Messe latine antiche nelle
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Ildefonso Card. Schuster, Liber Sacramentorum > III.
La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua > Domenica
delle Palme
Missale Romanum
178
DOMENICA DELLE PALME
Stazione in Laterano alla basilica del Salvatore.
(Stazione a S. Pietro, colletta a S. Maria "in
Turri" )
Le grandi cerimonie della settimana pasquale, come gli
antichi chiamavano questo solenne settenario
che stiamo per iniziare, nel medio evo si compivano
di regola presso la residenza pontificia nel classico palazzo dei Laterani.
Perciò anche la processione degli olivi e l'odierna messa stazionale si
celebrano oggi nella veneranda basilica del Salvatore, trofeo permanente delle
vittorie del Pontificato Romano sull'idolatria, sulle eresie e su tutte le porte
infernali che da oltre diciannove secoli congiurano a danno della Chiesa e
sempre sono respinte e vinte. Non praevalebunt adversus eam, ha detto
Gesù, e passerà il cielo e la terra prima
che venga meno una sillaba del labbro del Salvatore.
Nel tardo medio evo talora l'odierna stazione, a volontà del
Papa, si celebrava in Vaticano, ed allora la benedizione delle palme aveva luogo
nella chiesa di Santa Maria in Turri, che sorgeva nell'atrio della
basilica.
La benedizione delle palme ci conserva l'antico tipo delle
sinassi liturgiche, di quelle adunanze cioè, come la recita del divin ufficio,
l'istruzione dei fedeli ecc., in cui non seguiva l'offerta del divin Sacrificio.
Questo tipo di sinassi deriva dall'uso giudaico nelle sinagoghe della diaspora,
ed entrò nel rituale cristiano sin dall'evo apostolico.
La processione coi rami d'olivo deriva dall'uso gerosolimitano,
quale ci descrive la pellegrina Eteria verso la fine del IV secolo. Da principio
in occidente si tenevano i ramoscelli in mano durante la lettura del Vangelo;
nelle Gallie cominciò a darsi una speciale benedizione, non già ai rami, ma a
chi prestava tale atto d'ossequio alla parola evangelica. Si aggiunse la
processione prima della messa, che venne a conferire una pompa ed un'importanza
speciale ai ramoscelli, i quali finirono per essere alla loro volta santificati
dalla benedizione sacerdotale.
_____________
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BENEDIZIONE DELLE PALME
Colletta a San Silvestro in Laterano.
Giusta gli Ordini Romani del secolo XIV, le palme
venivano prima benedette dal cardinale di San Lorenzo, e quindi per
ministero dei chierici erano trasportate nell'interno del Patriarchio
nell'oratorio di San Silvestro, dove gli accoliti della basilica
Vaticana avevano l'ufficio di farne la distribuzione al popolo. Quella
al clero veniva
invece compiuta
personalmente dal Pontefice nell'aula tricliniare di Leone IV, donde
appunto muoveva oggi la processione alla volta della chiesa stazionale
del Salvatore.
Giunto il Papa sotto il portico, s'assideva in trono, e
mentre le porte dell'aula sacra rimanevano ancor chiuse, il primicerio
dei cantori e il priore basilicario a capo del loro personale di
servizio intonavano l'inno Gloria, laus etc., prescritto ancor
oggi nel Messale. Allora finalmente si aprivano le porte ed il corteo
faceva la sua entrata trionfale nella basilica Salvatoriana, affine di
dar principio colla messa al grandioso dramma dell'umana redenzione. Il
Papa assumeva le sacre vesti nel secretarium, ma ad indicare la
funebre mestizia che pervade tutta la liturgia di questa settimana, i
basilicari quest'oggi tralasciavano di distendere sul suo capo la
tradizionale mappula o baldacchino, che era uno dei contrassegni
di rispetto e di venerazione presso gli antichi.
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La colletta per la benedizione delle palme comincia
coll'introito: "Salve, o figlio di David; benedetto Colui che viene nel
nome di Iahvè; o Re d'Israele, salve, evviva". Ecco il saluto messianico
che il Cristo oggi acclamato dai gentili, dai fanciulli, dal basso
popolo e dai semplici, s'attese invano dalla Sinagoga. La conseguenza si
è, che Gesù ripudia l'ostinato Sanhedrin, e si rivolge invece alle
nazioni dei gentili, le quali lo accolgono come il loro Dio e Redentore.
La misericordia del Signore però è infinita, ed anche Israele può
sperare salvezza, a condizione tuttavia che muova anch'esso incontro al
Cristo cantando col Salmista e coi fanciulli del giorno delle palme:
Benedetto Colui che viene nel nome di Iahvè.
Dobbiamo professare ima grande devozione per quest'atto
di fede messianica, tanto desiderato da Gesù Cristo. La Chiesa lo
rinnova nel momento più solenne del sacrificio, quando cioè Gesù
all'invito del Sacerdote sta per discendere in stato di vittima sui
nostri altari.
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Segue la colletta di benedizione sull'adunanza: "O Dio,
cui è giusto amare sopra ogni cosa, moltiplica su di noi i doni della
tua grazia, e mentre pei meriti della morte del Figlio tuo ci fai
sperare quell'eternità gloriosa che forma appunto l'oggetto della nostra
fede, in grazia della sua risurrezione ci concedi di giungere là dove
tendiamo". La forma è veramente solenne, ed il concetto è chiaro e
preciso: la morte di Gesù è la causa meritoria di nostra salvezza, ma la
sua risurrezione ne è la causa esemplare; perché Gesù glorioso trasfonde
nel corpo e nelle sue mistiche membra quella santità e quella
beatitudine che inonda il Capo nel giorno del suo solenne trionfo sulla
morte e sul peccato.
Il brano dell'Esodo (XV, 27, XVI, 1-7) col racconto
della rivolta degli Israeliti contro Mosè, veramente non ha troppo a
vedere col mistero dell'odierna domenica; i liturgisti gallicani del
medio evo lo prescelsero tuttavia in grazia delle fonti d'acqua e dei
settanta palmizi all'ombra dei quali s'attendò il popolo del Signore.
Gl'Israeliti tratti via dalla servitù d'Egitto in modo
così prodigioso, mormorano tuttavia contro il Signore e rimpiangono gli
agli e le carni d'Egitto. Essi preludevano a quello che i figli loro
erano per fare contro il vero Mosè, il vero liberatore dalla schiavitù
dell'inferno, che sarebbe stato maledetto ed ucciso nel momento stesso
in cui, a redimerli, stava dando per loro la vita.
I due responsori di ricambio che seguono, non sono in
alcuna relazione colla cerimonia della benedizione delle palme, e sono
stati assegnati qui tanto per riempire le lacune e dividere le due
lezioni scritturali. Come si vede, tutto l'ordinamento dell'odierna
funzione, non ostante la sua parvenza arcaica, è un po' fittizio;
trattasi d'elementi d'origine e d'ispirazione disparatissimi, i quali
vennero fusi insieme alla meglio senza una vera unità di concetto.
Il primo responsorio è derivato da Giovanni (XI, 47-53)
e canta del convegno tenuto in casa di Caifa nel quale, all'osservazione
che Gesù si traeva dietro le turbe ed esponeva il Sinedrio al pericolo
che presto o tardi i Romani, gelosissimi, avrebbero soffocato quei moti
d'insurrezione nazionale, Caifa dichiarò esser meglio mandare a morte
uno, cioè Gesù, per salvare tutti. Lo Scrittore Sacro insiste nel far
rilevare che le parole dello scaltro pontefice hanno una portata assai
superiore alle sue intenzioni, e che in forza del suo ufficio gli furono
poste sul labbro dallo Spirito Santo.
Il secondo responsorio serve solo di ricambio, ed è
stato preso ad imprestito dal I Notturno del giovedì santo. Esso deriva
dal Vangelo di san Matteo (XXVI, 39, 41) e descrive Gesù che nella sua
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agonia nell'orto degli olivi supplica il Padre, si
conforma alla sua santa volontà ed esorta gli addormentati discepoli,
perché nell'orazione cerchino lo scampo contro la tentazione e la prova
che sta ormai per incominciare. Non basta che le disposizioni abituali
della volontà siano rette; la natura mortale è fragile e senza l'aiuto
della grazia vien meno per il bene. Bisogna quindi pregare e non
stancarsi mai d'implorare questo soccorso tanto necessario. I Santi, e
specialmente sant'Alfonso, riassumevano così l'insegnamento cristiano
circa la necessità della preghiera: Chi prega, si salva, e chi non
prega, si danna.
L'odierna lettura di san Matteo col racconto
dell'ingresso solenne di Gesù nella Santa Città (XXI, 1-9) ci è
attestato nella liturgia di Gerusalemme sin dalla seconda metà del IV
secolo. Giusta la profezia di Zaccaria, il Redentore entra nella Città
Santa seduto sull'asinello, a simboleggiare il carattere tutto mite e
benigno di questa sua prima apparizione messianica. Egli non vuole
spaventare colle folgori, ma brama d'attirare tutti al suo Cuore colla
dolcezza delle sue attrattive. L'asina poi e l'asinello, che, giusta il
santo Vangelo, trovavansi legati alle mura del castello vicino al monte
degli olivi, donde furono sciolti dagli Apostoli e menati a Gesù,
rappresentano il popolo gentile, esiliato dalla patria d'Abramo,
diseredato dall'eredità d'Israele, abbrutito sotto le ritorte
dell'idolatria. Agli Apostoli è confidata la missione di proscioglierlo
dai suoi errori e di ricondurlo al Salvatore.
La colletta seguente, giusta l'uso della liturgia
romana, quando trattasi di preghiere di speciale importanza, serve come
di preludio all'anafora consecratoria dei sacri rami. Essa quindi è
parallela alla Secreta prima del prefazio della messa:
Preghiera. - "Accresci, o Dio, la fede di coloro che
in te sperano, e clemente esaudisci le preghiere dei supplicanti. La tua
misericordia discenda copiosa sopra di noi; e siano altresì benedetti
questi germogli di palma e d'olivo; e come a prefigurar la Chiesa, tu
concedesti numerosa progenie a Noè uscito dall'arca e a Mosè uscito
dall'Egitto insieme coi figli d'Israele, cosi anche noi, recando in mano
palme e rami d'olivo, per mezzo d'una santa vita possiamo andare
incontro al Cristo, e per i suoi meriti meritiamo d'entrare nell'eterno
gaudio. Egli che Dio teco e nell'unità dello Spirito Santo, vive e regna
per tutti i secoli. R). Così è".
Questa preghiera, di gusto tanto squisito e d'una pietà
sì profonda, spiega assai bene il simbolismo della processione che sta
per
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eseguirsi, assegna la cagione per cui si è letta la
pericope dell'Esodo col racconto dei settanta palmizi. La palma si dà al
vincitore, e colui che esce incolume dall'Egitto può ben meritare la
gloria del trionfo.
Sac. V). "Il Signore sia con voi".
R). "E col tuo spirito".
Sac. V). "In alto i cuori".
R). "Sono già intenti al
Signore".
Sac. V). "Rendiamo grazie al Signore nostro Dio".
R). "È conveniente e
giusto".
Segue l'anafora, che, giusta il suo primitivo
significato, oggi è un vero carme eucaristico, ossia inno di lode e di
ringraziamento a Dio per la sua immensa santità e la squisitezza della
sua misericordia verso gli uomini:
Sac. "È veramente conveniente e giusto, retto e
proficuo che sempre
e dovunque noi ti rendiamo
grazie, o Signore Santo, Padre onnipotente, eterno Dio; tu che sei
glorificato nella moltitudine dei tuoi Santi, cui tutte le creature
ubbidiscono. Te solo, infatti, esse riconoscono per loro autore e Dio,
onde non solo ogni cosa creata annunzia la tua lode, ma i tuoi Santi in
modo speciale ti benedicono, quando liberamente confessano il gran nome
del tuo Unigenito Figlio innanzi ai re e ai potenti di questo mondo. Cui
assistono gli Angeli e gli Arcangeli, i Troni e le Dominazioni, che
insieme con tutta quanta la milizia del celeste esercito,
incessantemente cantano a te un inno alla tua gloria, dicendo: Santo,
Santo, Santo è il Signore degli eserciti. La tua gloria riempie il cielo
e la terra. Salve, evviva sino alle stelle. Benedetto colui che viene
nel nome del Signore. Salve, evviva".
Segue una serie di collette di sapore abbastanza antico
e d'elevatissima ispirazione, colle quali la Chiesa sembra che voglia
quasi sfogare tutto il suo amore verso il Redentore, già vicino ad
immolarsi per lei. In origine queste varie preghiere costituivano come
una serie di collette di ricambio; oggi invece la
cerimonia
è divenuta molto prolissa, giacché
tutte queste diverse formole di benedizione, prefazio cioè, collette
ecc. che da principio si sostituivano, o meglio, s'escludevano a
vicenda, nell'attuale Messale fanno parte integrale della cerimonia
della benedizione delle palme. Ne è venuta fuori una funzione devota sì,
ma forse senza proporzione ed armonia, il che rivela la sua tarda
introduzione nella liturgia romana.
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La seguente colletta si riferisce esclusivamente ai rami
di olivo senza nessun accenno alle palme, che nel medio evo erano
divenute estremamente rare in Europa:
Preghiera. - "O Signore santo, Padre onnipotente,
eterno Dio, noi ti preghiamo di benedire e santificare quest'olivo da te
creato, che per tuo volere germogliò sul tronco, e che la colomba portò
nel becco ritornando nell'arca; affinché chiunque ne riceverà un
germoglio conseguisca la salute dell'anima e del corpo, e divenga esso
per noi rimedio salutare e pegno della tua grazia. Per il Signore".
Dio si compiace d'umiliare la superbia del Satana
impedendogli di nuocere ai Cristiani, in grazia dei sacramentali,
consistenti per lo più in piccoli oggetti di devozione, benedetti dal
sacerdote, e conservati con fede dai fedeli. Alla qual specie di
sacramentali appartengono appunto le palme.
Preghiera. - "O Signore, che raccogli quanto era
disperso, e raccoltolo lo conservi; tu che benedicesti il popolo uscito
incontro a Gesù coi rami d'albero, benedici altresì questi rami di palma
e d'olivo che i tuoi servi ricevono con tutta fede e in onore del tuo
nome; affinché dovunque siano recati, gli abitanti ne conseguano la tua
benedizione, e allontanata ogni ostilità, la tua destra si degni di
proteggere coloro che redense Gesù Cristo tuo figlio e nostro Signore.
Il quale vive e regna".
Nella seguente preghiera si spiega tutto il simbolismo
dell'odierna cerimonia. Come le turbe mossero incontro colle palme al
trionfatore della morte e dell'inferno, cosi oggi Dio ci anticipa il
dono della palma, onde stimolarci a lottare strenuamente affine di
conseguire sulle soglie dell'eternità un'altra palma, non più soggetta
ad appassire ed a disseccarsi, ma perpetuamente fresca e verdeggiante.
Preghiera. - "O Dio, che con meravigliosa armonia,
anche per mezzo delle cose insensibili, volesti rivelarci l'ordine della
nostra redenzione, fa che lo spirito dei tuoi devoti penetri bene il
significato mistico del fatto compiuto oggi dalle turbe, che,
rischiarate da superna luce, mossero incontro al Redentore e copersero
il suo sentiero di rami di palma e d'olivo, Infatti i rami di palma
preannunziano il suo trionfo sul principe della morte, e i germogli
d'olivo indicano una certa qual unzione spirituale; giacché fin d'allora
quella fortunata schiera di popolo dové comprendere che sotto quei
simboli si dichiarava come il Redentore nostro, tocco dalla miseria
degli uomini, doveva lottare contro il principe della morte per dar la
vita a tutto il mondo, e morendo doveva riportarne il trionfo. E
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perciò la medesima turba nel prestargli ossequio si
servi di tali simboli che significassero i trionfi della sua vittoria e
la facile copia della sua misericordia. Noi pure esprimendo con viva
fede questo fatto e questo medesimo significato, o Signore Santo, Padre
onnipotente, eterno Dio, supplichevoli ti preghiamo per il medesimo
Signor nostro Gesù Cristo, onde in Lui e per Lui di cui tu ci volesti
membra, riportando vittoria sull'impero della morte, meritiamo d'essere
a parte della gloria della sua risurrezione. Egli che teco ecc.".
Nella seguente colletta già non si parla più di palmizi,
ma all'olivo vengono riavvicinati altri alberi, giacché nei paesi
nordici, dove massimamente si svolse l'odierno rito, a cagione del
freddo non vi cresce né la palma, né l'olivo:
Preghiera. - "O Signore, che volesti che la colomba
recasse in terra l'annunzio di pace per mezzo d'un ramoscello d'olivo;
santifica colla tua benedizione + questi rami d'olivo e d'altri alberi,
onde apportino salvezza a tutto il tuo popolo. Per Cristo ecc.".
Il rito esterno è vano, se al labbro che ora, non si
unisce il cuore che adora:
Preghiera. - "Ti preghiamo, o Signore, benedici
questi rami di palma e d'olivo, e fa sì che quanto oggi il popolo in tuo
onore eseguisce in modo sensibile, lo compia anche interiormente con una
fervida devozione, riportando vittoria sullo spirituale nemico, e
dedicandosi con sommo trasporto alle opere di misericordia. Per il
Signore".
Qui il sacerdote asperge i rami coll'acqua santa e li
turifica coll'incenso benedetto.
Sac. V).
"Il Signore sia con voi".
R). "E col tuo spirito".
Preghiera. - "O Dio, che per la nostra salute
inviasti in questo mondo il tuo figliuolo Gesù Cristo Signor nostro,
perché si abbassasse sino a noi onde risollevarci sino a te; a cui
entrando in Gerusalemme a dar compimento alle Scritture, la turba del
popolo credente coi rami di palma e con fervida devozione distese lungo
il cammino le proprie vesti; ci concedi di preparargli la via della
nostra fede, donde tolte via le pietre d'intoppo e gli scrupoli,
distenda invece i suoi rami frondosi la giustizia per mezzo delle buone
opere, affinché meritiamo di seguire le sue vestigia; Egli che vive e
regna".
Durante la distribuzione delle palme o dei rami d'olivo
benedetti, il coro dei cantori eseguisce le antifone seguenti tolte dal
Vangelo poc'anzi recitato:
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"I fanciulli Ebrei andarono incontro al Signore con rami
d'olivo, e dicevano: Salve, sino alle stelle".
Oggi i fanciulli fanno gli onori della festa, perché Dio
si compiace delle anime semplici ed innocenti, ed è appunto a loro che
rivela i suoi secreti.
"I fanciulli Ebrei stendevano le proprie vesti lungo la
via e gridavano: Salve al Figlio di David; benedetto colui che viene nel
nome del Signore".
Dopo distribuiti i rami benedetti si recita la seguente
colletta, prima d'iniziare la processione:
Preghiera. - "O Dio eterno ed onnipotente, che
disponesti che il Signor nostro Gesù Cristo sedesse sul polledro
d'un'asina, e tu stesso insegnasti alla turba del popolo a distendere
sulla via le vesti e i rami d'albero e a cantare Salve in suo onore;
deh! fa che imitiamo la loro innocenza, onde meritiamo di conseguirne
anche il premio. Per il medesimo Signore".
Diac. V). "Sfiliamo processionalmente e in pace".
R). "Nel nome di
Cristo. Amen".
Segue la processione, che sebbene quest'oggi abbia un
significato speciale e voglia ricordare l'entrata trionfale di Gesù in
Gerusalemme, però è un residuo dell'antica processione stazionale e
domenicale, che nel medio evo, specialmente nelle abbazie benedettine
precedeva regolarmente la messa. Durante il cammino il coro dei cantori
eseguisce le seguenti antifone:
Ant. "Avvicinandosi il Signore a Gerusalemme, mandò
due dei suoi discepoli e disse loro: Andate al castello qui incontro, e
ritroverete legato un polledro di giumenta, sul quale nessuno ancora
sedé; scioglietelo e menatelo a me. Se qualcuno vi domanda, dite: Serve
al Signore. Sciolto l'asinello lo condussero a Gesù, e distese sul suo
dorso le loro vesti, Gesù vi sedé. Altri distesero i loro mantelli sulla
via, altri la cosparsero di ramoscelli d'albero. Quelli che seguivano,
gridavano: Salve, benedetto colui che viene nel nome del Signore;
benedetto il regno di David, padre nostro. Salve sino alle stelle. Pietà
di noi, figlio di David".
Ant. "Avendo il popolo saputo che Gesù era per
giungere a Gerusalemme, presi dei rami di palme gli usci incontro. I
fanciulli acclamavano: Ecco colui che viene a salvare il popolo. Questi
è la nostra salvezza e la redenzione d'Israele. Quanto grande è la sua
maestà cui escono incontro i Troni e le Dominazioni! Non temere.
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o figlia di Sion; ecco che viene a te il tuo re seduto
su un polledro d'asina, siccome fu detto nella Scrittura: Salve, o re,
artefice del mondo, che sei venuto a riscattarci".
Ant. "Sei giorni prima della solennità pasquale,
quando il Signore giunse alla città di Gerusalemme, gli mossero incontro
i fanciulli portando in mano rami di palme, e gridavano sino alle
stelle: Salve. Benedetto sii tu che giungi qui nell'infinita tua
misericordia: Salve, sino alle stelle".
Ant. "La turba muove incontro al Redentore coi fiori
e colle palme, e rende il conveniente ossequio al vincitore e
trionfatore; il popolo lo acclama Figlio di Dio; i gridi e le lodi del
Cristo salgono in cielo. Salve, sino alle stelle".
Ant. "Mostriamoci fedeli al trionfatore della morte,
insieme agli angeli ed ai bambini, ed acclamiamo: Salve, sino alle
stelle".
Ant. "Un immenso popolo che s'era raccolto per la
solennità della Pasqua, acclamava al Signore: Benedetto colui che viene
nel nome del Signore. Salve, sino alle stelle".
Segue l'inno Gloria, laus etc. colla cerimonia
del crocifero che picchia alle porte del tempio per farle aprire al
corteo. Come rito, Roma lo conobbe assai tardi; come simbolo, i due cori
che si rispondono dentro e fuori del tempio, raffigurerebbero la lode
divina che incessantemente alternano la Chiesa trionfante e quella
militante.
_____________
ALLA MESSA
Stazione a San Giovanni in Laterano.
Al ritorno della processione segue la messa, che però ha
un carattere affatto diverso dalla benedizione delle palme ed è in più
intima relazione colla liturgia dei giorni precedenti. Infatti, mentre
le preci e le antifone riferite più sopra acclamano il Redentore siccome
trionfatore della morte e del peccato, la messa stazionale,
d'ispirazione interamente romana, ne considera piuttosto gl'intimi
sentimenti di profondo annientamento, d'umiliazione e di dolore, siccome
vittima d'espiazione per i peccati del mondo.
La sacra liturgia di questi giorni non dissocia punto il
ricordo della passione del Salvatore da quello dei trionfi della sua
resurre-
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zione - ecco la ragione dell'antico titolo di
Hebdomada paschalis, dato già a questa settimana, e delle frequenti
menzioni della santa resurrezione che ricorrono nella messa e
nell'Ufficio Divino, così oggi che il venerdì santo -. Infatti, se il
Pascha nostrum immolatus
Christus, incomincia la sera del giovedì santo e si prosegue nella
Parasceve, esso però ha il suo vero compimento nella mattina della
risurrezione, allorché Colui che era
mortuus propter delicta nostra,
resurrexit propter iustificationem nostram.
Per gli antichi il
Paschale Sacramentum
comprendeva questo triplice
mistero, onde essi, perfino il venerdì santo, innanzi all' adorabile
Legno della Croce, già preannunziavano le glorie del Salvatore risorto.
Crucem Tuam adoramus ...
et sanctam resurrectionem tuam laudamus et glorificamus.
_____________
L'introito è tolto da quel medesimo salmo 21 che intonò
Gesù Cristo in croce, e che descrive cosi mirabilmente le sue
sofferenze, le ignominie, i palpiti del suo cuore e le speranze per la
prossima lieta risurrezione: "Signore, non allontanare da me il tuo
soccorso; attendi a difendermi. Salvami dalle zanne del leone e scampa
la mia debolezza dalle corna dei liocorni".
La colletta è d'una squisitezza di composizione che
rivela l'aureo periodo della liturgia romana: "O Dio onnipotente ed
eterno, che a dare al genere umano un esempio d'umiltà da imitarsi,
disponesti che il Salvatore nostro s'incarnasse e subisse il supplizio
della Croce, ci concedi d'accogliere fruttuosamente l'insegnamento della
sua pazienza, onde essere a parte della sua risurrezione".
Ecco qui spiegato tutto il significato del sacro rito
che dovrà compiersi durante questa settimana. Gesù crocifisso è come un
libro nel quale l'anima legge tutto quello che Dio desidera da lei per
divenir santa. La frase della colletta: patientiae ipsius habere
documenta perde molto in energia quando viene tradotta in italiano.
Essa significa che dobbiamo realizzare nella nostra vita quelle lezioni
di sofferenza e di espiazione che Gesù c'impartisce dalla cattedra della
croce. Viene infine la speranza della risurrezione, che la Chiesa non
vuol mai disgiunta dalle sofferenze del Golgota.
La lezione è tratta dalla lettera ai Filippesi (II,
5-11) in cui san Paolo ci descrive il Cristo, il quale per nostro amore
ecclissa la gloria della sua consustanzialità col Padre, prende l'abito
servile ed ubbidisce a Dio sino alla morte più crudele ed infamante. Sin
qui l'espiazione, ma ecco subito il trionfo e l'inizio dell'impero
messianico. Iddio col fuoco della sua divinità riscalda quelle gelide
membra
188
di Gesù che gli si erano offerte sulla Croce. Egli
trasfonde in loro la propria vita, e al nome del Salvatore tracciato da
Pilato sul cartello posto a titolo di ludibrio sull'asta verticale della
croce attribuisce tanta gloria e tanta potenza, che diventa oggimai il
simbolo di tutti i predestinati alla gloria del cielo.
Il responsorio graduale deriva dal salmo 72 e prelude
già al trionfo di domenica prossima: "Per poco non stavo per vacillare,
giacché mi eccitai a riguardo dei malvagi, indignato del letargo di
morte in cui giacevano prostrati i peccatori. Tu però, o Padre mio, mi
prendesti per mano, m'hai condotto giusta il tuo volere, e m'hai accolto
con trionfo". Lo zelo di Gesù vedendo la rovina di tante e tante anime,
arse di santo ardore nella sua passione; Egli affrontò impavido i nemici
dell' umanità, i demoni e i loro alleati, cioè gli empi. Stava anzi per
soccombere sotto i loro colpi, imperocché sulla Croce alla violenza dei
tormenti l'anima sua benedetta fu separata dal corpo, il quale subì
perfino l'umiliazione del sepolcro. Ma in tutto questo la mano
dell'Onnipotente ha sempre guidato il suo unigenito Figliuolo; ella l'ha
condotto sul sentiero della vita, e l'ha coronato colla gloria trionfale
della sua risurrezione ed ascensione al cielo.
Il salmo tratto, o direttaneo, è il 21, nel quale prima
si descrivono le agonie strazianti del Cristo e i suoi sentimenti
d'umiltà, d'intima desolazione e di fiduciale abbandono in Dio; quindi
si esalta il trionfo della redenzione messianica e si annunzia la nuova
generazione, cioè la Chiesa, alla quale sarebbe diretto il messaggio
evangelico.
La lezione evangelica di san Matteo contiene tutto il
racconto della passione del Signore (XXVI-XXVII) dall'ultima cena cogli
Apostoli sino all'apposizione dei suggelli al suo sepolcro. La qual
tradizione a Roma è molto antica, essendoci attestata dagli Ordines
del IX secolo.
La memoria delle pene sostenute per nostro amore da Gesù
Cristo, deve conservarsi ognor viva nel nostro cuore, producendovi quei
sentimenti d'amore e di gratitudine che produceva in san Paolo, quando
scriveva: "Cristo mi ha amato ed ha dato se stesso per me; io vivo, ma
non sono già più io che vivo, è bensì Cristo che vive in me. Io vivo
nella sua fede".
Il Crocifisso ci deve insegnare sopratutto tre cose.
Primo quanto grande è stato l'amore che tutta l'augusta Triade ci ha
portato, sino a sacrificare per noi Gesù, l'unigenito di Dio; secondo,
che orribil
189
cosa sia il peccato, il quale non ha potuto essere
espiato altro che colla morte atrocissima del Salvatore; terzo, quanto
vale l'anima propria, la quale non ha potuto essere riscattata a minor
prezzo del Sangue di Gesù. Conchiudeva san Paolo la sua meditazione
sulla passione di Gesù:
Empti enim estis pretio magno, glorificate et portate Deum in corpore
vestro.
L'antifona per l'offerta è tolta dal salmo 68, che pure
prelude alla passione del Salvatore: "Venendo tra gli uomini, il mio
cuore non si attese da loro che ignominie ed ingratitudine. Aspettai chi
entrasse a parte della mia pena, ma indarno. Cercai chi mi consolasse,
ma non ritrovai alcuno. Mi diedero in pasto del fiele, e nell'ardore
della mia sete mi abbeverarono d'aceto".
Gesù ripeté questi medesimi accenti di desolazione a
santa Gertrude e a santa Margarita Alacoque, manifestando il suo vivo
desiderio che anime a lui particolarmente consacrate, quali i sacerdoti
e le persone religiose, entrino a parte di questi suoi sentimenti,
riparino, espiino con lui, e lo consolino col loro amore.
La preghiera sulle oblate, al pari di quella dopo la
Comunione, derivano dalla domenica fra l'ottava di Natale che è di
carattere generale.
L'antifona per la Comunione è stata tolta da san Matteo
(XXVI, 42): "Padre, se non può farsi che io non sorbisca questo calice,
si compia il tuo volere". Quando durante il canto di queste parole i
fedeli si appressavano realmente a sorbire dal calice sostenuto dal
diacono il Sangue del Cristo, essi comprendevano perfettamente che il
comunicarsi è un rendersi solidari della sua passione. Nella messa
infatti non è solamente Gesù Cristo che rinnova misteriosamente il suo
sacrificio, ma siamo noi altresì che, sopratutto in grazia della santa
Comunione, ci uniamo a lui, come le membra al capo, per umiliarci, per
immolarci, per offrirci con lui, per morire nella sua morte, onde aver
parte nella sua vita.
Questo calice di passione non può passar oltre da noi; è
necessario che noi lo beviamo, se vogliamo vivere e compiere la volontà
di Dio.
da: A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e
liturgiche sul Messale Romano - III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del
Redentore (La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua), Torino-Roma,
Marietti, 1933, pp. 178-189.
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