvatore delle genti.
O Redentore, ecc.
Ritto, anzi supplichevole innanzi all'ara,
L'infulato pontefice,
Compie integralmente il suo ufficio,
Consacrando il crisma.
O Redentore, ecc.
Re dell'eterna patria,
Degnati di consacrare tu quest'umor di olivo,
Perché sia efficace rimedio
Contro le forze d'Averno.
O Redentore, ecc.
Affinché mediante l'unzione del crisma
Si rinnovi l'uno e l'altro sesso,
E sia altresì restituita alla pristina integrità
L'offesa dignità nostra.
O Redentore, ecc.
Sono cancellati i delitti, allorché qui presso il sacro fonte
L'anima viene purificata;
E quando si unge la fronte,
Discendono su di lei i sacri carismi dello Spirito.
O Redentore, ecc.
Tu che generato nel cuore del Padre,
Fecondasti il seno della Vergine,
Ai partecipi del crisma concedi luce,
Allontana da loro la morte.
O Redentore, ecc.
Sia per noi questo un giorno festivo
Attraverso tutti i secoli;
Sia sacro, sia degno di lode,
Né la sua memoria invecchi mai col tempo.
O Redentore, ecc.
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L'antifona per la Comunione è derivata dal
testo evangelico: "Signore, Signore, tu lavare i piedi a me? ecc."
Il Signore non soltanto vuol lavarci i piedi, ma Egli sta preparando un
lavoro di rigenerazione nel proprio Sangue. In esso ci tufferà tutti interi,
e saremo mondati.
Dopo la Comunione si recita la preghiera
seguente: "Ora che ci ha ristorato il pane di vita ti preghiamo, o Signore
Dio nostro, che di quanto noi celebriamo per mezzo della fede durante questa
vita mortale, possiamo un giorno conseguire la realtà pel dono della tua
beata immortalità. Per il Signore ... ".
Dopo la messa si trasportano in un altare a
ciò preparato le sacre specie eucaristiche riservate per la funzione di
domani.
Nel medio evo il Papa, terminato il divin
sacrificio, si recava nella basilica di San Lorenzo, chiamata di poi Sancta
Sanctorum, ove deposta la penula lavava i piedi a dodici suddiaconi; frattanto
i cardinali, i diaconi e la schola cantavano il vespero.
Seguivano larghe distribuzioni di danaro al
clero urbano alto e basso, come usava allora in tutte le solennità; dopo di
che essendo già sera andavano tutti a desinare nella basilica o triclinio di
papa Teodoro, che sorgeva non lungi dall'oratorio di San Silvestro.
Il perdono ai penitenti, il crisma del
Paraclito sulla fronte dei battezzati, l'olio di consolazione sulle membra
dei moribondi, la divina Eucaristia nel cuore di tutti i fedeli; quanti
ineffabili misteri di misericordia in questo giorno della Cena di Gesù, in
cui Egli
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sfoga quasi la piena del suo Cuore, e, pur
avendoci amato sempre, in finem dilexit, ci amò cioè perdutamente,
sino alla croce, sino alla morte!
Deriviamo dalla liturgia greca i seguenti
testi relativi alla festa odierna.
Mysticam
ad mensam omnes accedentes cum tremore, cum anima pura panem suscipiamus,
neque separemur a Domino, ut videamus quomodo pedes lavet discipulorum, et
faciamus quemadmodum viderimus, invicem subiecti, pedesque singuli
singulorum abstergentes. Christus enim sic praecepit discipulis suis, sed non audivit Iudas, perfidus
servus.
|
|
Accostandoci
tutti con tremore alla mistica mensa, riceviamo il pane con purezza di
coscienza, né ci separiamo dal Signore. Vedremo così come Egli lavi i piedi
dei discepoli. Facciamo adunque secondo quanto avremo ammirato; siamo
soggetti gli uni agli altri, laviamoci a vicenda i piedi, giacché così
Cristo ha ordinato ai propri discepoli. Non volle tuttavia ascoltarlo
Giuda, perfido servo.
|
da A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul
Messale Romano - III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La
Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua), Torino-Roma, Marietti, 1933,
pp. 206-212.