UNA VOCE VENETIA

Messe latine antiche nelle Venezie

| Venezia | Belluno | Gorizia | Padova | Pordenone | Treviso | Trieste 1 | Trieste 2 | Udine | Verona | Vittorio Veneto |

 

 

 

Applausi ai funerali: la banalità di un tempo che ignora il Dies irae

Sulle probabili origini di un discutibile uso

 

di Paolo Zolli

 

da "Messaggero Veneto", Udine, 29 settembre 1988, riprodotto parzialmente in "notizie", Torino, n° 144, 1989, pp. 5-6, ora, integralmente in "Civitas Christiana" n° 22-26, 1999-2000, pp. 21-23

 

 

Non so adoperare il calcolatore elettronico, mi servo ancora di schede e schedine conservate in scatole da scarpe (sono comodissime) per tenere nota dei materiali e delle notizie necessari al mio lavoro, ma sopra tutto ho ancora una buona memoria e la mia biblioteca personale è abbastanza ordinata. Così, quando ho letto sul "Messaggero Veneto del 13 settembre scorso [1988] la lettera di Liana Job sul battimani ai funerali, considerato "una moda venuta dal Sud ove le sceneggiate sono di casa", mi sono ricordato che da qualche parte c’era chi, tempo fa, aveva scritto sull’argomento. Non sarei però andato alla ricerca del pezzo, se un altro lettore, Mario Giudice, non fosse ritornato sul tema il 19 settembre, aggiungendo osservazioni sulla tradizione friulana degli spuntini dopo i funerali. Su quest’ultima abitudine non vorrei peraltro soffermarmi; ricordo soltanto che essa risale a tradizioni antichissime, pre-cristiane, di cui penso esista documentazione amplissima nei libri di etnografia.

 

Per quanto riguarda invece l’uso del battimani in chiesa, e non soltanto ai funerali, ma anche ai matrimoni e in altre occasioni, qui non c’entrano né il Nord né il Sud (anzi credo che al Sud l’abitudine sia meno diffusa che al Nord, e qui sarebbe interessante poter disporre di informazioni più precise); in realtà si tratta di un’abitudine introdotta negli ultimi anni, quando i riti sacri, e i funerali in particolare, hanno perso l’aspetto solenne e sacrale di un tempo. Storia recente, storia minima, sulla quale non possono esistere quindi ricerche sistematiche, ma sulla quale è bene incominciare a prendere appunti, a fissare sulla carta dati precisi, perché chi come me si occupa di tradizioni popolari, di storia della vita privata e simili, sa quanto sia arduo reperire, a distanza di tempo, indicazioni precise sul momento in cui certe consuetudini si sono introdotte.

 

Sull’argomento, a ogni modo, si era soffermata (la bibliografia che ho recuperato è tutta qui) Anna Belfiori, prematuramente scomparsa il 17 febbraio scorso, in un articolo pubblicato nel numero di agosto-dicembre 1978 della rivista "Una voce". "In questi ultimi tempi - scrive la Belfiori - sempre più spesso capita di dover assistere a scene di popolo plaudente nei momenti meno adatti. Ricordo il primo applauso che mi colpì, perché mi apparve fuori luogo: fu ai funerali di Anna Magnani. Eravamo abituati a salutare i morti in silenzio, con una preghiera, e quell’applauso scrosciante mi sembrò inopportuno, stonato. Da allora diventò consuetudine applaudire ai funerali. Non solo quando si trattava di attori, per i quali l’applauso poteva essere inteso come un ultimo tributo alla loro arte, prima che su di loro calasse definitivamente il sipario: scena ultima, atto ultimo, ultima replica. Questo malvezzo è dilagato e ora non ci sono pubbliche esequie che non risuonino di applausi". Continuava la Belfiori ricordando gli applausi ai funerali di Aldo Moro, che furono "esplosione della tensione accumulata in quei lunghi, tragici mesi, ma segno di una emotività incapace di trasformarsi in commozione autentica, in dolore consapevole", e quindi, siamo nel 1978, l’anno dei tre Papi, gli ancor più incredibili applausi ai funerali di Paolo VI e di Giovanni Paolo I: "Se applaudire la salma d’un attore - concludeva l’articolo - era segno di superficialità; se applaudire il cadavere di un uomo politico, morto in circostanze tanto drammatiche, era una prova dell’incapacità di riflettere, di raccogliersi, applaudire la salma di un Pontefice mi è sembrato un atto di dissacrazione, di irriverenza", conclusioni su cui non si può non essere d’accordo.

 

Anna Magnani è morta nel 1973 ed è molto probabile che sia proprio questa la data d’introduzione di questo nuovo rito. Da appena otto anni erano caduti il Dies irae, l’In paradisum deducant te angeli, il Libera me Domine, i grandi canti di terrore ma anche di commossa speranza, di fronte ai quali un applauso sarebbe potuto provenire soltanto da un nemico feroce del morto, non certo da chi ne aveva condiviso gioie e dolori. Il battimani infatti non si concilia né con la morte vista quale dramma, né con la morte vista come uno di quei momenti solenni ai quali l’unico commento è il silenzio, la "quiete solenne della morte" di cui parla con frase insuperabile il Manzoni: quiete, non applausi a scroscio. Il battimani non poteva che nascere dopo le riforme del 1965 e del 1969, quando si è sostituito il nero col viola e il latino col volgare nella messa funebre (ma almeno quella di Giovanni Paolo I ricordo fu celebrata, anzi ohimé concelebrata, col nuovo rito, ma completamente e perfettamente in latino con grande compunzione dal cardinal Confalonieri).

 

La data 1973 ha buone probabilità di essere il terminus post quem, anche perché in un articolo di un grande giornalista come Vittorio G. Rossi, pubblicato nel numero del primo aprile di quello stesso anno del settimanale "Epoca" e dedicato alla perdita del senso del sacro nella nuova messa funebre, a questo aspetto non si fa ancora cenno. Se a quella data l’uso del battimani fosse già stato introdotto, Vittorio Rossi ne avrebbe certamente parlato, dato che l’articolo è lungo e circostanziato, e sotto certi aspetti perfido ("Quelli che hanno fatto la messa nuova, hanno capito che non bastava sfrattare il latino, ma per dare più spiritualità alla messa hanno inventato la stretta di mano. È la cosa più comica che sia mai stata fatta in una chiesa cattolica. Ci sono vecchie pettegole che si voltano indietro alla ricerca di altre mani da stringere; non gli bastano quelle laterali. Ma io guardo in su, non vedo mani da stringere; il teatro in chiesa non mi è mai piaciuto"). Non so se Vittorio Rossi fosse credente e praticante, ma è certo che la perdita di solennità del rito è stata percepita forse più dai laici che dai cattolici. Un laico di indubbia intelligenza come Luigi Firpo, in un articolo apparso sulla "Stampa" di Torino si dichiara anche lui esterrefatto dopo aver assistito a una messa funebre di nuovo tipo: "Assisto a una messa a Roma, in S. Lorenzo al Verano. Entra l’officiante con i paramenti violacei del lutto, ma è un viola pallido da giardino dei lillà, preoccupato di non alludere al cordoglio, di dare alla morte i colori di una festa campestre. Il prete è giovane, intenso, eloquente; eppure mi disturbano le sue scarpe gialle, i pantaloni di grisaglia chiara che gli sbucano sotto il camice, i capelli lunghi dal taglio mozzo e senza ombra di chierica, l’aria di giovane executive che passava di lì per caso e si presta a dire due parole".

 

E in una finissima nota apparsa nello stesso giornale il 17 gennaio di quest’anno, Guido Ceronetti, contrapponendo la solennità tuttora persistente nel rito ortodosso allo harakiri liturgico della Chiesa d’Occidente, dichiara che "qualche volta echeggiano note d’organo, ma per accompagnare parole il cui senso melenso può essere offerto in omaggio a Lucio Dalla" e conclude: "uscendo da questi luoghi profanati dall’insulsaggine, ripiglio fiato canticchiandomi un po’ di Dies irae, la più bella, la più attuale delle Internazionali". Già, ma per fare queste cose bisogna avere l’intelligenza e lo spirito d’indipendenza di Ceronetti, gli altri battono le mani.

 

Altre pagine su questo argomento:

| Paolo Zolli e il nuovo rito dei funerali | Ritorno alla casa del Padre |

 

Inizio Pagina


Chi siamo | Agenda | Messe | Calendario | Documenti | Liturgia | Dottrina | Sollemnia | Libri | Rassegna stampa | Archivio | Links | Guestbook | Email | Home |


Pagina aggiornata il 25 febbraio 2002

© 2001-2002 Coordinamento di Una Voce delle Venezie. All Rights Reserved.